Erano 15 pagine che ho riassunto proprio ai minimi termini, aggiungendo anche qualche considerazione personale e altre cose che conoscevo.. Avrei potuto far di meglio ma ho un po’ di problemi di tempo quindi accontentatevi
La dottrina canonica medievale condannava come illecito il prestito pecuniario a “usura” e il divieto fu accolto dalle stesse norme del diritto della Chiesa. La condanna si basava sulla asserita “sterilità” della moneta, già a suo tempo affermata da Aristotele, il quale osservava che pecunia non parit pecuniam.. e perciò nn era ammissibile che chi ricevesse a prestito una somma fosse tenuto a restituire più di quanto ricevuto.
Tuttavia, l'atteggiamento della chiesa cristiana nei confronti dell'usura teoricamente è sempre stato più netto di quello della cultura ebraica, che poneva il divieto entro i confini del solo giudaismo, tra aderenti alla medesima confessione ebraica, ma lo tollerava tranquillamente nei rapporti con gli stranieri di religione pagana.
Le prime condanne esplicite e forti le troviamo da parte dei Padri della Chiesa (tra cui Ambrogio, Girolamo, Agostino, Basilio..) In particolare, Ambrogio accetta che l'usuraio faccia il prestito a condizione che il beneficiario possa disporre del denaro come vuole, possa cioè investirlo, restituendo la somma con gli interessi solo una volta ottenuta una rendita dal proprio investimento (e in questo nn è molto dissimile dall’atteggiamento islamico che emerge dal post di simone). Inoltre, nei confronti dello straniero, nemico di guerra, egli permette che si esiga l'interesse sul debito quando lo straniero non può essere facilmente vinto in guerra o quando lo si potrebbe uccidere senza compiere un delitto, secondo il principio "dov'è il diritto di guerra, lì è anche il diritto di usura”. Infatti, già con l’inizio delle crociate si cominciò a sostenere in Italia il diritto di chiedere usura ai musulmani. Quindi per tutto il basso Medioevo schiere di teologi e canonisti favorevoli o contrari all'usura si dividevano sulla questione di sapere a chi essa fosse rivolta: infatti, quanti appoggiavano l'idea clericale di un'affermazione temporale della chiesa non avevano dubbi nel ritenerla lecita nei confronti degli stranieri, degli infedeli, dei nemici di guerra e della chiesa romana in generale; quanti invece affrontavano l'argomento in chiave puramente etica, erano in genere contrari a qualunque forma di usura, che veniva paragonata a una sorta di "furto" e a volte persino di "eresia".
Con la progressiva corruzione del clero, in una situazione di lassismo etico, gli ebrei approfittarono del fatto che la legislazione vigente nn colpiva la loro categoria.
Se fino ad allora l'usura non aveva attecchito in misura significativa, era stato semplicemente perché l'economia rurale basata sull'autosussistenza, in una neonata società cristiana, la rendeva assai poco praticabile.
L’usura veniva considerata un "un peccato contro il giusto prezzo", quello di mercato, ovvero che è un interesse esagerato, dettato dalla personale cupidigia.
All'usuraio, che specula sul denaro, si tende sempre più a opporre il mercante, che guadagna legittimamente coi commerci. Si accetta tranquillamente, nel XIII secolo, il fatto che il lavoro (quello ovviamente mercantile) sia a fondamento della ricchezza e si rifiuta l'usura in quanto guadagno senza lavoro.
L'antisemitismo apparso nei secoli XII-XIII è una conseguenza del fatto che alle contraddizioni del capitalismo commerciale non si sa opporre altra soluzione che quella di criminalizzare singole categorie di persone. Gli ebrei, pur essendo economicamente forti, erano politicamente molto deboli, per cui era molto facile far passare la loro situazione finanziaria come un privilegio ingiustificato. Tant'è che mentre gli usurai cristiani venivano processati in tolleranti tribunali ecclesiastici, quelli ebrei invece erano sottoposti ai più severi giudizi dei tribunali laici.
I sovrani infatti, che pur ricorrono abbondantemente a prestiti usurari, possono espropriare gli usurai come e quando vogliono, sicuri di non incorrere in sanzioni ecclesiastiche.
In generale tuttavia possiamo dire che la condanna dell'usura, in tutto il basso Medioevo, è più teorica che pratica, anzi forse è tanto più teorica quanto meno è pratica.
A partire dal XII secolo, si assiste, in Europa occidentale, a uno straordinario diffondersi dell'usura tra gli ebrei: l’usuraio è di norma un ebreo, e la parola “ebreo” acquista il significato di “usuraio”. Gli ebrei prestano denaro ai governi per i loro eserciti e le loro funzioni, ai nobili per i loro lussi, ma anche alle classi più modeste, artigiani e contadini e perfino alle abbazie e ai conventi.
Anche se il mestiere di usuraio non era scevro da gravi pericoli, sia per l’incerto status sociale dei giudei, sia perché i debitori spesso tendevano a sottrarsi ai loro impegni contrattuali fomentando l’antisemitismo e le persecuzioni razziali, gli ebrei avevano buoni motivi per farsi usurai.
