L'angolo della poesia

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  • gorgone
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    • nel cuore di chi è nel mio cuore
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    #16
    Originariamente Scritto da ma_75 Visualizza Messaggio
    Secondo me il poeta più sottovalutato dell'intera letteratura italiana. A torto considerato poeta semplice, ma invece tormentato, complesso, disperato, in ogni singolo vocabolo di ogni singola poesia
    no beh sono anni che è in via di rivalutazione, se dio vuole.
    piace molto anche a me.

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    • odisseo
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      #17
      III, 81
      Che c'è fra te e l'abisso delle donne,
      Betico prete? Deve la tua lingua
      succhiare i maschi. Tu le fiche amavi?
      Perché ti sei castrato con un coccio?
      Della testa castrare ti dovevi!
      Sei prete fra le coscie, ma a Cibele
      non sei fedele: chiavi con la bocca!

      III, 71
      Al ragazzino tuo fa male il *****
      ed a te il culo, Nevolo. Non credo
      d'esser veggente, ma so quel che fai!

      IX, 63
      Febo: ogni checca ti convita a cena.
      Chi del suo ***** vive, non è puro.

      XII, 16
      Hai venduto, Labieno, te poderi.
      Hai comprato, Labieno, tre bei culi.
      Tu t'inculi, Labieno, tre poderi!

      il grande MARZIALE

      "
      Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"

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      • gorgone
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        • nel cuore di chi è nel mio cuore
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        #18
        questa ad esempio - mi fa piangere, ogni volta, maledizione.

        GIOVANNI PASCOLI

        La tessitrice

        Mi son seduto su la panchetta
        come una volta . . . quanti anni fa ?
        Ella, come una volta, s'è stretta
        su la panchetta.
        E non il suono d'una parola;
        solo un sorriso tutto pietà.
        La bianca mano lascia la spola.
        Piango, e le dico: Come ho potuto,
        dolce mio bene, partir da te?
        Piange, e mi dice d'un cenno muto:
        Come hai potuto ?
        Con un sospiro quindi la cassa
        tira del muto pettine a sè.
        Muta la spola passa e ripassa.
        Piango, e le chiedo: Perchè non suona
        dunque l'arguto pettine più?
        Ella mi fissa timida e buona:
        Perchè non suona?
        E piange, piange - Mio dolce amore,
        non t'hanno detto? non lo sai tu ?
        Io non son viva che nel tuo cuore.
        Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso
        per te soltanto; come, non so:
        in questa tela, sotto il cipresso,
        accanto alfine ti dormirò

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        • ma_75
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          #19
          Originariamente Scritto da gorgone Visualizza Messaggio
          no beh sono anni che è in via di rivalutazione, se dio vuole.
          piace molto anche a me.

          In ambito "colto" hai sicuramente ragione. Purtroppo in ambito popolare è ancora, per molti, il poeta della rima facile...

          Continuo volentieri con Carducci che, a differenza di Pascoli, trovo troppo robusto nella poesia.
          Come non commuovrsi con questa, però?

          L’albero a cui tendevi
          La pargoletta mano,
          Il verde melograno
          Da’ bei vermigli fior,

          Nel muto orto solingo
          Rinverdì tutto or ora
          E giugno lo ristora
          Di luce e di calor.
          Tu fior della mia pianta

          Percossa e inaridita,
          Tu de l’inutil vita
          Estremo unico fior,
          Sei nella terra fredda,
          Sei nella terra negra;

          Né il sol più ti rallegra
          Né ti risveglia amor.
          In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
          ma_75@bodyweb.com

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          • ma_75
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            #20
            Originariamente Scritto da gorgone Visualizza Messaggio
            questa ad esempio - mi fa piangere, ogni volta, maledizione.

            GIOVANNI PASCOLI

            La tessitrice

            Mi son seduto su la panchetta
            come una volta . . . quanti anni fa ?
            Ella, come una volta, s'è stretta
            su la panchetta.
            E non il suono d'una parola;
            solo un sorriso tutto pietà.
            La bianca mano lascia la spola.
            Piango, e le dico: Come ho potuto,
            dolce mio bene, partir da te?
            Piange, e mi dice d'un cenno muto:
            Come hai potuto ?
            Con un sospiro quindi la cassa
            tira del muto pettine a sè.
            Muta la spola passa e ripassa.
            Piango, e le chiedo: Perchè non suona
            dunque l'arguto pettine più?
            Ella mi fissa timida e buona:
            Perchè non suona?
            E piange, piange - Mio dolce amore,
            non t'hanno detto? non lo sai tu ?
            Io non son viva che nel tuo cuore.
            Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso
            per te soltanto; come, non so:
            in questa tela, sotto il cipresso,
            accanto alfine ti dormirò
            Bellissima. L'esegesi di un testo pascoliano è sempre un'immersione nel dolore.
            In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
            ma_75@bodyweb.com

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            • odisseo
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              #21
              Originariamente Scritto da ma_75 Visualizza Messaggio
              In ambito "colto" hai sicuramente ragione. Purtroppo in ambito popolare è ancora, per molti, il poeta della rima facile...

