kierkegaard

[viandante]

"Nel rapporto fra due elementi, il rapporto è il terzo come unità negativa; cioè i due si mettono in rapporto col rapporto; e nel rapporto sono loro che si mettono in rapporto col rapporto; un rapporto, in questo senso, è, sotto la determinazione dell'anima, il rapporto fra anima e corpo. Se invece il rapporto si mette in rapporto con se stesso, allora questo rapporto è il terzo positivo, e questo è l'io".

Allora, io la vedo un po' cosi', il tutto prescindendo dal contesto: dovrei riprendere il libro da capo e leggere qualcosa su Kierkegaard per avere una visione piü complessiva. Purtroppo ho il libro in italia. Vado a sensazione e a memoria.

La relazione/rapporto è composta da tre elementi, due soggetti/oggetti e il terzo elemento che è il rapporto stesso, ovvero ciö che viene a crearsi nell'interazione tra questi due.

Nel caso del rapporto corpo e anima si crea una terza relazione, "negativa", poichè una delle due sfere, o corpo o anima, prende il sopravvento sull'altra (è il caso di Kierkegaard stesso, che aveva un vero e proprio squilibrio tra le due sfere: solo anima e niente corpo. E' una delle possibili cause della rottura del fidanzamento con R. Olsen. Anche se pare avesse un problema fisico, non si sa cosa, forse impotenza, ma non è rilevante. Se consulti i suoi Diari ne parla anche con un medico, chiedendo il perchè di questo "squilibrio", di questo "pungolo nella carne").

Il rapporto da negativo puö diventare positivo nella coscienza del singolo, ritornando a sé e risolvendosi a Dio, consegnando la propria esistenza al Dio biblico. In pratica è un processo dialettico anti-hegeliano, dove tutto si risolve sempre nel singolo.

Ecco, io la vedo un po' cosi'.

Aspè forse ho capito. Il rapporto è una sintesi di positivo e negativo (tesi e antitesi), quello di K. è il processo inverso di Hegel, cioè la sintesi che cerca di tornare ciò che era prima. Anche se poi, nel libro dice che la disperazione deriva dal non essere se stessi, cioè forse il nostro essere mettendosi in rapporto col mondo dispera di allontanarsi da se stesso.

Lui dice, ad esempio, che l'infinito dispera di non essere finito perché nell'infinito l'essere perde ogni punto di riferimento, ma anche il finito dispera di non essere infinito perché troppo limitato dalla sua finitezza appunto, insomma fa pensare ad una sintesi tra i due, un infinito che abbia in se un punto di riferimento (Dio?). Ma una volta sintesi, ci sarebbe comunque disperazione perché questa sintesi desidererebbe essere o tutto finito o tutto infinito allo stesso tempo, un vicolo cieco insomma, da come ho capito io non se ne esce.

Comunque si, ho scelto proprio un bel libercolo, ma tanto dove ti giri, i filosofi importanti son tutti così, spero di trarne almeno qualche messaggio.

[viandante]

senz'altro: leggiti "Scritti sul Giappone" del filosofo tedesco K. Löwith, Rubbettino editore. Ha passato 5 anni in Giappone in esilio insegnando filosofia classica tedesca a Kyoto, dal '36 al '41. Illuminante.

Ok, come vado alla Feltrinelli lo cerco. Ora sto impossibilitato per questi esami inutili che mi fanno fare, tanto è finita, ad ottobre prendo la triennale e mi sa che torno in Cina.

A proposito di Giappone, son bellissimi i libri di Murakami, ho letto a wild sheep chase (l'inseguimento di una pecora selvaggia), parla di un tizio che deve trovare in Giappone una pecora con una stella tatuata sulle chiappe. Sono quasi scritti filosofici, molto kafkiani (e lui ha scritto pure un altro libro intitolato "Kafka sulla spiaggia").

[Manx]

Ok, come vado alla Feltrinelli lo cerco. Ora sto impossibilitato per questi esami inutili che mi fanno fare, tanto è finita, ad ottobre prendo la triennale e mi sa che torno in Cina.