Anzitutto, non essendo cristiani, non erano toccati dal divieto della Chiesa e non avevano nulla da perdere; in secondo luogo, soggetti com’erano a persecuzioni, sopraffazione e soprusi d’ogni genere, erano naturalmente portati a scegliere un mestiere i cui profitti fossero facili a nascondersi e a trasferirsi; in terzo luogo, la strettezza dei rapporti che intrattenevano con i loro correligionari non solo in Europa ma anche nelle contrade islamiche rendeva loro più agevole procurarsi e scambiarsi la valuta occorrente per grosse operazioni finanziarie. Gli ebrei, esercitando l’usura, soddisfacevano un bisogno reale della società, in un’Europa che stava passando da un’economia di mera sussistenza a un’economia che richiedeva un maggiore uso di denaro, bene che allora era assai scarso.
Esposti a infamanti accuse, sempre minacciati di repentina espulsione, privati perfino del diritto alla vita, gli ebrei erano indotti a vedere nel denaro la sola arma di difesa, anzi, una cosa dotata di valore sacro. Era col prestito di questa cosa preziosa, il denaro, che gli ebrei si guadagnavano da vivere, anche se non è da credere che tutti accumulassero ingenti fortune.
La Chiesa, nel frattempo aveva da tempo tassativamente proibito ai cristiani, religiosi e laici, d’esercitare l’usura, dando però la facoltà ai preti d’esimere i debitori dal pagare interessi, come pure d’indurre gli usurai, spesso in punto di morte, a rendere ai debitori le somme percepite come interessi sui mutui, ovvero a farne donazione alla Chiesa stessa.
Inoltre, a partire dall’XI secolo, calcò sempre più la mano sui divieti e sulle pene da comminare ai trasgressori.
Quale sia nei primi secoli dopo il Mille l'origine dello stereotipo dell'"ebreo usuraio", quello stereotipo che si trasformerà poi in pregiudizio e sarà una delle giustificazioni dell'antisemitismo, è dunque il risultato di un contrasto, allora insanabile, tra la Chiesa e la comunità ebraica.
La Chiesa fra il Due e il Quattrocento fissò una netta distinzione fra usura e credito e identificò come usura solo il prestito a interesse su pegno gestito pubblicamente. Gli ebrei ebbero il ruolo di usurai non perché effettivamente monopolizzassero il mercato del denaro, ma per due ragioni principali:
le loro attività economiche, qualunque fossero, erano identificate dal mondo cattolico come "usuraie" perché praticate da "infideles", ritenuti incapaci in quanto tali di intendere il senso spirituale delle Scritture e, di conseguenza, ritenuti estranei, in quanto "carnales", ossia non convertiti e ostinati nel proprio errore; inoltre l'effettiva presenza di prestatori su pegno ebrei nelle città italiane alla fine del Medioevo, anche se promossa e sollecitata dalle città stesse, confermò l'immagine precedente e consentì all'attenzione pubblica di distogliersi dal contemporaneo, forte sviluppo della banca cristiana, che nella realtà andava monopolizzando i circuiti del denaro in tutta Europa.
Il Concilio Lateranense II (1139) confermava la scomunica degli usurai; nel III Concilio Lateranense (1179) il prestito a interesse veniva di nuovo condannato con la massima severità, mentre col IV Concilio di Lione (1214) papa Gregorio X chiamava i cristiani a fare ogni sforzo per porre termine alla pratica dell’usura; l’anno dopo, Innocenzo III imponeva ai giudei l’obbligo di portare sul petto il distintivo della loro condizione di emarginati o di mettere in capo un berretto giallo (disposizione che però non fu sempre rigorosamente applicata a Roma e, in genere, in Italia).
Questi severi provvedimenti delle somme autorità religiose, ovviamente supportate dal “braccio secolare”, rendevano pericoloso l’esercizio dell’usura da parte dei cristiani; mentre come si è detto per gli ebrei, popolo reietto e abbandonato dal Dio cristiano, non avevano nulla da perdere, né sulla terra né in cielo, essendo già, salvo il caso di pronte conversioni alla vera fede, predestinati alla dannazione eterna.
Accadeva così che gli usurai ebrei, ancorché odiati e disprezzati, fossero preferiti agli usurai cristiani, i quali, correndo rischi anche più gravi dei giudei, praticavano spesso tassi d’interesse più esosi.
Col progredire dei traffici, il numero dei cristiani che osavano praticare l’usura era andato crescendo di continuo.
A peggiorare la situazione si aggiungeva questa complicazione: i re di Francia, di Spagna, d’Inghilterra e così via, non solo pretendevano denaro a prestito dagli ebrei per le loro guerre, le sante crociate, le opere pubbliche, ecc., ma imponevano loro pesanti taglieggiamenti sotto forma di tasse sui proventi dell’usura.
C’erano, a disposizione dei monarchi, altri e più duri metodi, peraltro, di taglieggiare gli ebrei e rimpinguare i forzieri reali: si poteva emanare un editto per la cancellazione di tutti i debiti, o si potevano arrestare gli ebrei in massa, costringendoli a pagare un forte riscatto; si potevano applicare loro multe esorbitanti, o imporre “donazioni” per circostanze straordinarie (matrimoni regali, nascite di principi e così via); e infine- soluzione finale - si potevano espellere dal regno tutti gli ebrei, facendo loro pagare assai cara l’eventuale riammissione.
Uno dei primi a far ricorso a questo odioso mezzo fu Filippo Augusto, re di Francia, che nel 1182 cacciò dal paese tutti gli ebrei e ne confiscò i beni; di lì a pochi anni li riammise imponendo loro una pesante donazione.
