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Secondo me il poeta più sottovalutato dell'intera letteratura italiana. A torto considerato poeta semplice, ma invece tormentato, complesso, disperato, in ogni singolo vocabolo di ogni singola poesia
no beh sono anni che è in via di rivalutazione, se dio vuole.
piace molto anche a me.
III, 81
Che c'è fra te e l'abisso delle donne,
Betico prete? Deve la tua lingua
succhiare i maschi. Tu le fiche amavi?
Perché ti sei castrato con un coccio?
Della testa castrare ti dovevi!
Sei prete fra le coscie, ma a Cibele
non sei fedele: chiavi con la bocca!
III, 71
Al ragazzino tuo fa male il *****
ed a te il culo, Nevolo. Non credo
d'esser veggente, ma so quel che fai!
IX, 63
Febo: ogni checca ti convita a cena.
Chi del suo ***** vive, non è puro.
XII, 16
Hai venduto, Labieno, te poderi.
Hai comprato, Labieno, tre bei culi.
Tu t'inculi, Labieno, tre poderi!
il grande MARZIALE
"
Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"
questa ad esempio - mi fa piangere, ogni volta, maledizione.
GIOVANNI PASCOLI
La tessitrice
Mi son seduto su la panchetta
come una volta . . . quanti anni fa ?
Ella, come una volta, s'è stretta
su la panchetta.
E non il suono d'una parola;
solo un sorriso tutto pietà.
La bianca mano lascia la spola.
Piango, e le dico: Come ho potuto,
dolce mio bene, partir da te?
Piange, e mi dice d'un cenno muto:
Come hai potuto ?
Con un sospiro quindi la cassa
tira del muto pettine a sè.
Muta la spola passa e ripassa.
Piango, e le chiedo: Perchè non suona
dunque l'arguto pettine più?
Ella mi fissa timida e buona:
Perchè non suona?
E piange, piange - Mio dolce amore,
non t'hanno detto? non lo sai tu ?
Io non son viva che nel tuo cuore.
Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso
per te soltanto; come, non so:
in questa tela, sotto il cipresso,
accanto alfine ti dormirò
no beh sono anni che è in via di rivalutazione, se dio vuole.
piace molto anche a me.
In ambito "colto" hai sicuramente ragione. Purtroppo in ambito popolare è ancora, per molti, il poeta della rima facile...
Continuo volentieri con Carducci che, a differenza di Pascoli, trovo troppo robusto nella poesia.
Come non commuovrsi con questa, però?
L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fior, Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,
Sei nella terra fredda,
Sei nella terra negra; Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
questa ad esempio - mi fa piangere, ogni volta, maledizione.
GIOVANNI PASCOLI
La tessitrice
Mi son seduto su la panchetta
come una volta . . . quanti anni fa ?
Ella, come una volta, s'è stretta
su la panchetta.
E non il suono d'una parola;
solo un sorriso tutto pietà.
La bianca mano lascia la spola.
Piango, e le dico: Come ho potuto,
dolce mio bene, partir da te?
Piange, e mi dice d'un cenno muto:
Come hai potuto ?
Con un sospiro quindi la cassa
tira del muto pettine a sè.
Muta la spola passa e ripassa.
Piango, e le chiedo: Perchè non suona
dunque l'arguto pettine più?
Ella mi fissa timida e buona:
Perchè non suona?
E piange, piange - Mio dolce amore,
non t'hanno detto? non lo sai tu ?
Io non son viva che nel tuo cuore.
Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso
per te soltanto; come, non so:
in questa tela, sotto il cipresso,
accanto alfine ti dormirò
Bellissima. L'esegesi di un testo pascoliano è sempre un'immersione nel dolore.
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
In ambito "colto" hai sicuramente ragione. Purtroppo in ambito popolare è ancora, per molti, il poeta della rima facile...
Continuo volentieri con Carducci che, a differenza di Pascoli, trovo troppo robusto nella poesia.
Come non commuovrsi con questa, però?
L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fior, Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,
Sei nella terra fredda,
Sei nella terra negra; Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
quasta è una di quelle poesie che sento di +,forse x la storia ma soprattutto x la capacità del poeta.
"
Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"
Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba, tu fumo che ancora ram polli, su l'alba da' lampi notturni e da' crolli d'aeree frane!
Nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch'è morto! Ch'io veda soltanto la siepe dell'orto, la mura ch'ha piene le crepe di valeriane.
Nascondi le cose lontane: le cose son ebbre di pianto! Ch'io veda i due peschi, i due meli, soltanto, che dànno i soavi lor mieli pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada Ch'io veda là solo quel bianco di strada che un giorno ho da fare tra stanco don don dI campane...
Nascondi le cose lontane, nascondile, involale al volo del cuore ! Ch'io veda il cipresso là, solo, qui, solo quest'orto, cui presso sonnecchia il mio cane.
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica; indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori, e disse: «Quando mi diparti’ da Circe, che sottrasse me più d’un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enea la nomasse, né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna. Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi, acciò che l’uom più oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da l’altra già m’avea lasciata Setta. "O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente, non vogliate negar l’esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Li miei compagni fec’io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte e ’l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».
"
Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"
la posto in traduzione, cosa che non si dovrebbe fare, ma è un poeta arabo, famosissimo, Nazih Abu 'Afash
la poesia è dedicata al figlio
E bene che tu sappia, Omar
che io non sono un angelo
che può andar da Dio di notte
a scongiurarlo di aumentar la quantità d'ossigeno nella piccola stanza.
