La carovana era in viaggio da mille giorni attraverso il deserto nero, verso la lontana città posta ai limiti del nulla, agli inizi di una terra in cui, si diceva, vi erano alberi e armenti e gli uomini vivevano in feconda operosità , governati da un re saggio nella pace e nella giustizia.
Ma i predoni del deserto, che avevano seguito a lungo la strada dei carri sul sentiero delle pietre rosse, arrivarono quella notte a uccidere e depredare, e fecero strage di vecchi e bambini, e violentarono donne, e solo pochi uomini pavidi che si erano sottratti alla lotta poterono fuggire, portando i loro passi sulla superficie dura delle pietre, ponte sospeso tra il buio della notte e la negra terra spaccata.
Alle prime luci del giorno, mentre all' orizzonte ancora fumavano i resti della carovana, un uomo solo su un alto, nero cavallo, che addosso aveva abiti regali, che regale aveva il volto, gli si fece incontro e disse loro di essere il re della città lontana, esiliato dal figlio che, promettendo al popolo ricchezze e conquiste, con le genti sottomesse aveva poi fatto schiavi i suoi stessi sudditi, in una dittatura stolta e crudele.
"Non possiamo andare là dove saremmo schiavi" dissero allora gli uomini, "nè torneremo reietti alle nostre terre. Andremo sui monti a est, dove i pastori nomadi ci accoglieranno, dove potremo vivere fino a che i nostri padri avranno dimenticato il tradimento"
Ma il re disse loro che esisteva una terra di cui aveva sentito parlare nei giorni lontani della sua infanzia dal vecchio giullare, una terra nelle estreme lontananze a occidente, oltre il deserto nero, in cui vi erano ricchezze inaudite, e pace e giustizia vere, e nessuno avrebbe mai sopraffato gli altri, perchè ognuno aveva per sè ben oltre i suoi stessi desideri, e i re non portavano guerra ai popoli vicini, perchè vi erano un solo re e molti popoli. "Andiamo là", disse "dove io non sarò sovrano, dove voi non sarete schiavi... in quella terra che forse è solo leggenda... ma per un sogno così sarebbe bello morire!"
Ma gli uomini pavidi erano affamati e stanchi, e avevano acqua solo per pochi giorni ancora, e i monti apparivano così vicini, e con le armi tolsero al re il cibo e l' acqua e il cavallo, e subito ripresero il loro cammino.
Giunti ai piedi delle prime alture, trovarono un' oasi con pozze d'acqua stagnante e fangosa e radi arbusti dalle radici insipide ma nutrienti. Restarono là a riposare un giorno, e poi il giorno dopo e quello dopo ancora, e poi per sempre visserò là, perchè le montagne non sembravano più così vicine, ora che avevano abbastanza per restare.
Il re continuò solo la sua marcia, e per sette giorni e sette notti camminò senza mai fermare il passo, come se acqua e cibo gli fossero superflui, come se disperazione non esistesse per lui, finchè all' improvviso apparve ai suoi occhi la città, e lui vi entrò e subito fu rifocillato, e ragazze bellissime lo lavarono in vasche di fiori di loto, tra marmi e musiche e colori, e lui capì cos'era quella felicità che il giullare gli raccontava da bambino.
Nel suo sogno, al centro del deserto nero in cui era morto, nel miraggio di una felicità inesistente, aveva trovato la sola felicità a lui possibile: in una marcia persa ai limitari del nulla, verso le lontane terre di Utòpia.
Ma i predoni del deserto, che avevano seguito a lungo la strada dei carri sul sentiero delle pietre rosse, arrivarono quella notte a uccidere e depredare, e fecero strage di vecchi e bambini, e violentarono donne, e solo pochi uomini pavidi che si erano sottratti alla lotta poterono fuggire, portando i loro passi sulla superficie dura delle pietre, ponte sospeso tra il buio della notte e la negra terra spaccata.
Alle prime luci del giorno, mentre all' orizzonte ancora fumavano i resti della carovana, un uomo solo su un alto, nero cavallo, che addosso aveva abiti regali, che regale aveva il volto, gli si fece incontro e disse loro di essere il re della città lontana, esiliato dal figlio che, promettendo al popolo ricchezze e conquiste, con le genti sottomesse aveva poi fatto schiavi i suoi stessi sudditi, in una dittatura stolta e crudele.
"Non possiamo andare là dove saremmo schiavi" dissero allora gli uomini, "nè torneremo reietti alle nostre terre. Andremo sui monti a est, dove i pastori nomadi ci accoglieranno, dove potremo vivere fino a che i nostri padri avranno dimenticato il tradimento"
Ma il re disse loro che esisteva una terra di cui aveva sentito parlare nei giorni lontani della sua infanzia dal vecchio giullare, una terra nelle estreme lontananze a occidente, oltre il deserto nero, in cui vi erano ricchezze inaudite, e pace e giustizia vere, e nessuno avrebbe mai sopraffato gli altri, perchè ognuno aveva per sè ben oltre i suoi stessi desideri, e i re non portavano guerra ai popoli vicini, perchè vi erano un solo re e molti popoli. "Andiamo là", disse "dove io non sarò sovrano, dove voi non sarete schiavi... in quella terra che forse è solo leggenda... ma per un sogno così sarebbe bello morire!"
Ma gli uomini pavidi erano affamati e stanchi, e avevano acqua solo per pochi giorni ancora, e i monti apparivano così vicini, e con le armi tolsero al re il cibo e l' acqua e il cavallo, e subito ripresero il loro cammino.
Giunti ai piedi delle prime alture, trovarono un' oasi con pozze d'acqua stagnante e fangosa e radi arbusti dalle radici insipide ma nutrienti. Restarono là a riposare un giorno, e poi il giorno dopo e quello dopo ancora, e poi per sempre visserò là, perchè le montagne non sembravano più così vicine, ora che avevano abbastanza per restare.
Il re continuò solo la sua marcia, e per sette giorni e sette notti camminò senza mai fermare il passo, come se acqua e cibo gli fossero superflui, come se disperazione non esistesse per lui, finchè all' improvviso apparve ai suoi occhi la città, e lui vi entrò e subito fu rifocillato, e ragazze bellissime lo lavarono in vasche di fiori di loto, tra marmi e musiche e colori, e lui capì cos'era quella felicità che il giullare gli raccontava da bambino.
Nel suo sogno, al centro del deserto nero in cui era morto, nel miraggio di una felicità inesistente, aveva trovato la sola felicità a lui possibile: in una marcia persa ai limitari del nulla, verso le lontane terre di Utòpia.
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