In aumento i rifiuti dei parenti.
Trapianti, meno donatori in Italia:
9.500 persone in lista d'attesa
Dopo anni di incredibili progressi si registra per la prima volta un'inversione di tendenza
(Ansa)Rallenta la corsa l'Italia dei trapianti. Dopo anni di incredibili progressi che ci avevano riavvicinati alla capolista Spagna come quantità di donazioni, si registra per la prima volta un'inversione di tendenza. Una flessione misurabile in piccole percentuali, ma «allarmante» per l'Aido, l'associazione italiana dei donatori di organi. Vincenzo Passarelli, il presidente, non minimizza: «L'attività non è aumentata ed è un dato negativo, che preoccupa. I dati della prima parte dell'anno in corso non smentiscono il calo. Il trapianto continua a non essere un diritto per tutti. La lista di attesa è superiore a 9.500 pazienti e le previsioni per l'anno in corso sono di 3 mila interventi. Significa che solo una persona su tre fra quelle che attendono riusciranno a vincere la battaglia per la vita». Tre anni di attesa per il rene, quasi due per il fegato, due anni e mezzo per il cuore. Da noi la disponibilità di organi è stata in crescita fino all'ultima parte del 2007. Da 5,8 donatori per milione di abitanti del '92 siamo passati ai 19,3 del 2007. Ma rispetto al 2006 (20,0) la corsa è più lenta, in particolare in alcune aree. Il fenomeno riguarda non solo le realtà del Sud come Calabria, Campania e Basilicata, ma anche regioni considerate virtuose come Emilia Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia, dove il sistema trapianti è stato condizionato da problemi soprattutto organizzativi (ad esempio la sostituzione dei coordinatori locali), e si spera temporanei. L
LE OPPOSIZIONI DEI PARENTI - Negli ultimi mesi qualche segnale positivo è arrivato, ma Passarelli non ne trae sufficienti elementi di serenità: «La rete aveva funzionato bene. Ora dal territorio arrivano segnali preoccupanti. Soprattutto sono aumentate le opposizioni dei parenti». Cresciuta quasi ovunque - da 27,9 a 31,3 - la percentuale dei rifiuti alla richiesta di donare gli organi dei propri cari. E' avvenuto in particolare nelle regioni in cui l'immagine della sanità pubblica è stata compromessa dalla pubblicità negativa di alcuni fatti di cronaca. Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, conferma: «Siamo all'avanguardia in Europa per qualità di servizi, ma l'Italia ha bisogno di più donatori che sono ancora troppo pochi, 2 al giorno, rispetto alla domanda. Il nodo cruciale sono le opposizioni ». La legge sul silenzio-assenso informato che avrebbe dovuto facilitare il percorso della donazione non è mai stata applicata. Si è scoperto che è troppo farraginosa e che la procedura dell'informazione ai cittadini chiamati a comunicare in forma ufficiale alla Asl le proprie volontà costava troppo. Circa 10 euro a persona. Niente fondi. Inoltre mancano gli elenchi informatizzati dei residenti. E oggi non tutti sono convinti che il sistema anche se attuabile funzionerebbe. Il no dei familiari è legato essenzialmente a due preconcetti. C'è l'ingiustificato timore che l'organo venga prelevato quando ancora c'è vita, evenienza impossibile visto che la legge sulla morte cerebrale è rigorosa. In secondo luogo il diniego delle famiglie è dovuto alla mancanza di dialogo con gli operatori sanitari e quindi ad un'organizzazione imperfetta oltre che all'inospitalità delle rianimazioni. In molte realtà la sala d'attesa è un locale squallido, dove il contatto con i medici si riduce a frettolosi colloqui su panche di metallo, senza privacy. «Il rifiuto è la conseguenza pratica della mancanza di fiducia nella Sanità — commenta Ignazio Marino, trapiantologo, vicepresidente della Commissione sanità del Senato —. I locali di molte rianimazioni sono sprovvisti di ogni comfort e già questo è un fattore che mal predisposte ad un atto di generosità da parte di chi sta vivendo un'esperienza drammatica».