Ed è bene che tu sappia, Omar
che io non sono Dio
da poter dire: questo è tuo...
e spogliar gli abitanti del quartiere delle coperte.
E non sono il nostro vicino
da poterti dare:
un letto per dormire
una bicicletta per giocare
e un padre senza difetti che non batte la testa contro il muro quando piange di dolore.
Ed è bene che tu sappia, Omar
che i cuori puri verso cui ti induco
si son già sporcati
ad opera dell'odio e della povertà... e della freddezza dei nervi del mondo.
E sappi anche... e anche... e anche
che io, anche se non sono quell'angelo,
e anche se non ho avuto lo scettro di Dio
la cui immagine hai visto nel libro di scuola,
e anche se la condizione in cui ci troviamo ora
non è quella che dovrebbe essere...
questo non significa
non significa assolutamente
che rinunciamo all'onorabilità del piccolo cuore
e che diciamo al mondo:
spianaci la strada
noi veniamo per scendere a patti.
Nel solco dei Pascoli e dei Carducci, di cui andate così ottimamente dicendo, voglio aggiungere anche l'Ungaretti de " Il dolore", versi scarni come rami spogliati:
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto
Mai, non saprete mai come m'illuminaL'ombra che mi si pone a lato, timida,Quando non spero più...
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba, tu fumo che ancora ram polli, su l'alba da' lampi notturni e da' crolli d'aeree frane!
Nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch'è morto! Ch'io veda soltanto la siepe dell'orto, la mura ch'ha piene le crepe di valeriane.
Nascondi le cose lontane: le cose son ebbre di pianto! Ch'io veda i due peschi, i due meli, soltanto, che dànno i soavi lor mieli pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada Ch'io veda là solo quel bianco di strada che un giorno ho da fare tra stanco don don dI campane...
Nascondi le cose lontane, nascondile, involale al volo del cuore ! Ch'io veda il cipresso là, solo, qui, solo quest'orto, cui presso sonnecchia il mio cane.
tra i miei preferiti
"Nulla è gratuito in questo basso mondo. Tutto si sconta, il bene come il male, presto o tardi si paga. Il bene è necessariamente molto più caro."
Nel solco dei Pascoli e dei Carducci, di cui andate così ottimamente dicendo, voglio aggiungere anche l'Ungaretti de " Il dolore", versi scarni come rami spogliati:
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto
Mai, non saprete mai come m'illuminaL'ombra che mi si pone a lato, timida,Quando non spero più...
E volentieri ti seguo con Corazzini
Sergio Corazzini – Desolazione del povero poeta sentimentale I
Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni. Le mie gioie furono semplici, semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei. Oggi io penso a morire.
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco; solamente perché i grandi angioli su le vetrate delle cattedrali mi fanno tremare d'amore e di angoscia; solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, come un povero specchio melanconico. Vedi che io non sono un poeta: sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
IV
Oh, non maravigliarti della mia tristezza! E non domandarmi; io non saprei dirti che parole così vane, Dio mio, così vane, che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire. Le mie lagrime avrebbero l'aria di sgranare un rosario di tristezza davanti alla mia anima sette volte dolente, ma io non sarei un poeta; sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.
V
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. E i sacerdoti del silenzio sono i romori, poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce. Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo dimenticato da tutti gli umani, povera tenera preda del primo venuto; e desiderai di essere venduto, di essere battuto di essere costretto a digiunare per potermi mettere a piangere tutto solo, disperatamente triste, in un angolo oscuro.
VII
Io amo la vita semplice delle cose. Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco, per ogni cosa che se ne andava! Ma tu non mi comprendi e sorridi. E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono, veramente malato! E muoio, un poco, ogni giorno. Vedi: come le cose. Non sono, dunque, un poeta: io so che per esser detto: poeta, conviene viver ben altra vita! Io non so, Dio mio, che morire. Amen.
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore,
quand’era in parte altr’uom da quel, ch’i’ sono;
del vario stile in ch’io piango e ragiono
fra le vane speranze, e ’l van dolore;
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, non che perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
e del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena,
e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Filomena,
e primavera candida e vermiglia.
Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena;
Giove s'allegra di mirar sua figlia;
l'aria e l'acqua e la terra è d'amor piena;
ogni animal d'amar si riconsiglia.
Ma per me, lasso, tornano i più gravi
sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch'al ciel se ne portò le chiavi;
e cantar augelletti, e fiorir piagge,
e 'n belle donne oneste atti soavi
sono un deserto, e fere aspre e selvagge.
Petrarca
"
Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"
Una poesia che adoro.. sarà il titolo, la descrizione.. ma mi riporta ai luoghi in cui sono nata..
Gabriele D'Annunzio - Sera fiesolana..
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
su l'alta scala che s'annera
contro il fusto che s'inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sè distenda un velo
ove il nostro sogno giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pe'; tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l'acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pinidai novelli rosei diti
che giocano con l'aura che si perde,
e su 'l grano che non è biondo ancora
e non è verde,
e su 'l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reami
d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l'ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s'incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perchè la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l'anima le possa amare
d'amor più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
qualcosa di straordinario...
"
Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"
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