Molto lucida e assolutamente condivisibile, specie nello svelare l'imbarazzo di una certa classe di intellettuali aprioristicamente schierati, la lettera odierna di Sgarbi.
Sgarbi: «Veltroni tradisce Pasolini»
Lettera al Corriere: «Ai poveri i parcheggi non servono»
Caro direttore,
è doloroso persino per me, che non mi sono mai accomodato ai luoghi comuni secondo i quali la cultura abita soltanto a sinistra, veder giganteggiare intellettualmente e con argomenti precisi e sofisticati Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto su Walter Veltroni, Vincenzo Cerami, Andrea Carandini, Corrado Augias. Si tengono stretti dicendo banalità con animo sereno per non veder travolgere Veltroni in uno scontro in cui non sono più in gioco destra e sinistra ma, dopo tanti anni, e finalmente, questioni culturali di fondo. E non è senza significato che fra i sostenitori del parcheggio al Pincio vi siano anche modernisti obbligati come Chicco Testa e Achille Bonito Oliva. Si tratta di persone per cui la storia è un ingombro al presente, pronti a esaltare sempre le «magnifiche sorti e progressive» irrise dal Leopardi nella Ginestra. A queste prime e più deboli falangi veltroniane si aggiungono personalità di maggior peso e credibilità.
Di «una città ostaggio del suo passato» parla, con qualche imbarazzo, il fine Corrado Augias (che avrebbe preferito astenersi); e, con la stessa sensibilità di un palazzinaro, Vincenzo Cerami che, dopo Gramsci, sembra rinnegare anche Pasolini: «Se si trova un modo elegante e rispettoso dei beni culturali e archeologici, il parcheggio secondo me va fatto». Non si può che ammirare il sentimento di amicizia che li lega al perduto Veltroni: «Amica veritas sed magis amicus Walter». Alle audaci e affettuose parole dei due alfieri, Veltroni, forte anche del parere di Anna Fendi, Sandra Monteleone, Enrico Vanzina e del sottosegretario Giro, soffrendo perché l'architetto Fuksas gli ha voltato le spalle, affida il suo pensiero al Corriere in un testo rivelatore contrastato dal ministro Bondi, ormai unico seguace autorizzato di Gramsci, Pasolini e, mi permetterei di aggiungere, Bianchi Bandinelli, tre comunisti veri.
Veltroni è invece allineato con Gianni Boncompagni, Gigi Proietti, Sandra Verusio, pensatori liberi. Devo confessare che mi ha sempre turbato la lettura dei libri di Veltroni, persona gentile e buona, le cui riflessioni testimoniano una sensibilità adolescenziale, emotiva, con una preparazione da liceale. Anche ora non andiamo molto più lontano. Si inizia con la «qualità della vita dei romani e dei turisti»; si continua con una affermazione dietro alla quale c'è più la Fendi che un ministro per i Beni culturali: «Restituire i gioielli di Roma all'umanità». Invero, è bene diffidare di chi parla di «scrigni», «gioielli», «perle», «giacimenti» «petrolio», per intendere «le mura», «gli archi», «le colonne » «i simulacri» e «l'erme», le «torri degli avi nostri». Anche la terminologia ha un significato: evitare di accostare terme antiche e acque salubri al petrolio.
A Veltroni giustamente non piacciono le automobili. Ci spiega che vuole nasconderle. Il Corriere maliziosamente gli risponde evocando il parcheggio di Villa Borghese, a 500 metri dal Pincio, che è sempre semideserto. Veltroni argomenta, con tranquillità e buonsenso, dice di voler difendere «la qualità del centro storico e il suo insediamento abitativo ». Ha il linguaggio di un antropologo. Sostiene un «coraggioso programma per i parcheggi». Ma non vuole scontentare i residenti. Vuole apparire olimpico e prudente; in una parola, saggio. Ci tiene a distinguere la «nostra (sua) cultura» da «quella della destra, dei veti e dei dinieghi pregiudiziali». Insomma, «la cultura del fare, della pazienza, della concretezza rispetto alla cultura del gridare, dei veti, della disinformazione». Così si liquidano, nella sua tranquilla visione, Federico Zeri, Cesare D'Onofrio, Ripa di Meana, con Italia Nostra e gli eredi di Antonio Cederna, Giorgio Muratore, Raniero Gnoli, e ovviamente Celentano. Tutti urlatori contro meraviglie come la nuova Piazza a Montecitorio e quella che lui chiama, forse un po' vergognandosi, «nuova conservazione dell'Ara Pacis».