TROPPI CENTRI - La lunghezza delle liste di attesa e, rispetto ad essa, l'esiguo numero degli interventi, non sono l'unico problema. Il sistema sul piano della qualità e del risparmio trarrebbe vantaggio dalla riduzione del numero di centri. Troppi e una buona parte lavorano con una media annua di interventi non ottimale anche se rientra negli ampi parametri stabiliti dal Consiglio superiore di Sanità. Perché una struttura si veda revocare l'autorizzazione del ministero occorre che in due anni abbia effettuato la metà del numero minimo di interventi previsti: 30 di rene e 25 di fegato. Due giorni fa a Perugia in un incontro tra addetti ai lavori Franco Citterio, chirurgo dell'Università Cattolica di Roma, ha presentato un quadro allarmante. Le strutture sono 114, comprese le 8 di pediatria. Oltre 40 per il rene, 23 per il fegato, 19 per il cuore, 13 per il pancreas, altrettante per il polmone, 3 per l'intestino. L'aspetto più grave è che la metà funzionano a scartamento ridotto, al di sotto della media «di sicurezza» indicata dalla letteratura internazionale. Un recente articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine ha stabilito che sotto i 20 trapianti di fegato all'anno aumenta sensibilmente la percentuale di mortalità e di complicanze gravi. «Le autorizzazioni sono compito delle Regioni — salta l'ostacolo Nanni Costa —. Noi come ministero ci limitiamo a valutare i requisiti di conformità alle leggi. Non mi risulta che negli ultimi anni ci sia stato un eccesso di aperture. L'Italia è in linea con Spagna e Francia». Un rapido sguardo alla cartina geografica permette di vedere le realtà poco produttive. Prendiamo il rene. Nel 2007 Salerno ha chiuso il bilancio con un solo intervento, 2 ne hanno eseguiti al Policlinico di Palermo, 15 a Reggio Calabria, 16 a Sassari, contro i 110 di Torino. Replica Pellegrino Mancini, motivato coordinatore dei trapianti a Cosenza: «Siamo partiti nel 2006. Fino alla metà dell'anno scorso non c'era il primario perché il precedente è andato in pensione. Da pochi mesi è arrivato il chirurgo da Bologna. Presto avvieremo anche il programma del fegato. Tutte le donazioni però vengono dalla Calabria, siamo autosufficienti». Mancini è un ottimo operatore. Ma una domanda viene spontanea. C'era proprio bisogno di raddoppiare, non bastava Reggio Calabria? Il Lazio detiene un altro record. Cinque centri per il rene. A Parigi ne basta uno. Marino è molto critico: «E' dimostrato che al di sotto degli standard internazionali aumentano mortalità e costi. La Commissione di inchiesta del Senato sul sistema sanitario dedicherà a questo tema un approfondimento. Non deve accadere che vengano rilasciate nuove autorizzazioni a Regioni non autonome dal punto di vista della disponibilità di organi». Franco Filipponi, presidente della giovane Società italiana per la qualità dei trapianti non lesina dubbi: «Difficilmente una struttura che produce meno di 25 trapianti di fegato all'anno svolge buona formazione e buona ricerca. Ma si sa, aprire nuovi reparti piace molto ai nostri politici, è veicolo di propaganda. I centri sono troppi e troppo frammentati».
Margherita De Bac
19 giugno 2008
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per quale cacchio di motivo devo romper le palle i parenti con le loro ingiustificate paure ?
se io lascio disposizioni sulla donazione, nessuno e dico nemmeno mia madre devrebbe permettersi di opporsi a tale decisione.
donare è un bel gesto, perchè esser così egoisti da lasciar marcire i nostri organi tra 4 lamiere di zinco (o inceneriti) invece che donarli ?
