Giorgio Bocca vorrebbe una legge che impedisca di scrivere contro la resistenza. In riferimento al libro di Giamapaolo Pansa “La grande bugia” afferma che non sia tollerabile che democratici si schierino a fianco di Pansa. Se la prende con tutti Bocca, anche con coloro che confessano i misfatti sui fascisti da parte dei partigiani, ed anche contro coloro che ammettono che i partigiani non fossero tutti eroi immacolati e che le loro gesta, spesso, sono precipitate in bestialità superiori a quelle del fascismo.
Giorgio Bocca ha origini fasciste ed anche razziali, non perdona a Pansa l’averglielo fatto notare. Nel 1940 Bocca sottoscrive anche il “Manifesto in difesa della razza italiana” e nel 1942 attribuisce le responsabilità dell’andamento disastroso della guerra alla congiura ebraica. Non ha abbandonato la sua animosità faziosa neanche nel dopoguerra, sempre ferocemente impegnato a seguire gli animi più accesi di una contrapposizione spesso apparentemente irrazionale ma spesso ben valutata, come quando lavorò per Fininvest e Berlusconi, salvo essergli acerrimo nemico a lavoro ultimato. I suoi libri saturi di odio e portatori di ferme e gridate convinzioni vendono copie, non mancando un pubblico che si esalta al richiamo della ferocia.
Il nostro passa all’antifascismo nel 1943, dopo l’8 settembre. Rincomincia da zero ed aderisce al fotofinish a Giustizia e Libertà. A posteriori bisogna dire che nel suo interesse non poteva fare scelta più assennata. “Che razza di democrazia è questa, dove ci sono dei democratici che prendono le parti di Pansa?” Il riferimento di Bocca è al coro di solidarietà ricevuto da politici di destra e di sinistra e persino dal Presidente della Repubblica per la gazarra organizzata da un gruppo di giovani di sinistra in occasione della presentazione a reggio Emilia del suo ultimo libro. Bocca contesta che si possa avere idee differenti, contesta i fatti provati e storicamente documentati di una resistenza dal doppio volto. Uno pieno di ideali ed in lotta per la libertà e l’altro bieco, asservito, fatto di odio e di rancore maturato nelle cellule dei pregiudizi marxisti. In verità ci sarebbe ancora un altro aspetto della lotta partigiana fatto da delinquenti comuni e da banditismo organizzato ma è l’aspetto storicamente meno evidente ed in effetti meno importante.
Un percorso nella storia d’Italia quello di Bocca, un percorso indecente su di una realtà che fa trovare milioni di antifascisti in sostituzione di milioni di ex fascisti, la storia di un trasformismo infido, viscido, opportunista: fatto di furbizie e convenienze. Una storia che fa ritenere che al fascismo del ventennio negli anni si è andato sostituendo una sorta di antifascismo che in molti casi non è altro che fascismo rosso.
oggi a pg.2 del corriere della sera bocca si scaglia contro qualsiasi progetto di pacificazione nazionale arrivando ad accusare alemanno di collusioni con la destra più radicale in virtù dell'essere genero del "terrorista nero"(cosa affatto dimostrata) pino rauti.
io posso tranquillamente accettare un cambio di opinione su questioni etico politiche ma posizioni così radicali dalla penna di chi sottoscrisse il manifesto della razza per poi saltare sul carro del vincitore a guerra oramai persa sono l'esempio più esplicito di quel trasformismo nazionale contro il quale combatterono i tanti vituperati "repubblichini".
Giorgio Bocca ha origini fasciste ed anche razziali, non perdona a Pansa l’averglielo fatto notare. Nel 1940 Bocca sottoscrive anche il “Manifesto in difesa della razza italiana” e nel 1942 attribuisce le responsabilità dell’andamento disastroso della guerra alla congiura ebraica. Non ha abbandonato la sua animosità faziosa neanche nel dopoguerra, sempre ferocemente impegnato a seguire gli animi più accesi di una contrapposizione spesso apparentemente irrazionale ma spesso ben valutata, come quando lavorò per Fininvest e Berlusconi, salvo essergli acerrimo nemico a lavoro ultimato. I suoi libri saturi di odio e portatori di ferme e gridate convinzioni vendono copie, non mancando un pubblico che si esalta al richiamo della ferocia.
Il nostro passa all’antifascismo nel 1943, dopo l’8 settembre. Rincomincia da zero ed aderisce al fotofinish a Giustizia e Libertà. A posteriori bisogna dire che nel suo interesse non poteva fare scelta più assennata. “Che razza di democrazia è questa, dove ci sono dei democratici che prendono le parti di Pansa?” Il riferimento di Bocca è al coro di solidarietà ricevuto da politici di destra e di sinistra e persino dal Presidente della Repubblica per la gazarra organizzata da un gruppo di giovani di sinistra in occasione della presentazione a reggio Emilia del suo ultimo libro. Bocca contesta che si possa avere idee differenti, contesta i fatti provati e storicamente documentati di una resistenza dal doppio volto. Uno pieno di ideali ed in lotta per la libertà e l’altro bieco, asservito, fatto di odio e di rancore maturato nelle cellule dei pregiudizi marxisti. In verità ci sarebbe ancora un altro aspetto della lotta partigiana fatto da delinquenti comuni e da banditismo organizzato ma è l’aspetto storicamente meno evidente ed in effetti meno importante.
Un percorso nella storia d’Italia quello di Bocca, un percorso indecente su di una realtà che fa trovare milioni di antifascisti in sostituzione di milioni di ex fascisti, la storia di un trasformismo infido, viscido, opportunista: fatto di furbizie e convenienze. Una storia che fa ritenere che al fascismo del ventennio negli anni si è andato sostituendo una sorta di antifascismo che in molti casi non è altro che fascismo rosso.
oggi a pg.2 del corriere della sera bocca si scaglia contro qualsiasi progetto di pacificazione nazionale arrivando ad accusare alemanno di collusioni con la destra più radicale in virtù dell'essere genero del "terrorista nero"(cosa affatto dimostrata) pino rauti.
io posso tranquillamente accettare un cambio di opinione su questioni etico politiche ma posizioni così radicali dalla penna di chi sottoscrisse il manifesto della razza per poi saltare sul carro del vincitore a guerra oramai persa sono l'esempio più esplicito di quel trasformismo nazionale contro il quale combatterono i tanti vituperati "repubblichini".
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