A proposito di Giappone, son bellissimi i libri di Murakami, ho letto a wild sheep chase (l'inseguimento di una pecora selvaggia), parla di un tizio che deve trovare in Giappone una pecora con una stella tatuata sulle chiappe. Sono quasi scritti filosofici, molto kafkiani (e lui ha scritto pure un altro libro intitolato "Kafka sulla spiaggia").

Non so se sia ancora in commercio, è stato pubblicato nel '95 e quando lo presi nel 2002 ebbi alcune difficoltà nel reperirlo. Semmai consulta il sito dell'editore.

Conosco molto bene Löwith e me ne occupo da quasi 8 anni oramai (p.s. lui conosceva molto bene Kierkegaard e lo discute e commenta piü volte - anche Nietzsche)

Interessante il kafka jappo, dovrei leggerlo

Aspè forse ho capito. Il rapporto è una sintesi di positivo e negativo (tesi e antitesi), quello di K. è il processo inverso di Hegel, cioè la sintesi che cerca di tornare ciò che era prima. Anche se poi, nel libro dice che la disperazione deriva dal non essere se stessi, cioè forse il nostro essere mettendosi in rapporto col mondo dispera di allontanarsi da se stesso.

Lui dice, ad esempio, che l'infinito dispera di non essere finito perché nell'infinito l'essere perde ogni punto di riferimento, ma anche il finito dispera di non essere infinito perché troppo limitato dalla sua finitezza appunto, insomma fa pensare ad una sintesi tra i due, un infinito che abbia in se un punto di riferimento (Dio?). Ma una volta sintesi, ci sarebbe comunque disperazione perché questa sintesi desidererebbe essere o tutto finito o tutto infinito allo stesso tempo, un vicolo cieco insomma, da come ho capito io non se ne esce.

Comunque si, ho scelto proprio un bel libercolo, ma tanto dove ti giri, i filosofi importanti son tutti così, spero di trarne almeno qualche messaggio.

In un certo senso la tua lettura non è sbagliata, si potrebbe intendere la cosa anche come dici tu. Il singolo, l'uomo (finito) realizza e trova se stesso solamente dinanzi a Dio, che è infinito, e quindi tende a lui. Tuttavia, tra Dio e uomo c'è una infinita distanza qualitativa e ontologica, Dio rimane infinito e l'uomo finito, da qui la disperazione. Una via di fuga alla disperazione è la fede, tuttavia, si ricominca il circolo... ho fede e non dispero, ma tendendo a Dio e non raggiungendolo dispero di nuovo ecc... ecc...

[viandante]

Non so se sia ancora in commercio, è stato pubblicato nel '95 e quando lo presi nel 2002 ebbi alcune difficoltà nel reperirlo. Semmai consulta il sito dell'editore.

Conosco molto bene Löwith e me ne occupo da quasi 8 anni oramai (p.s. lui conosceva molto bene Kierkegaard e lo discute e commenta piü volte - anche Nietzsche)

Interessante il kafka jappo, dovrei leggerlo

E' veramente bravo, cioè io ho letto tutto di kafka (che è pure il mio avatar di bw), lo stile è perfettamente incomprensibile come quello del signor K., insomma per me un amore a prima vista.

In un certo senso la tua lettura non è sbagliata, si potrebbe intendere la cosa anche come dici tu. Il singolo, l'uomo (finito) realizza e trova se stesso solamente dinanzi a Dio, che è infinito, e quindi tende a lui. Tuttavia, tra Dio e uomo c'è una infinita distanza qualitativa e ontologica, Dio rimane infinito e l'uomo finito, da qui la disperazione. Una via di fuga alla disperazione è la fede, tuttavia, si ricominca il circolo... ho fede e non dispero, ma tendendo a Dio e non raggiungendolo dispero di nuovo ecc... ecc...

Ma infatti, almeno per quello che ho capito fino ad ora è tutto molto circolare e irrisolto, l'opposto di Hegel che mi sembra pensasse comunque ad un progresso lineare (tesi, antitesi, sintesi, di nuovo tesi, antitesi, sintesi, etc.).

Va beh, quando finisco il libro riprendo il thread e scrivo cosa ci ho capito, sicuramente poco, ma basta quel poco a volte.