Trapianti, meno donatori in Italia:
9.500 persone in lista d'attesa
Dopo anni di incredibili progressi si registra per la prima volta un'inversione di tendenza
(Ansa)Rallenta la corsa l'Italia dei trapianti. Dopo anni di incredibili progressi che ci avevano riavvicinati alla capolista Spagna come quantità di donazioni, si registra per la prima volta un'inversione di tendenza. Una flessione misurabile in piccole percentuali, ma «allarmante» per l'Aido, l'associazione italiana dei donatori di organi. Vincenzo Passarelli, il presidente, non minimizza: «L'attività non è aumentata ed è un dato negativo, che preoccupa. I dati della prima parte dell'anno in corso non smentiscono il calo. Il trapianto continua a non essere un diritto per tutti. La lista di attesa è superiore a 9.500 pazienti e le previsioni per l'anno in corso sono di 3 mila interventi. Significa che solo una persona su tre fra quelle che attendono riusciranno a vincere la battaglia per la vita». Tre anni di attesa per il rene, quasi due per il fegato, due anni e mezzo per il cuore. Da noi la disponibilità di organi è stata in crescita fino all'ultima parte del 2007. Da 5,8 donatori per milione di abitanti del '92 siamo passati ai 19,3 del 2007. Ma rispetto al 2006 (20,0) la corsa è più lenta, in particolare in alcune aree. Il fenomeno riguarda non solo le realtà del Sud come Calabria, Campania e Basilicata, ma anche regioni considerate virtuose come Emilia Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia, dove il sistema trapianti è stato condizionato da problemi soprattutto organizzativi (ad esempio la sostituzione dei coordinatori locali), e si spera temporanei. L
LE OPPOSIZIONI DEI PARENTI - Negli ultimi mesi qualche segnale positivo è arrivato, ma Passarelli non ne trae sufficienti elementi di serenità: «La rete aveva funzionato bene. Ora dal territorio arrivano segnali preoccupanti. Soprattutto sono aumentate le opposizioni dei parenti». Cresciuta quasi ovunque - da 27,9 a 31,3 - la percentuale dei rifiuti alla richiesta di donare gli organi dei propri cari. E' avvenuto in particolare nelle regioni in cui l'immagine della sanità pubblica è stata compromessa dalla pubblicità negativa di alcuni fatti di cronaca. Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, conferma: «Siamo all'avanguardia in Europa per qualità di servizi, ma l'Italia ha bisogno di più donatori che sono ancora troppo pochi, 2 al giorno, rispetto alla domanda. Il nodo cruciale sono le opposizioni ». La legge sul silenzio-assenso informato che avrebbe dovuto facilitare il percorso della donazione non è mai stata applicata. Si è scoperto che è troppo farraginosa e che la procedura dell'informazione ai cittadini chiamati a comunicare in forma ufficiale alla Asl le proprie volontà costava troppo. Circa 10 euro a persona. Niente fondi. Inoltre mancano gli elenchi informatizzati dei residenti. E oggi non tutti sono convinti che il sistema anche se attuabile funzionerebbe. Il no dei familiari è legato essenzialmente a due preconcetti. C'è l'ingiustificato timore che l'organo venga prelevato quando ancora c'è vita, evenienza impossibile visto che la legge sulla morte cerebrale è rigorosa. In secondo luogo il diniego delle famiglie è dovuto alla mancanza di dialogo con gli operatori sanitari e quindi ad un'organizzazione imperfetta oltre che all'inospitalità delle rianimazioni. In molte realtà la sala d'attesa è un locale squallido, dove il contatto con i medici si riduce a frettolosi colloqui su panche di metallo, senza privacy. «Il rifiuto è la conseguenza pratica della mancanza di fiducia nella Sanità — commenta Ignazio Marino, trapiantologo, vicepresidente della Commissione sanità del Senato —. I locali di molte rianimazioni sono sprovvisti di ogni comfort e già questo è un fattore che mal predisposte ad un atto di generosità da parte di chi sta vivendo un'esperienza drammatica».