              Continuo volentieri con Carducci che, a differenza di Pascoli, trovo troppo robusto nella poesia.
              Come non commuovrsi con questa, però?

              L’albero a cui tendevi
              La pargoletta mano,
              Il verde melograno
              Da’ bei vermigli fior,

              Nel muto orto solingo
              Rinverdì tutto or ora
              E giugno lo ristora
              Di luce e di calor.
              Tu fior della mia pianta

              Percossa e inaridita,
              Tu de l’inutil vita
              Estremo unico fior,
              Sei nella terra fredda,
              Sei nella terra negra;

              Né il sol più ti rallegra
              Né ti risveglia amor.
              quasta è una di quelle poesie che sento di +,forse x la storia ma soprattutto x la capacità del poeta.
              "
              Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"

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              • ma_75
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                #22
                Ancora Pascoli

                Nascondi le cose lontane,
                tu nebbia impalpabile e scialba,
                tu fumo che ancora ram polli,
                su l'alba
                da' lampi notturni e da' crolli
                d'aeree frane!

                Nascondi le cose lontane,
                nascondimi quello ch'è morto!
                Ch'io veda soltanto la siepe
                dell'orto,
                la mura ch'ha piene le crepe
                di valeriane.

                Nascondi le cose lontane:
                le cose son ebbre di pianto!
                Ch'io veda i due peschi, i due meli,
                soltanto,
                che dànno i soavi lor mieli
                pel nero mio pane.

                Nascondi le cose lontane
                che vogliono ch'ami e che vada
                Ch'io veda là solo quel bianco
                di strada
                che un giorno ho da fare tra stanco
                don don dI campane...

                Nascondi le cose lontane,
                nascondile, involale al volo
                del cuore ! Ch'io veda il cipresso
                là, solo,
                qui, solo quest'orto, cui presso
                sonnecchia il mio cane.
                In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                ma_75@bodyweb.com

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                  #23
                  Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando
                  pur come quella cui vento affatica;
                  indi la cima qua e là menando,
                  come fosse la lingua che parlasse,
                  gittò voce di fuori, e disse: «Quando
                  mi diparti’ da Circe, che sottrasse
                  me più d’un anno là presso a Gaeta,
                  prima che sì Enea la nomasse,
                  né dolcezza di figlio, né la pieta
                  del vecchio padre, né ’l debito amore
                  lo qual dovea Penelopé far lieta,
                  vincer potero dentro a me l’ardore
                  ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
                  e de li vizi umani e del valore;
                  ma misi me per l’alto mare aperto
                  sol con un legno e con quella compagna
                  picciola da la qual non fui diserto.
                  L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
                  fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
                  e l’altre che quel mare intorno bagna.
                  Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
                  quando venimmo a quella foce stretta
                  dov’Ercule segnò li suoi riguardi,
                  acciò che l’uom più oltre non si metta:
                  da la man destra mi lasciai Sibilia,
                  da l’altra già m’avea lasciata Setta.
                  "O frati", dissi "che per cento milia
                  perigli siete giunti a l’occidente,
                  a questa tanto picciola vigilia
                  d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
                  non vogliate negar l’esperienza,
                  di retro al sol, del mondo sanza gente.
                  Considerate la vostra semenza:
                  fatti non foste a viver come bruti,
                  ma per seguir virtute e canoscenza".

                  Li miei compagni fec’io sì aguti,
                  con questa orazion picciola, al cammino,
                  che a pena poscia li avrei ritenuti;
                  e volta nostra poppa nel mattino,
                  de’ remi facemmo ali al folle volo,
                  sempre acquistando dal lato mancino.
                  Tutte le stelle già de l’altro polo
                  vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
                  che non surgea fuor del marin suolo.
                  Cinque volte racceso e tante casso
                  lo lume era di sotto da la luna,
                  poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
                  quando n’apparve una montagna, bruna
                  per la distanza, e parvemi alta tanto
                  quanto veduta non avea alcuna.
                  Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
                  ché de la nova terra un turbo nacque,
                  e percosse del legno il primo canto.
                  Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
                  a la quarta levar la poppa in suso
                  e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
                  infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».
                  "
                  Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"