Nel XIII secolo, un fatto nuovo era sopravvenuto a complicare le cose: i primi banchieri italiani avevano cominciato a prendere il posto degli ebrei nella vita economica dei paesi. A volte il re, trovandosi indebitato con prestatori di denaro stranieri (non ebrei), e specialmente con italiani, concedeva ai suoi creditori la facoltà di rivalersi sugli ebrei, riscotendo in sua vece le imposte da loro dovute.
Infatti questo fenomeno aggravava la situazione economica e peggiorava la posizione sociale degli ebrei nell’Europa del nord: lo sviluppo e il rafforzamento delle iniziative finanziare dei lombardi cominciavano a spezzare quello che era stato un vero e proprio monopolio degli ebrei, l’usura, riducendo molti di costoro alla più umile professione di prestatori su pegno.
Lo stereotipo dell’ebreo usuraio e il marchio di usura attribuito all’intero popolo ebraico a partire dai primi secoli dopo il Mille e a causa della loro esclusione da quasi tutte le attività economiche ad eccezione di quella del prestito ad interesse, hanno determinato e sviluppato le radici dell’antisemitismo moderno.
C’è da dire però che la Chiesa romana non si opponeva all'usura per motivi etici, ma perché, ambendo a un potere assolutistico, doveva necessariamente opporsi a tutte quelle realtà che la contestavano, che sfuggivano al suo controllo, che minavano la sua credibilità o che potevano servire per coagulare consensi: tra queste realtà sociali vi erano gli ebrei, per i quali fu facile trovare l'accusa d'essere usurai.
L'antisemitismo era dunque funzionale a esigenze politiche e la lotta contro l'usura rientrava in un piano strategico più generale di affermazione imperiale del papato.
Il problema però è che la chiesa cominciò a perseguitare gli ebrei nel momento stesso in cui cominciò a favorire i mercanti. Il suo progetto di affermazione teocratica andò di pari passo con l'affermazione del mercantilismo, e di quest'ultimo gli ebrei costituirono soltanto una componente limitata, che in nessun modo avrebbe potuto mettere in discussione l'evolversi dei processi ecclesiastici iniziati con la riforma gregoriana, né favorire in maniera decisiva l'evolversi dei processi mercantili iniziati con lo sviluppo del sistema comunale.
L'usura praticata dagli ebrei non favoriva infatti, direttamente, il mercantilismo, ma semmai minava le basi del feudalesimo. Il mercantilismo aveva bisogno di ben altre condizioni, strutturali e sovrastrutturali, per potersi diffondere. E in ogni caso l'usura era tanto più praticata dagli ebrei quanto più praticato dai cristiani era il mercantilismo. E l'antisemitismo, sempre e ovunque, diventa tanto più marcato quanto meno si riesce a porre un freno allo sviluppo delle contraddizioni antagonistiche del mercantilismo.
La chiesa romana fu dunque contraria all'usura per favorire in un certo senso il mercantilismo, che, affinché potesse sviluppare "legalmente", aveva bisogno di una realtà da presentare come forma antitetica da superare, come negatività da reprimere, e quella ebraica veniva facilmente incontro a tale esigenza.
Da un certo punto in poi, la chiesa arrivò addirittura a favorire l’usura cristiana giustificandola coi concetti di “interesse”, di “rischio”, “prestito su pegno”, “purgatorio”, oppoinendosi formalmente all’usura ebraica:
1)Nell’ambito della teologia scolastica si arriva all’idea del premio sul rischio ( scusate l’ot ma è questo un concetto che sto studiando molto in questi giorni )
2)Si afferma la differenza tra interesse (profitto moderato ma necessario) (l’unica usura che approvo ). Quindi la differenza tra “usura” e “interese” è per intensità.. Prestare soldi può anche significare rischiare di perderli: l'interesse diventa una forma legittima di tutela, perfino una forma di salario legittimo, se il prestatore non ha altri introiti che questo. Ovviamente la teoria scolastica dell'interesse non era stata elaborata per giustificare l'attività professionale dell'usuraio, che risultava sempre moralmente riprovevole, quanto per legittimare l'attività di quel mercante che voleva praticare intenzionalmente il prestito senza per questo voler passare per un usuraio e, nel contempo, continuando ad effigiarsi del titolo di cittadino "cristiano" a tutti gli effetti.
3)Con l’affermazione delle prime grandi banche, si definì come “rendita” (accettata dalla chiesa come quella ottenuta dal lavoro del servo della gleba) l’interesse fisso che i depositanti traevano dai depositi.. Anche perché l’opinione pubblica accettava l’idea di una banca.. Quindi, in sostanza l'usura che si condannava era solo quella manifesta, cioè quella praticata da chi pubblicamente si metteva nella condizione di prestare denaro a interesse e che faceva del prestito la propria attività principale.
Le banche, ufficialmente, non svolgevano come prima operazione quella di prestare denaro a interesse, ma quella semmai di dare un interesse sui depositi dei clienti. Questa distinzione sofistica era sufficiente per sottrarle all'accusa di praticare l'usura.
4)Nel 400 vennero istituiti i Monti di Pietà che praticavano tassi d’interesse mooooolto inferiori a quelli degli usurai ed erano giustificati proprio perché l'interesse richiesto, in rapporto all'importo concesso e alla sua durata, andava considerato come una sorta di rimborso spese per il servizio prestato, ed inoltre poichè i proprietari del Monte erano gli stessi fruitori!