TROPPI CENTRI - La lunghezza delle liste di attesa e, rispetto ad essa, l'esiguo numero degli interventi, non sono l'unico problema. Il sistema sul piano della qualità e del risparmio trarrebbe vantaggio dalla riduzione del numero di centri. Troppi e una buona parte lavorano con una media annua di interventi non ottimale anche se rientra negli ampi parametri stabiliti dal Consiglio superiore di Sanità. Perché una struttura si veda revocare l'autorizzazione del ministero occorre che in due anni abbia effettuato la metà del numero minimo di interventi previsti: 30 di rene e 25 di fegato. Due giorni fa a Perugia in un incontro tra addetti ai lavori Franco Citterio, chirurgo dell'Università Cattolica di Roma, ha presentato un quadro allarmante. Le strutture sono 114, comprese le 8 di pediatria. Oltre 40 per il rene, 23 per il fegato, 19 per il cuore, 13 per il pancreas, altrettante per il polmone, 3 per l'intestino. L'aspetto più grave è che la metà funzionano a scartamento ridotto, al di sotto della media «di sicurezza» indicata dalla letteratura internazionale. Un recente articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine ha stabilito che sotto i 20 trapianti di fegato all'anno aumenta sensibilmente la percentuale di mortalità e di complicanze gravi. «Le autorizzazioni sono compito delle Regioni — salta l'ostacolo Nanni Costa —. Noi come ministero ci limitiamo a valutare i requisiti di conformità alle leggi. Non mi risulta che negli ultimi anni ci sia stato un eccesso di aperture. L'Italia è in linea con Spagna e Francia». Un rapido sguardo alla cartina geografica permette di vedere le realtà poco produttive. Prendiamo il rene. Nel 2007 Salerno ha chiuso il bilancio con un solo intervento, 2 ne hanno eseguiti al Policlinico di Palermo, 15 a Reggio Calabria, 16 a Sassari, contro i 110 di Torino. Replica Pellegrino Mancini, motivato coordinatore dei trapianti a Cosenza: «Siamo partiti nel 2006. Fino alla metà dell'anno scorso non c'era il primario perché il precedente è andato in pensione. Da pochi mesi è arrivato il chirurgo da Bologna. Presto avvieremo anche il programma del fegato. Tutte le donazioni però vengono dalla Calabria, siamo autosufficienti». Mancini è un ottimo operatore. Ma una domanda viene spontanea. C'era proprio bisogno di raddoppiare, non bastava Reggio Calabria? Il Lazio detiene un altro record. Cinque centri per il rene. A Parigi ne basta uno. Marino è molto critico: «E' dimostrato che al di sotto degli standard internazionali aumentano mortalità e costi. La Commissione di inchiesta del Senato sul sistema sanitario dedicherà a questo tema un approfondimento. Non deve accadere che vengano rilasciate nuove autorizzazioni a Regioni non autonome dal punto di vista della disponibilità di organi». Franco Filipponi, presidente della giovane Società italiana per la qualità dei trapianti non lesina dubbi: «Difficilmente una struttura che produce meno di 25 trapianti di fegato all'anno svolge buona formazione e buona ricerca. Ma si sa, aprire nuovi reparti piace molto ai nostri politici, è veicolo di propaganda. I centri sono troppi e troppo frammentati».
Margherita De Bac
19 giugno 2008
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per quale cacchio di motivo devo romper le palle i parenti con le loro ingiustificate paure ?
se io lascio disposizioni sulla donazione, nessuno e dico nemmeno mia madre devrebbe permettersi di opporsi a tale decisione.
donare è un bel gesto, perchè esser così egoisti da lasciar marcire i nostri organi tra 4 lamiere di zinco (o inceneriti) invece che donarli ?
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