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                  • gorgone
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                    • May 2008
                    • 6246
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                    • nel cuore di chi è nel mio cuore
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                    #24
                    la posto in traduzione, cosa che non si dovrebbe fare, ma è un poeta arabo, famosissimo, Nazih Abu 'Afash

                    la poesia è dedicata al figlio


                    E bene che tu sappia, Omar
                    che io non sono un angelo
                    che può andar da Dio di notte
                    a scongiurarlo di aumentar la quantità d'ossigeno nella piccola stanza.
                    Ed è bene che tu sappia, Omar
                    che io non sono Dio
                    da poter dire: questo è tuo...
                    e spogliar gli abitanti del quartiere delle coperte.
                    E non sono il nostro vicino
                    da poterti dare:
                    un letto per dormire
                    una bicicletta per giocare
                    e un padre senza difetti che non batte la testa contro il muro quando piange di dolore.
                    Ed è bene che tu sappia, Omar
                    che i cuori puri verso cui ti induco
                    si son già sporcati
                    ad opera dell'odio e della povertà... e della freddezza dei nervi del mondo.
                    E sappi anche... e anche... e anche
                    che io, anche se non sono quell'angelo,
                    e anche se non ho avuto lo scettro di Dio
                    la cui immagine hai visto nel libro di scuola,
                    e anche se la condizione in cui ci troviamo ora
                    non è quella che dovrebbe essere...
                    questo non significa
                    non significa assolutamente
                    che rinunciamo all'onorabilità del piccolo cuore
                    e che diciamo al mondo:
                    spianaci la strada
                    noi veniamo per scendere a patti.

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                    • Sean
                      Csar
                      • Sep 2007
                      • 119515
                      • 3,210
                      • 3,345
                      • Italy [IT]
                      • In piedi tra le rovine
                      • Send PM

                      #25
                      Nel solco dei Pascoli e dei Carducci, di cui andate così ottimamente dicendo, voglio aggiungere anche l'Ungaretti de " Il dolore", versi scarni come rami spogliati:

                      E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto


                      Mai, non saprete mai come m'illuminaL'ombra che mi si pone a lato, timida,Quando non spero più...
                      ...ma di noi
                      sopra una sola teca di cristallo
                      popoli studiosi scriveranno
                      forse, tra mille inverni
                      «nessun vincolo univa questi morti
                      nella necropoli deserta»

                      C. Campo - Moriremo Lontani


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                      • simones
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                        #26
                        Originariamente Scritto da ma_75 Visualizza Messaggio
                        Ancora Pascoli

                        Nascondi le cose lontane,
                        tu nebbia impalpabile e scialba,
                        tu fumo che ancora ram polli,
                        su l'alba
                        da' lampi notturni e da' crolli
                        d'aeree frane!

                        Nascondi le cose lontane,
                        nascondimi quello ch'è morto!
                        Ch'io veda soltanto la siepe
                        dell'orto,
                        la mura ch'ha piene le crepe
                        di valeriane.

                        Nascondi le cose lontane:
                        le cose son ebbre di pianto!
                        Ch'io veda i due peschi, i due meli,
                        soltanto,
                        che dànno i soavi lor mieli
                        pel nero mio pane.

                        Nascondi le cose lontane
                        che vogliono ch'ami e che vada
                        Ch'io veda là solo quel bianco
                        di strada
                        che un giorno ho da fare tra stanco
                        don don dI campane...

                        Nascondi le cose lontane,
                        nascondile, involale al volo
                        del cuore ! Ch'io veda il cipresso
                        là, solo,
                        qui, solo quest'orto, cui presso
                        sonnecchia il mio cane.

                        tra i miei preferiti
                        "Nulla è gratuito in questo basso mondo. Tutto si sconta, il bene come il male, presto o tardi si paga. Il bene è necessariamente molto più caro."

                        L.F.Celine

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                        • ma_75
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                          #27
                          Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
                          Nel solco dei Pascoli e dei Carducci, di cui andate così ottimamente dicendo, voglio aggiungere anche l'Ungaretti de " Il dolore", versi scarni come rami spogliati:

                          E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto


                          Mai, non saprete mai come m'illuminaL'ombra che mi si pone a lato, timida,Quando non spero più...
                          E volentieri ti seguo con Corazzini




                          Sergio Corazzini – Desolazione del povero poeta sentimentale
                          I

                          Perché tu mi dici: poeta?
                          Io non sono un poeta.
                          Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
                          Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
                          Perché tu mi dici: poeta?