Con l'istituzione di queste agenzie municipali di prestiti su pegno tende ad affermarsi l'idea che agli ebrei andava recisamente vietata qualunque forma di prestito a interesse. Ci si illudeva di poter ovviare alle contraddizioni del mercantilismo usando le armi dell'antisemitismo.
In sostanza quanto più i teologi si opponevano all'usura condotta in forma privata, tanto più la ufficializzavano in forma pubblica, giustificando in maniera sempre più decisa l'ideologia mercantile. La stessa istituzione specifica del Monte per il mutuo alla povera gente, in cambio di un pegno come garanzia e di un certo interesse per il servizio, era un altro segno del fallimento dei principi comunitari cristiani
5)Proprio per attenuare la plurisecolare condanna ecclesiastica della pratica dell'usura, venne introdotto il concetto di “purgatorio”: parenti e conoscenti dell'usuraio potevano con le loro preghiere, offerte, intercessioni, suffragi, abbreviare il periodo di sofferenza del condannato, aprendogli le porte del paradiso.
Questo ovviamente a condizione che l'usuraio, almeno sul punto di morte, si pentisse e avesse intenzione di restituire il maltolto o quanto meno le eccedenze, visto ch'egli non poteva lasciare sul lastrico moglie e figli, i quali dovevano evitare di proseguire l'attività del congiunto.
Il purgatorio poteva evitare all'usuraio una condanna definitiva nell'aldilà, mentre nella vita terrena la distinzione tra "usura" e "interesse" poteva permettere a chiunque, quindi anche all'usuraio, di poter praticare legittimamente il prestito a interesse, a condizione che questo non fosse esoso.
Tuttavia dire che gli iniziatori del capitalismo siano stati gli usurai (come sostiene Le Goff) o che l’etica economica medievale sia stata “concessiva” più che “costrittiva” è piuttosto semplicistico. Infatti la chiesa romana nn fu tanto indotta ad accettare il mercantilismo e l’usura come un male inevitabile. Anzi, essa vi contribuì se non direttamente, almeno indirettamente, col proprio atteggiamento politico di potenza terrena, ostile alle istituzioni laiche, contraddittorio alle premesse cristiane della propria missione (si pensi solo al fatto che gran parte delle maggiori cariche ecclesiastiche sono sempre state oggetto di "simonia" e che il commercio dei beni religiosi è sempre stato all'ordine del giorno di tutte le più importanti riforme ecclesiastiche medievali).
Lo sviluppo dell’economia mercantile andò di pari passo con la crisi dell'economia rurale, che aveva trovato nel feudalesimo carolingio un sistema oppressivo, gerarchico-autoritario, colonialista, molto fiscale, legato alla chiesa romana da un rapporto clientelare, strettamente ideologico-politico.
Il mercantilismo basso medievale è una reazione individualistica alla crisi del collettivismo forzato del feudalesimo franco-cattolico. Ed esso ha trovato la sua legittimazione teorica nei teologici e canonisti della Scolastica (a cui ho accennato poco più su tra le giustificazioni..)
L’usura nn ha dunque contribuito a far nascere il capitalismo come può apparire a prima vista, ma ha semplicemente contribuito alla distruzione del feudalesimo.
Le idee borghesi non si sono formate al di fuori del feudalesimo ma al suo interno, quindi la chiesa romana non può averle costatate passivamente, cercando di adeguarvisi con rassegnazione, pur nel tentativo di salvare il salvabile.
La pratica e le idee borghesi sono troppo antitetiche a quelle della società rurale alto medievale perché si possa pensare che la stessa chiesa romana non abbia contribuito a promuoverle.
Quindi, col proprio atteggiamento politico mondano la chiesa romana favorì, indirettamente, la nascita della moderna figura del mercante, la cui ideologia dualista (borghese nella pratica e cristiana nella teoria) si poneva come forma di reazione opportunistica all'integralismo politico-religioso del papato. Da una serie progressiva di concessioni (formali), che la chiesa stessa aveva in qualche modo contribuito a rendere inevitabili, ad un certo punto era nata una nuova qualità di vita economica, nei cui confronti la stessa chiesa romana necessitava di rivoluzionarsi in direzione del protestantesimo.
In conclusione possiamo dire che l’usura si afferma laddove i rapporti mercantili-monetari si affermano su quelli naturali dell’autoconsumo, dove i commerci sono fiorenti, ma anche dove i rapporti di classe sono molto antagonistici..
Tali condizioni mi pare si ritrovino attualmente anche nei paesi islamici quindi teoricamente le premesse ci sarebbero..Però bisogna tener conto anche di un altro fattore..
Nel mondo cristiano, il capitalismo nasce quando da un lato il borghese poteva chiaramente differenziare la propria attività da quella usuraria, facendola in un certo senso passare per un'alternativa legittima, convincente, adeguata, e dall'altro quando la pratica dell'usura, legalizzata nelle forme del moderno credito, si trasformava in un forma incentivante a sviluppare rapporti di sfruttamento di lavoro, in cui le parti contraenti erano giuridicamente e formalmente libere. Cosa che il cattolicesimo-romano, essendo una religione feudale, impostata sul rapporto personale di soggezione e quindi sulla rendita, non avrebbe potuto accettare sino in fondo, senza prima trasformarsi in una religione protestante, adatta a un credente di tipo borghese e imprenditoriale…..
