Originariamente Scritto da temete
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Carissimo,
il tuo atteggiamento paternalistico a parti invertite mi commuove.
Quando la corte costituzionale si esprime non può che fondare il proprio giudizio sulla base del dettato costituzionale (d'onde il nome). Ne consegue che il suo sarà sempre un sindacato di costituzionalità.
Pertanto, in un eventuale conflitto tra poteri in cui la Corte stabilisca che nel Regolamento parlamentare la Camerà si è attribuita un potere che a norma di costituzione non le spettava, ne deriverà la declaratoria della sua incostituzionalità.
Questo non porterà alla abrogazione della norma del Regolamento ma induce la Camera ad emendarlo se non vorrà che in seguito venga sollevato un nuovo conflitto.
E' impensabile che i Regolamenti siano sottratti a qualsiasi controllo di costituzionalità. La corte pertanto ha individuato meccanismi diversi ma altrettanto efficaci per evitare zone franche costituzionali. La ratio della norma è infatti di garantire piena autonomia all'organo parlamentare, non di sottrarlo ali disposti della costituzione.
..faccio un altro utile copia incolla:
Mi pare quindi difficile, nel caso di specie, negare efficacia esterna al regolamento parlamentare. A questa conclusione si giunge sia muovendo dalla tradizionale ricostruzione del regolamento parlamentare come fonte a competenza riservata (in parte) integrativa del disposto costituzionale (sin dalla sent. C. cost. n. 9/1959), sia dalla (conseguente) necessità di riconoscere carattere giuridico alla norma regolamentare onde assicurarne la sindacabilità da parte di un giudice "esterno" all'Assemblea, conclusione, quest'ultima, che tra l'altro, nel caso in questione, si configura come presupposto per assicurare il rispetto di un (pur minimo) statuto dell'opposizione costruito per via regolamentare.
Come noto, la dottrina si è divisa tra coloro che sostengono che i regolamenti parlamentari siano riconducibili, sia pure con diverse sfumature, al diritto oggettivo, riconoscendovi fonti di rango primario subordinate soltanto alla Costituzione, e, quindi, atti aventi forza (e valore) di legge e che, pertanto, da un lato, siano sottoponibili al sindacato della Corte e, dall'altro, possano integrare il parametro del giudizio di legittimità formale delle leggi, e coloro che tendono a negare tale rilevanza esterna. La Corte costituzionale ha invece "chiuso la partita" negando entrambe le caratteristiche ai regolamenti parlamentari (sent. n. 154/1985).
Tuttavia, altro è riconoscere la natura di fonte del diritto oggettivo e altro è negare ogni rilevanza esterna alle norme regolamentari. La tesi del regolamento parlamentare come norma meramente "interna", espressione di "politicità" piuttosto che di "giuridicità", nasce e si afferma nel periodo statutario e appare del tutto inconferente rispetto alle riserve di competenza delineate dalla Costituzione repubblicana agli artt. 64 e 72 Cost.
In verità, anche le pronunce della Corte che esprimono una rinnovata adesione alla teoria degli interna corporis acta sembrano confermare un'evidente rilevanza esterna alle norme regolamentari al punto da riconoscere che esse esprimono una "capacità qualificatoria" tale da sottrarre ogni fatto - anche se penalmente rilevante - a mezzi di tutela diversi da quelli previsti dal regolamento stesso (sent. n. 379/1996).
Se quindi il regolamento parlamentare quando si pone come norma integrativo-estrattiva, ad esempio, delle norme costituzionali sulle immunità e sulle prerogative parlamentari assume questa rilevanza esterna inibendo il sindacato del giudice penale o del giudice civile (si pensi all'abuso dell'art. 68 Cost.), dovrebbe assumerla anche quando costituisce "svolgimento" di norme costituzionali che impongono obblighi ad altri soggetti per giunta inerenti all'essenza stessa della forma di governo costituzionale.
Muovendo da questi presupposti, sembrerebbe quindi configurabile una forma di controllo sui regolamenti parlamentari per la via del conflitto di attribuzione anche quando un atto o comportamento omissivo di altro organo determini una lesione della sfera di competenza parlamentare, relativa, in questo caso, all'esercizio della funzione di controllo.
Nella vicenda in commento, infatti, il comportamento omissivo del Presidente del Consiglio determina la violazione di una norma regolamentare che costituisce diretto svolgimento e integrazione di una norma costituzionale e di una serie di principi - gli obblighi del Governo in Parlamento - che esprimono l'intima essenza della forma di governo. Non sussiste infatti soltanto un nesso diretto tra l'art. 135-bis reg. Cam. e l'art. 64, quarto comma, Cost., ma l'"integrazione" operata dalla norma regolamentare del disposto costituzionale è "indirizzata" da un'altra fonte di rango costituzionale (art. 95, primo comma, Cost., espressamente richiamato dall'art. 135-bis, comma 3, reg. Cam.) e dall'interpretazione che ne hanno fornito la più recente legislazione, le convenzioni e la prassi sulle concrete dinamiche della forma di governo.
In questa prospettiva, il conflitto si configurerebbe come conflitto da menomazione per effetto di un comportamento omissivo e potrebbe essere risolto nel senso di indurre il Governo a dare esecuzione alla norma regolamentare che si pone come integrazione della norma costituzionale.