                          II

                          Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
                          Le mie gioie furono semplici,
                          semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
                          Oggi io penso a morire.


                          III

                          Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
                          solamente perché i grandi angioli
                          su le vetrate delle cattedrali
                          mi fanno tremare d'amore e di angoscia;
                          solamente perché, io sono, oramai,
                          rassegnato come uno specchio,
                          come un povero specchio melanconico.
                          Vedi che io non sono un poeta:
                          sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.


                          IV

                          Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
                          E non domandarmi;
                          io non saprei dirti che parole così vane,
                          Dio mio, così vane,
                          che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
                          Le mie lagrime avrebbero l'aria
                          di sgranare un rosario di tristezza
                          davanti alla mia anima sette volte dolente,
                          ma io non sarei un poeta;
                          sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
                          cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.


                          V

                          Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
                          E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
                          poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.


                          VI

                          Questa notte ho dormito con le mani in croce.
                          Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
                          dimenticato da tutti gli umani,
                          povera tenera preda del primo venuto;
                          e desiderai di essere venduto,
                          di essere battuto
                          di essere costretto a digiunare
                          per potermi mettere a piangere tutto solo,
                          disperatamente triste,
                          in un angolo oscuro.


                          VII

                          Io amo la vita semplice delle cose.
                          Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
                          per ogni cosa che se ne andava!
                          Ma tu non mi comprendi e sorridi.
                          E pensi che io sia malato.


                          VIII

                          Oh, io sono, veramente malato!
                          E muoio, un poco, ogni giorno.
                          Vedi: come le cose.
                          Non sono, dunque, un poeta:
                          io so che per esser detto: poeta, conviene
                          viver ben altra vita!
                          Io non so, Dio mio, che morire.
                          Amen.
                          In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                          ma_75@bodyweb.com

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                          • odisseo
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                            #28
                            Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
                            di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
                            in sul mio primo giovenile errore,
                            quand’era in parte altr’uom da quel, ch’i’ sono;
                            del vario stile in ch’io piango e ragiono
                            fra le vane speranze, e ’l van dolore;
                            ove sia chi per prova intenda amore,
                            spero trovar pietà, non che perdono.
                            Ma ben veggio or sì come al popol tutto
                            favola fui gran tempo, onde sovente
                            di me medesmo meco mi vergogno;
                            e del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
                            e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
                            che quanto piace al mondo è breve sogno.

                            Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena,
                            e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia,
                            et garrir Progne et pianger Filomena,
                            e primavera candida e vermiglia.

                            Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena;
                            Giove s'allegra di mirar sua figlia;
                            l'aria e l'acqua e la terra è d'amor piena;
                            ogni animal d'amar si riconsiglia.

                            Ma per me, lasso, tornano i più gravi
                            sospiri, che del cor profondo tragge
                            quella ch'al ciel se ne portò le chiavi;

                            e cantar augelletti, e fiorir piagge,
                            e 'n belle donne oneste atti soavi
                            sono un deserto, e fere aspre e selvagge.


                            Petrarca
                            "
                            Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"

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                            • pina colada
                              Banned
                              • Dec 2007
                              • 13845
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                              • 636
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                              #29
                              Una poesia che adoro.. sarà il titolo, la descrizione.. ma mi riporta ai luoghi in cui sono nata..

                              Gabriele D'Annunzio - Sera fiesolana..

                              Fresche le mie parole ne la sera
                              ti sien come il fruscìo che fan le foglie
                              del gelso ne la man di chi le coglie
                              silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
                              su l'alta scala che s'annera
                              contro il fusto che s'inargenta
                              con le sue rame spoglie
                              mentre la Luna è prossima a le soglie
                              cerule e par che innanzi a sè distenda un velo
                              ove il nostro sogno giace
                              e par che la campagna già si senta
                              da lei sommersa nel notturno gelo
                              e da lei beva la sperata pace
                              senza vederla.
                              Laudata sii pel tuo viso di perla,
                              o Sera, e pe'; tuoi grandi umidi occhi ove si tace
                              l'acqua del cielo!
                              Dolci le mie parole ne la sera
                              ti sien come la pioggia che bruiva
                              tepida e fuggitiva,
                              commiato lacrimoso de la primavera,
                              su i gelsi e su gli olmi e su le viti
                              e su i pinidai novelli rosei diti
                              che giocano con l'aura che si perde,
                              e su 'l grano che non è biondo ancora
                              e non è verde,
                              e su 'l fieno che già patì la falce
                              e trascolora,
                              e su gli olivi, su i fratelli olivi
                              che fan di santità pallidi i clivi
                              e sorridenti.
                              Laudata sii per le tue vesti aulenti,
                              o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
                              il fien che odora!
                              Io ti dirò verso quali reami
                              d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
                              eterne a l'ombra de gli antichi rami
                              parlano nel mistero sacro dei monti;
                              e ti dirò per qual segreto
                              le colline su i limpidi orizzonti
                              s'incurvino come labbra che un divieto
                              chiuda, e perchè la volontà di dire
                              le faccia belle
                              oltre ogni uman desire
                              e nel silenzio lor sempre novelle
                              consolatrici, sì che pare
                              che ogni sera l'anima le possa amare
                              d'amor più forte.
                              Laudata sii per la tua pura morte,
                              o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
                              le prime stelle!