Beh alla luce di tutto ciò e delle considerazioni che ho fatto anche nelle ultime righe vorrei qualche spunto per trovare differenze e similitudini...
La dottrina canonica medievale condannava come illecito il prestito pecuniario a “usura” e il divieto fu accolto dalle stesse norme del diritto della Chiesa. La condanna si basava sulla asserita “sterilità” della moneta, già a suo tempo affermata da Aristotele, il quale osservava che pecunia non parit pecuniam.. e perciò nn era ammissibile che chi ricevesse a prestito una somma fosse tenuto a restituire più di quanto ricevuto.
Tuttavia, l'atteggiamento della chiesa cristiana nei confronti dell'usura teoricamente è sempre stato più netto di quello della cultura ebraica, che poneva il divieto entro i confini del solo giudaismo, tra aderenti alla medesima confessione ebraica, ma lo tollerava tranquillamente nei rapporti con gli stranieri di religione pagana.
Le prime condanne esplicite e forti le troviamo da parte dei Padri della Chiesa (tra cui Ambrogio, Girolamo, Agostino, Basilio..) In particolare, Ambrogio accetta che l'usuraio faccia il prestito a condizione che il beneficiario possa disporre del denaro come vuole, possa cioè investirlo, restituendo la somma con gli interessi solo una volta ottenuta una rendita dal proprio investimento (e in questo nn è molto dissimile dall’atteggiamento islamico che emerge dal post di simone). Inoltre, nei confronti dello straniero, nemico di guerra, egli permette che si esiga l'interesse sul debito quando lo straniero non può essere facilmente vinto in guerra o quando lo si potrebbe uccidere senza compiere un delitto, secondo il principio "dov'è il diritto di guerra, lì è anche il diritto di usura”. Infatti, già con l’inizio delle crociate si cominciò a sostenere in Italia il diritto di chiedere usura ai musulmani. Quindi per tutto il basso Medioevo schiere di teologi e canonisti favorevoli o contrari all'usura si dividevano sulla questione di sapere a chi essa fosse rivolta: infatti, quanti appoggiavano l'idea clericale di un'affermazione temporale della chiesa non avevano dubbi nel ritenerla lecita nei confronti degli stranieri, degli infedeli, dei nemici di guerra e della chiesa romana in generale; quanti invece affrontavano l'argomento in chiave puramente etica, erano in genere contrari a qualunque forma di usura, che veniva paragonata a una sorta di "furto" e a volte persino di "eresia".
Con la progressiva corruzione del clero, in una situazione di lassismo etico, gli ebrei approfittarono del fatto che la legislazione vigente nn colpiva la loro categoria.
Se fino ad allora l'usura non aveva attecchito in misura significativa, era stato semplicemente perché l'economia rurale basata sull'autosussistenza, in una neonata società cristiana, la rendeva assai poco praticabile.
L’usura veniva considerata un "un peccato contro il giusto prezzo", quello di mercato, ovvero che è un interesse esagerato, dettato dalla personale cupidigia.
All'usuraio, che specula sul denaro, si tende sempre più a opporre il mercante, che guadagna legittimamente coi commerci. Si accetta tranquillamente, nel XIII secolo, il fatto che il lavoro (quello ovviamente mercantile) sia a fondamento della ricchezza e si rifiuta l'usura in quanto guadagno senza lavoro.
L'antisemitismo apparso nei secoli XII-XIII è una conseguenza del fatto che alle contraddizioni del capitalismo commerciale non si sa opporre altra soluzione che quella di criminalizzare singole categorie di persone. Gli ebrei, pur essendo economicamente forti, erano politicamente molto deboli, per cui era molto facile far passare la loro situazione finanziaria come un privilegio ingiustificato. Tant'è che mentre gli usurai cristiani venivano processati in tolleranti tribunali ecclesiastici, quelli ebrei invece erano sottoposti ai più severi giudizi dei tribunali laici.
I sovrani infatti, che pur ricorrono abbondantemente a prestiti usurari, possono espropriare gli usurai come e quando vogliono, sicuri di non incorrere in sanzioni ecclesiastiche.
In generale tuttavia possiamo dire che la condanna dell'usura, in tutto il basso Medioevo, è più teorica che pratica, anzi forse è tanto più teorica quanto meno è pratica.
A partire dal XII secolo, si assiste, in Europa occidentale, a uno straordinario diffondersi dell'usura tra gli ebrei: l’usuraio è di norma un ebreo, e la parola “ebreo” acquista il significato di “usuraio”. Gli ebrei prestano denaro ai governi per i loro eserciti e le loro funzioni, ai nobili per i loro lussi, ma anche alle classi più modeste, artigiani e contadini e perfino alle abbazie e ai conventi.
Anche se il mestiere di usuraio non era scevro da gravi pericoli, sia per l’incerto status sociale dei giudei, sia perché i debitori spesso tendevano a sottrarsi ai loro impegni contrattuali fomentando l’antisemitismo e le persecuzioni razziali, gli ebrei avevano buoni motivi per farsi usurai.
Anzitutto, non essendo cristiani, non erano toccati dal divieto della Chiesa e non avevano nulla da perdere; in secondo luogo, soggetti com’erano a persecuzioni, sopraffazione e soprusi d’ogni genere, erano naturalmente portati a scegliere un mestiere i cui profitti fossero facili a nascondersi e a trasferirsi; in terzo luogo, la strettezza dei rapporti che intrattenevano con i loro correligionari non solo in Europa ma anche nelle contrade islamiche rendeva loro più agevole procurarsi e scambiarsi la valuta occorrente per grosse operazioni finanziarie. Gli ebrei, esercitando l’usura, soddisfacevano un bisogno reale della società, in un’Europa che stava passando da un’economia di mera sussistenza a un’economia che richiedeva un maggiore uso di denaro, bene che allora era assai scarso.