[Manx]

sinceramente kafka a me non piace molto e l'ho letto quasi tutto. magari dovrö riprenderlo.

[viandante]

Io lo considero quasi un maestro di vita. E' un minimalista, descrive le cose al minimo dei dettagli, è un originale, uno che ti mette un poveraccio ad aspettare davanti un palazzo della giustizia per tutta la vita, è uno che ha sconfessato (forse non volendo) le grandi teologie sullo Stato. Ovviamente forse K. non piace perché non offre soluzioni, la condanna è dietro tutti i suoi personaggi, condanna che non capisce mai perché ci sia e da dove arrivi.

[filippoII]

mi cascate proprio a fagiuolo...

mi potreste spiegare sinteticamente l'angoscia di K.,il fatto di Adamo,la connessione fra l'angoscia,il possibile e il futuro.

e poi non mi è chiara nemmeno Diperazione e fede.

[Manx]

mi cascate proprio a fagiuolo...

mi potreste spiegare sinteticamente l'angoscia di K.,il fatto di Adamo,la connessione fra l'angoscia,il possibile e il futuro.

e poi non mi è chiara nemmeno Diperazione e fede.

potrei consigliarti centinaia di libri...

p.s. Abramo, non Adamo...

[filippoII]

potrei consigliarti centinaia di libri...

p.s. Abramo, non Adamo...

guarda,io non è che voglio approfondire,ma lo devo studiare per gli esami...
mi basterebbe una spiegazione sinteticissima

Comunque qui parla di Adamo che era inquieto per il divieto divino che svegliava in lui il desiderio di libertà...
e poi continua sempre con Adamo e delle possibilità

[Manx]

guarda,io non è che voglio approfondire,ma lo devo studiare per gli esami...
mi basterebbe una spiegazione sinteticissima

Comunque qui parla di Adamo che era inquieto per il divieto divino che svegliava in lui il desiderio di libertà...
e poi continua sempre con Adamo e delle possibilità

adamo?? in Kierkegaard è famoso l'episodio di Abramo e Isacco

non ricordo la figura di Adamo in K. forse è poco trattata dalla storia della critica.

[filippoII]

Penso che di Adamo ne parli proprio nella "Malattia mortale" o nel "Concetto dell'angoscia"


Cmq lasciando perdere abramo me la fareste una sintesi di angoscia,disperazione e fede....

[viandante]

Da quello che ho capito:

1)Disperazione è non essere se stessi, "disperatamente non essere se stessi", lui ne elenca vari tipi. Nell'uomo in rapporto con Dio la disperazione deriva dal fatto che l'uomo è io e non io, finito e infinito, anima e corpo, sente quindi la necessità di un ritorno a se stesso, cioè un ritorno alla sua parte infinita (Dio), dal non riuscirsci nasce la disperazione.

2)La fede è una via per congiungersi a Dio, ciò che dovrebbe salvare dalla disperazione, ma da quanto ho capito pure lì l'uomo finisce per disperare.

3)Il probabile è in relazione opposta alla necessità di Hegel. K. nella malattia mortale afferma che l'essere è di grado superiore al poter essere, quindi bisongerebbe sempre SCEGLIERE il primo. Cioè, K. ammette che vi sia possibilità di scelta, in questo senso è probabilistico, nel senso che tutti possiamo scegliere. Se non ricordo male, certi filosofi prima di lui avevano negato questa possibilità di scelta (il Cesare che passa il Rubicone di Leibniz) contrapponendola alla necessità, una sorta di tutto è necessario, cioè tutto succede perché deve succedere. K. invece crede che vi sia sempre una scelta dell'individuo, l'individuo è l'elemento essenziale del suo pensiero, elemento che si contrappone all'idea di spirito di Hegel e per certi versi al determinismo storico, insomma lui direbbe che gli individui fanno la storia, quelli che critica che la storia fa gli individui. Aggiungo che una idea così oggi non è facilmente comprensibile visto che studiamo e vediamo la storia con una visione un po' troppo scientifica e deterministica.

Ora, prendi tutto con le pinze che sto su Kierkedaard da solo una decina di giorni e che non studio filosofia ma economia, di solito un 20/30% lo azzecco quasi sempre.