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                                #30
                                La pioggia nel pineto

                                Taci. Su le soglie
                                del bosco non odo
                                parole che dici
                                umane; ma odo
                                parole più nuove
                                che parlano gocciole e foglie
                                lontane.
                                Ascolta. Piove
                                dalle nuvole sparse.
                                Piove su le tamerici
                                salmastre ed arse,
                                piove sui pini
                                scagliosi ed irti,
                                piove su i mirti
                                divini,
                                su le ginestre fulgenti
                                di fiori accolti,
                                su i ginepri folti
                                di coccole aulenti,
                                piove su i nostri volti
                                silvani,
                                piove su le nostre mani
                                ignude,
                                su i nostri vestimenti
                                leggeri,
                                su i freschi pensieri
                                che l'anima schiude
                                novella,
                                su la favola bella
                                che ieri
                                t'illuse, che oggi m'illude,
                                o Ermione.

                                Odi? La pioggia cade
                                su la solitaria
                                verdura
                                con un crepitio che dura
                                e varia nell'aria secondo le fronde
                                più rade, men rade.
                                Ascolta. Risponde
                                al pianto il canto
                                delle cicale
                                che il pianto australe
                                non impaura,
                                né il ciel cinerino.
                                E il pino
                                ha un suono, e il mirto
                                altro suono, e il ginepro
                                altro ancora, stromenti
                                diversi
                                sotto innumerevoli dita.
                                E immensi
                                noi siam nello spirito
                                silvestre,
                                d'arborea vita viventi;
                                e il tuo volto ebro
                                è molle di pioggia
                                come una foglia,
                                e le tue chiome
                                auliscono come
                                le chiare ginestre,
                                o creatura terrestre
                                che hai nome
                                Ermione.

                                Ascolta, Ascolta. L'accordo
                                delle aeree cicale
                                a poco a poco
                                più sordo
                                si fa sotto il pianto
                                che cresce;
                                ma un canto vi si mesce
                                più roco
                                che di laggiù sale,
                                dall'umida ombra remota.
                                Più sordo e più fioco
                                s'allenta, si spegne.
                                Sola una nota
                                ancor trema, si spegne,
                                risorge, trema, si spegne.
                                Non s'ode su tutta la fronda
                                crosciare
                                l'argentea pioggia
                                che monda,
                                il croscio che varia
                                secondo la fronda
                                più folta, men folta.
                                Ascolta.
                                La figlia dell'aria
                                è muta: ma la figlia
                                del limo lontana,
                                la rana,
                                canta nell'ombra più fonda,
                                chi sa dove, chi sa dove!
                                E piove su le tue ciglia,
                                Ermione.

                                Piove su le tue ciglia nere
                                sì che par tu pianga
                                ma di piacere; non bianca
                                ma quasi fatta virente,
                                par da scorza tu esca.
                                E tutta la vita è in noi fresca
                                aulente,
                                il cuor nel petto è come pesca
                                intatta,
                                tra le palpebre gli occhi
                                son come polle tra l'erbe,
                                i denti negli alveoli
                                son come mandorle acerbe.
                                E andiam di fratta in fratta,
                                or congiunti or disciolti
                                ( e il verde vigor rude
                                ci allaccia i melleoli
                                c'intrica i ginocchi)
                                chi sa dove, chi sa dove!
                                E piove su i nostri volti
                                silvani,
                                piove su le nostre mani

                                ignude,
                                su i nostri vestimenti
                                leggeri,
                                su i freschi pensieri
                                che l'anima schiude
                                novella,
                                su la favola bella
                                che ieri
                                m'illuse, che oggi t'illude,
                                o Ermione.

                                qualcosa di straordinario...
                                "
                                Voi potete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi. Ma scappare, però, non potrete giammai, perché là, vi sta guardando Notre Dame"

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