Esposti a infamanti accuse, sempre minacciati di repentina espulsione, privati perfino del diritto alla vita, gli ebrei erano indotti a vedere nel denaro la sola arma di difesa, anzi, una cosa dotata di valore sacro. Era col prestito di questa cosa preziosa, il denaro, che gli ebrei si guadagnavano da vivere, anche se non è da credere che tutti accumulassero ingenti fortune.
La Chiesa, nel frattempo aveva da tempo tassativamente proibito ai cristiani, religiosi e laici, d’esercitare l’usura, dando però la facoltà ai preti d’esimere i debitori dal pagare interessi, come pure d’indurre gli usurai, spesso in punto di morte, a rendere ai debitori le somme percepite come interessi sui mutui, ovvero a farne donazione alla Chiesa stessa.
Inoltre, a partire dall’XI secolo, calcò sempre più la mano sui divieti e sulle pene da comminare ai trasgressori.
Quale sia nei primi secoli dopo il Mille l'origine dello stereotipo dell'"ebreo usuraio", quello stereotipo che si trasformerà poi in pregiudizio e sarà una delle giustificazioni dell'antisemitismo, è dunque il risultato di un contrasto, allora insanabile, tra la Chiesa e la comunità ebraica.
La Chiesa fra il Due e il Quattrocento fissò una netta distinzione fra usura e credito e identificò come usura solo il prestito a interesse su pegno gestito pubblicamente. Gli ebrei ebbero il ruolo di usurai non perché effettivamente monopolizzassero il mercato del denaro, ma per due ragioni principali:
le loro attività economiche, qualunque fossero, erano identificate dal mondo cattolico come "usuraie" perché praticate da "infideles", ritenuti incapaci in quanto tali di intendere il senso spirituale delle Scritture e, di conseguenza, ritenuti estranei, in quanto "carnales", ossia non convertiti e ostinati nel proprio errore; inoltre l'effettiva presenza di prestatori su pegno ebrei nelle città italiane alla fine del Medioevo, anche se promossa e sollecitata dalle città stesse, confermò l'immagine precedente e consentì all'attenzione pubblica di distogliersi dal contemporaneo, forte sviluppo della banca cristiana, che nella realtà andava monopolizzando i circuiti del denaro in tutta Europa.
Il Concilio Lateranense II (1139) confermava la scomunica degli usurai; nel III Concilio Lateranense (1179) il prestito a interesse veniva di nuovo condannato con la massima severità, mentre col IV Concilio di Lione (1214) papa Gregorio X chiamava i cristiani a fare ogni sforzo per porre termine alla pratica dell’usura; l’anno dopo, Innocenzo III imponeva ai giudei l’obbligo di portare sul petto il distintivo della loro condizione di emarginati o di mettere in capo un berretto giallo (disposizione che però non fu sempre rigorosamente applicata a Roma e, in genere, in Italia).
Questi severi provvedimenti delle somme autorità religiose, ovviamente supportate dal “braccio secolare”, rendevano pericoloso l’esercizio dell’usura da parte dei cristiani; mentre come si è detto per gli ebrei, popolo reietto e abbandonato dal Dio cristiano, non avevano nulla da perdere, né sulla terra né in cielo, essendo già, salvo il caso di pronte conversioni alla vera fede, predestinati alla dannazione eterna.
Accadeva così che gli usurai ebrei, ancorché odiati e disprezzati, fossero preferiti agli usurai cristiani, i quali, correndo rischi anche più gravi dei giudei, praticavano spesso tassi d’interesse più esosi.
Col progredire dei traffici, il numero dei cristiani che osavano praticare l’usura era andato crescendo di continuo.
A peggiorare la situazione si aggiungeva questa complicazione: i re di Francia, di Spagna, d’Inghilterra e così via, non solo pretendevano denaro a prestito dagli ebrei per le loro guerre, le sante crociate, le opere pubbliche, ecc., ma imponevano loro pesanti taglieggiamenti sotto forma di tasse sui proventi dell’usura.
C’erano, a disposizione dei monarchi, altri e più duri metodi, peraltro, di taglieggiare gli ebrei e rimpinguare i forzieri reali: si poteva emanare un editto per la cancellazione di tutti i debiti, o si potevano arrestare gli ebrei in massa, costringendoli a pagare un forte riscatto; si potevano applicare loro multe esorbitanti, o imporre “donazioni” per circostanze straordinarie (matrimoni regali, nascite di principi e così via); e infine- soluzione finale - si potevano espellere dal regno tutti gli ebrei, facendo loro pagare assai cara l’eventuale riammissione.
Uno dei primi a far ricorso a questo odioso mezzo fu Filippo Augusto, re di Francia, che nel 1182 cacciò dal paese tutti gli ebrei e ne confiscò i beni; di lì a pochi anni li riammise imponendo loro una pesante donazione.