Queste meraviglie derivano da quello che Veltroni chiama «lavoro serio, piena cooperazione fra le istituzioni, rispetto reciproco». E chi non è d'accordo, stia con la «destra dei veti», anche il New York Times che, da una postazione di provincia, ha stroncato la teca di Meier per l'Ara Pacis. Adesso tutto è chiaro, rispetto a Bianchi Bandinelli, a Pasolini, a Bernard, a Ceronetti, a Carlo Petrini. Veltroni crede che l'obiettivo non sia conservare ma ristrutturare, e magari «riqualificare», parole care ad architetti e costruttori. Bisogna rispondere alla «sfida dell'innovazione e della modernità alla quale una grande metropoli non può sottrarsi ». Tutto nuovo, tutto in ordine, tutto «ristrutturato», come i seni al silicone. Tutto questo piace a Veltroni. Rifiutare la verità. Innovare, innovare, innovare. Bonito Oliva, non Portoghesi, un altro urlatore che, pur con voce ovattata, da destra ha dichiarato: «Muovere solo un dito in un complesso simile è un crimine». Perché non fare parcheggi anche sotto luoghi frequentatissimi come Pompei e il Vaticano? Scopriamo le carte: siamo conservatori, di destra e di sinistra. Ci piace Gramsci, ci piace Pasolini, così diverso dal giudizioso Veltroni. Avrebbe detto: c'è poco da ristrutturare, i poveri non hanno bisogno di parcheggi.
Sgarbi: «Veltroni tradisce Pasolini»
Lettera al Corriere: «Ai poveri i parcheggi non servono»
Caro direttore,
è doloroso persino per me, che non mi sono mai accomodato ai luoghi comuni secondo i quali la cultura abita soltanto a sinistra, veder giganteggiare intellettualmente e con argomenti precisi e sofisticati Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto su Walter Veltroni, Vincenzo Cerami, Andrea Carandini, Corrado Augias. Si tengono stretti dicendo banalità con animo sereno per non veder travolgere Veltroni in uno scontro in cui non sono più in gioco destra e sinistra ma, dopo tanti anni, e finalmente, questioni culturali di fondo. E non è senza significato che fra i sostenitori del parcheggio al Pincio vi siano anche modernisti obbligati come Chicco Testa e Achille Bonito Oliva. Si tratta di persone per cui la storia è un ingombro al presente, pronti a esaltare sempre le «magnifiche sorti e progressive» irrise dal Leopardi nella Ginestra. A queste prime e più deboli falangi veltroniane si aggiungono personalità di maggior peso e credibilità.
Di «una città ostaggio del suo passato» parla, con qualche imbarazzo, il fine Corrado Augias (che avrebbe preferito astenersi); e, con la stessa sensibilità di un palazzinaro, Vincenzo Cerami che, dopo Gramsci, sembra rinnegare anche Pasolini: «Se si trova un modo elegante e rispettoso dei beni culturali e archeologici, il parcheggio secondo me va fatto». Non si può che ammirare il sentimento di amicizia che li lega al perduto Veltroni: «Amica veritas sed magis amicus Walter». Alle audaci e affettuose parole dei due alfieri, Veltroni, forte anche del parere di Anna Fendi, Sandra Monteleone, Enrico Vanzina e del sottosegretario Giro, soffrendo perché l'architetto Fuksas gli ha voltato le spalle, affida il suo pensiero al Corriere in un testo rivelatore contrastato dal ministro Bondi, ormai unico seguace autorizzato di Gramsci, Pasolini e, mi permetterei di aggiungere, Bianchi Bandinelli, tre comunisti veri.