Nel XIII secolo, un fatto nuovo era sopravvenuto a complicare le cose: i primi banchieri italiani avevano cominciato a prendere il posto degli ebrei nella vita economica dei paesi. A volte il re, trovandosi indebitato con prestatori di denaro stranieri (non ebrei), e specialmente con italiani, concedeva ai suoi creditori la facoltà di rivalersi sugli ebrei, riscotendo in sua vece le imposte da loro dovute.
Infatti questo fenomeno aggravava la situazione economica e peggiorava la posizione sociale degli ebrei nell’Europa del nord: lo sviluppo e il rafforzamento delle iniziative finanziare dei lombardi cominciavano a spezzare quello che era stato un vero e proprio monopolio degli ebrei, l’usura, riducendo molti di costoro alla più umile professione di prestatori su pegno.
Lo stereotipo dell’ebreo usuraio e il marchio di usura attribuito all’intero popolo ebraico a partire dai primi secoli dopo il Mille e a causa della loro esclusione da quasi tutte le attività economiche ad eccezione di quella del prestito ad interesse, hanno determinato e sviluppato le radici dell’antisemitismo moderno.
C’è da dire però che la Chiesa romana non si opponeva all'usura per motivi etici, ma perché, ambendo a un potere assolutistico, doveva necessariamente opporsi a tutte quelle realtà che la contestavano, che sfuggivano al suo controllo, che minavano la sua credibilità o che potevano servire per coagulare consensi: tra queste realtà sociali vi erano gli ebrei, per i quali fu facile trovare l'accusa d'essere usurai.
L'antisemitismo era dunque funzionale a esigenze politiche e la lotta contro l'usura rientrava in un piano strategico più generale di affermazione imperiale del papato.
Il problema però è che la chiesa cominciò a perseguitare gli ebrei nel momento stesso in cui cominciò a favorire i mercanti. Il suo progetto di affermazione teocratica andò di pari passo con l'affermazione del mercantilismo, e di quest'ultimo gli ebrei costituirono soltanto una componente limitata, che in nessun modo avrebbe potuto mettere in discussione l'evolversi dei processi ecclesiastici iniziati con la riforma gregoriana, né favorire in maniera decisiva l'evolversi dei processi mercantili iniziati con lo sviluppo del sistema comunale.
L'usura praticata dagli ebrei non favoriva infatti, direttamente, il mercantilismo, ma semmai minava le basi del feudalesimo. Il mercantilismo aveva bisogno di ben altre condizioni, strutturali e sovrastrutturali, per potersi diffondere. E in ogni caso l'usura era tanto più praticata dagli ebrei quanto più praticato dai cristiani era il mercantilismo. E l'antisemitismo, sempre e ovunque, diventa tanto più marcato quanto meno si riesce a porre un freno allo sviluppo delle contraddizioni antagonistiche del mercantilismo.
La chiesa romana fu dunque contraria all'usura per favorire in un certo senso il mercantilismo, che, affinché potesse sviluppare "legalmente", aveva bisogno di una realtà da presentare come forma antitetica da superare, come negatività da reprimere, e quella ebraica veniva facilmente incontro a tale esigenza.
Da un certo punto in poi, la chiesa arrivò addirittura a favorire l’usura cristiana giustificandola coi concetti di “interesse”, di “rischio”, “prestito su pegno”, “purgatorio”, oppoinendosi formalmente all’usura ebraica:
1)Nell’ambito della teologia scolastica si arriva all’idea del premio sul rischio ( scusate l’ot ma è questo un concetto che sto studiando molto in questi giorni )
2)Si afferma la differenza tra interesse (profitto moderato ma necessario) (l’unica usura che approvo ). Quindi la differenza tra “usura” e “interese” è per intensità.. Prestare soldi può anche significare rischiare di perderli: l'interesse diventa una forma legittima di tutela, perfino una forma di salario legittimo, se il prestatore non ha altri introiti che questo. Ovviamente la teoria scolastica dell'interesse non era stata elaborata per giustificare l'attività professionale dell'usuraio, che risultava sempre moralmente riprovevole, quanto per legittimare l'attività di quel mercante che voleva praticare intenzionalmente il prestito senza per questo voler passare per un usuraio e, nel contempo, continuando ad effigiarsi del titolo di cittadino "cristiano" a tutti gli effetti.
3)Con l’affermazione delle prime grandi banche, si definì come “rendita” (accettata dalla chiesa come quella ottenuta dal lavoro del servo della gleba) l’interesse fisso che i depositanti traevano dai depositi.. Anche perché l’opinione pubblica accettava l’idea di una banca.. Quindi, in sostanza l'usura che si condannava era solo quella manifesta, cioè quella praticata da chi pubblicamente si metteva nella condizione di prestare denaro a interesse e che faceva del prestito la propria attività principale.
Le banche, ufficialmente, non svolgevano come prima operazione quella di prestare denaro a interesse, ma quella semmai di dare un interesse sui depositi dei clienti. Questa distinzione sofistica era sufficiente per sottrarle all'accusa di praticare l'usura.
4)Nel 400 vennero istituiti i Monti di Pietà che praticavano tassi d’interesse mooooolto inferiori a quelli degli usurai ed erano giustificati proprio perché l'interesse richiesto, in rapporto all'importo concesso e alla sua durata, andava considerato come una sorta di rimborso spese per il servizio prestato, ed inoltre poichè i proprietari del Monte erano gli stessi fruitori!
Con l'istituzione di queste agenzie municipali di prestiti su pegno tende ad affermarsi l'idea che agli ebrei andava recisamente vietata qualunque forma di prestito a interesse. Ci si illudeva di poter ovviare alle contraddizioni del mercantilismo usando le armi dell'antisemitismo.
In sostanza quanto più i teologi si opponevano all'usura condotta in forma privata, tanto più la ufficializzavano in forma pubblica, giustificando in maniera sempre più decisa l'ideologia mercantile. La stessa istituzione specifica del Monte per il mutuo alla povera gente, in cambio di un pegno come garanzia e di un certo interesse per il servizio, era un altro segno del fallimento dei principi comunitari cristiani
5)Proprio per attenuare la plurisecolare condanna ecclesiastica della pratica dell'usura, venne introdotto il concetto di “purgatorio”: parenti e conoscenti dell'usuraio potevano con le loro preghiere, offerte, intercessioni, suffragi, abbreviare il periodo di sofferenza del condannato, aprendogli le porte del paradiso.
Questo ovviamente a condizione che l'usuraio, almeno sul punto di morte, si pentisse e avesse intenzione di restituire il maltolto o quanto meno le eccedenze, visto ch'egli non poteva lasciare sul lastrico moglie e figli, i quali dovevano evitare di proseguire l'attività del congiunto.
Il purgatorio poteva evitare all'usuraio una condanna definitiva nell'aldilà, mentre nella vita terrena la distinzione tra "usura" e "interesse" poteva permettere a chiunque, quindi anche all'usuraio, di poter praticare legittimamente il prestito a interesse, a condizione che questo non fosse esoso.
Tuttavia dire che gli iniziatori del capitalismo siano stati gli usurai (come sostiene Le Goff) o che l’etica economica medievale sia stata “concessiva” più che “costrittiva” è piuttosto semplicistico. Infatti la chiesa romana nn fu tanto indotta ad accettare il mercantilismo e l’usura come un male inevitabile. Anzi, essa vi contribuì se non direttamente, almeno indirettamente, col proprio atteggiamento politico di potenza terrena, ostile alle istituzioni laiche, contraddittorio alle premesse cristiane della propria missione (si pensi solo al fatto che gran parte delle maggiori cariche ecclesiastiche sono sempre state oggetto di "simonia" e che il commercio dei beni religiosi è sempre stato all'ordine del giorno di tutte le più importanti riforme ecclesiastiche medievali).
Lo sviluppo dell’economia mercantile andò di pari passo con la crisi dell'economia rurale, che aveva trovato nel feudalesimo carolingio un sistema oppressivo, gerarchico-autoritario, colonialista, molto fiscale, legato alla chiesa romana da un rapporto clientelare, strettamente ideologico-politico.
Il mercantilismo basso medievale è una reazione individualistica alla crisi del collettivismo forzato del feudalesimo franco-cattolico. Ed esso ha trovato la sua legittimazione teorica nei teologici e canonisti della Scolastica (a cui ho accennato poco più su tra le giustificazioni..)
L’usura nn ha dunque contribuito a far nascere il capitalismo come può apparire a prima vista, ma ha semplicemente contribuito alla distruzione del feudalesimo.
Le idee borghesi non si sono formate al di fuori del feudalesimo ma al suo interno, quindi la chiesa romana non può averle costatate passivamente, cercando di adeguarvisi con rassegnazione, pur nel tentativo di salvare il salvabile.
La pratica e le idee borghesi sono troppo antitetiche a quelle della società rurale alto medievale perché si possa pensare che la stessa chiesa romana non abbia contribuito a promuoverle.
Quindi, col proprio atteggiamento politico mondano la chiesa romana favorì, indirettamente, la nascita della moderna figura del mercante, la cui ideologia dualista (borghese nella pratica e cristiana nella teoria) si poneva come forma di reazione opportunistica all'integralismo politico-religioso del papato. Da una serie progressiva di concessioni (formali), che la chiesa stessa aveva in qualche modo contribuito a rendere inevitabili, ad un certo punto era nata una nuova qualità di vita economica, nei cui confronti la stessa chiesa romana necessitava di rivoluzionarsi in direzione del protestantesimo.
In conclusione possiamo dire che l’usura si afferma laddove i rapporti mercantili-monetari si affermano su quelli naturali dell’autoconsumo, dove i commerci sono fiorenti, ma anche dove i rapporti di classe sono molto antagonistici..
Tali condizioni mi pare si ritrovino attualmente anche nei paesi islamici quindi teoricamente le premesse ci sarebbero..Però bisogna tener conto anche di un altro fattore..
Nel mondo cristiano, il capitalismo nasce quando da un lato il borghese poteva chiaramente differenziare la propria attività da quella usuraria, facendola in un certo senso passare per un'alternativa legittima, convincente, adeguata, e dall'altro quando la pratica dell'usura, legalizzata nelle forme del moderno credito, si trasformava in un forma incentivante a sviluppare rapporti di sfruttamento di lavoro, in cui le parti contraenti erano giuridicamente e formalmente libere. Cosa che il cattolicesimo-romano, essendo una religione feudale, impostata sul rapporto personale di soggezione e quindi sulla rendita, non avrebbe potuto accettare sino in fondo, senza prima trasformarsi in una religione protestante, adatta a un credente di tipo borghese e imprenditoriale…..
Beh alla luce di tutto ciò e delle considerazioni che ho fatto anche nelle ultime righe vorrei qualche spunto per trovare differenze e similitudini...
Commenta