Veltroni è invece allineato con Gianni Boncompagni, Gigi Proietti, Sandra Verusio, pensatori liberi. Devo confessare che mi ha sempre turbato la lettura dei libri di Veltroni, persona gentile e buona, le cui riflessioni testimoniano una sensibilità adolescenziale, emotiva, con una preparazione da liceale. Anche ora non andiamo molto più lontano. Si inizia con la «qualità della vita dei romani e dei turisti»; si continua con una affermazione dietro alla quale c'è più la Fendi che un ministro per i Beni culturali: «Restituire i gioielli di Roma all'umanità». Invero, è bene diffidare di chi parla di «scrigni», «gioielli», «perle», «giacimenti» «petrolio», per intendere «le mura», «gli archi», «le colonne » «i simulacri» e «l'erme», le «torri degli avi nostri». Anche la terminologia ha un significato: evitare di accostare terme antiche e acque salubri al petrolio.
A Veltroni giustamente non piacciono le automobili. Ci spiega che vuole nasconderle. Il Corriere maliziosamente gli risponde evocando il parcheggio di Villa Borghese, a 500 metri dal Pincio, che è sempre semideserto. Veltroni argomenta, con tranquillità e buonsenso, dice di voler difendere «la qualità del centro storico e il suo insediamento abitativo ». Ha il linguaggio di un antropologo. Sostiene un «coraggioso programma per i parcheggi». Ma non vuole scontentare i residenti. Vuole apparire olimpico e prudente; in una parola, saggio. Ci tiene a distinguere la «nostra (sua) cultura» da «quella della destra, dei veti e dei dinieghi pregiudiziali». Insomma, «la cultura del fare, della pazienza, della concretezza rispetto alla cultura del gridare, dei veti, della disinformazione». Così si liquidano, nella sua tranquilla visione, Federico Zeri, Cesare D'Onofrio, Ripa di Meana, con Italia Nostra e gli eredi di Antonio Cederna, Giorgio Muratore, Raniero Gnoli, e ovviamente Celentano. Tutti urlatori contro meraviglie come la nuova Piazza a Montecitorio e quella che lui chiama, forse un po' vergognandosi, «nuova conservazione dell'Ara Pacis».
Queste meraviglie derivano da quello che Veltroni chiama «lavoro serio, piena cooperazione fra le istituzioni, rispetto reciproco». E chi non è d'accordo, stia con la «destra dei veti», anche il New York Times che, da una postazione di provincia, ha stroncato la teca di Meier per l'Ara Pacis. Adesso tutto è chiaro, rispetto a Bianchi Bandinelli, a Pasolini, a Bernard, a Ceronetti, a Carlo Petrini. Veltroni crede che l'obiettivo non sia conservare ma ristrutturare, e magari «riqualificare», parole care ad architetti e costruttori. Bisogna rispondere alla «sfida dell'innovazione e della modernità alla quale una grande metropoli non può sottrarsi ». Tutto nuovo, tutto in ordine, tutto «ristrutturato», come i seni al silicone. Tutto questo piace a Veltroni. Rifiutare la verità. Innovare, innovare, innovare. Bonito Oliva, non Portoghesi, un altro urlatore che, pur con voce ovattata, da destra ha dichiarato: «Muovere solo un dito in un complesso simile è un crimine». Perché non fare parcheggi anche sotto luoghi frequentatissimi come Pompei e il Vaticano? Scopriamo le carte: siamo conservatori, di destra e di sinistra. Ci piace Gramsci, ci piace Pasolini, così diverso dal giudizioso Veltroni. Avrebbe detto: c'è poco da ristrutturare, i poveri non hanno bisogno di parcheggi.
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