Soltanto così potrebbe essere restituito alla Corte costituzionale il ruolo di garante delle attribuzioni costituzionali, della rigidità della Costituzione e della forma di governo, garantendo la giustiziabilità di un aspetto qualificante dello statuto dell'opposizione nel faticoso processo di riequilibrio dei rapporti tra Governo, maggioranza e opposizione fortemente alterato dall'introduzione del sistema maggioritario.
il tuo atteggiamento paternalistico a parti invertite mi commuove.
Quando la corte costituzionale si esprime non può che fondare il proprio giudizio sulla base del dettato costituzionale (d'onde il nome). Ne consegue che il suo sarà sempre un sindacato di costituzionalità.
Pertanto, in un eventuale conflitto tra poteri in cui la Corte stabilisca che nel Regolamento parlamentare la Camerà si è attribuita un potere che a norma di costituzione non le spettava, ne deriverà la declaratoria della sua incostituzionalità.
Questo non porterà alla abrogazione della norma del Regolamento ma induce la Camera ad emendarlo se non vorrà che in seguito venga sollevato un nuovo conflitto.
E' impensabile che i Regolamenti siano sottratti a qualsiasi controllo di costituzionalità. La corte pertanto ha individuato meccanismi diversi ma altrettanto efficaci per evitare zone franche costituzionali. La ratio della norma è infatti di garantire piena autonomia all'organo parlamentare, non di sottrarlo ali disposti della costituzione.
..faccio un altro utile copia incolla:
Mi pare quindi difficile, nel caso di specie, negare efficacia esterna al regolamento parlamentare. A questa conclusione si giunge sia muovendo dalla tradizionale ricostruzione del regolamento parlamentare come fonte a competenza riservata (in parte) integrativa del disposto costituzionale (sin dalla sent. C. cost. n. 9/1959), sia dalla (conseguente) necessità di riconoscere carattere giuridico alla norma regolamentare onde assicurarne la sindacabilità da parte di un giudice "esterno" all'Assemblea, conclusione, quest'ultima, che tra l'altro, nel caso in questione, si configura come presupposto per assicurare il rispetto di un (pur minimo) statuto dell'opposizione costruito per via regolamentare.
Come noto, la dottrina si è divisa tra coloro che sostengono che i regolamenti parlamentari siano riconducibili, sia pure con diverse sfumature, al diritto oggettivo, riconoscendovi fonti di rango primario subordinate soltanto alla Costituzione, e, quindi, atti aventi forza (e valore) di legge e che, pertanto, da un lato, siano sottoponibili al sindacato della Corte e, dall'altro, possano integrare il parametro del giudizio di legittimità formale delle leggi, e coloro che tendono a negare tale rilevanza esterna. La Corte costituzionale ha invece "chiuso la partita" negando entrambe le caratteristiche ai regolamenti parlamentari (sent. n. 154/1985).
Tuttavia, altro è riconoscere la natura di fonte del diritto oggettivo e altro è negare ogni rilevanza esterna alle norme regolamentari. La tesi del regolamento parlamentare come norma meramente "interna", espressione di "politicità" piuttosto che di "giuridicità", nasce e si afferma nel periodo statutario e appare del tutto inconferente rispetto alle riserve di competenza delineate dalla Costituzione repubblicana agli artt. 64 e 72 Cost.
In verità, anche le pronunce della Corte che esprimono una rinnovata adesione alla teoria degli interna corporis acta sembrano confermare un'evidente rilevanza esterna alle norme regolamentari al punto da riconoscere che esse esprimono una "capacità qualificatoria" tale da sottrarre ogni fatto - anche se penalmente rilevante - a mezzi di tutela diversi da quelli previsti dal regolamento stesso (sent. n. 379/1996).
Se quindi il regolamento parlamentare quando si pone come norma integrativo-estrattiva, ad esempio, delle norme costituzionali sulle immunità e sulle prerogative parlamentari assume questa rilevanza esterna inibendo il sindacato del giudice penale o del giudice civile (si pensi all'abuso dell'art. 68 Cost.), dovrebbe assumerla anche quando costituisce "svolgimento" di norme costituzionali che impongono obblighi ad altri soggetti per giunta inerenti all'essenza stessa della forma di governo costituzionale.
Muovendo da questi presupposti, sembrerebbe quindi configurabile una forma di controllo sui regolamenti parlamentari per la via del conflitto di attribuzione anche quando un atto o comportamento omissivo di altro organo determini una lesione della sfera di competenza parlamentare, relativa, in questo caso, all'esercizio della funzione di controllo.
Nella vicenda in commento, infatti, il comportamento omissivo del Presidente del Consiglio determina la violazione di una norma regolamentare che costituisce diretto svolgimento e integrazione di una norma costituzionale e di una serie di principi - gli obblighi del Governo in Parlamento - che esprimono l'intima essenza della forma di governo. Non sussiste infatti soltanto un nesso diretto tra l'art. 135-bis reg. Cam. e l'art. 64, quarto comma, Cost., ma l'"integrazione" operata dalla norma regolamentare del disposto costituzionale è "indirizzata" da un'altra fonte di rango costituzionale (art. 95, primo comma, Cost., espressamente richiamato dall'art. 135-bis, comma 3, reg. Cam.) e dall'interpretazione che ne hanno fornito la più recente legislazione, le convenzioni e la prassi sulle concrete dinamiche della forma di governo.
In questa prospettiva, il conflitto si configurerebbe come conflitto da menomazione per effetto di un comportamento omissivo e potrebbe essere risolto nel senso di indurre il Governo a dare esecuzione alla norma regolamentare che si pone come integrazione della norma costituzionale.
Soltanto così potrebbe essere restituito alla Corte costituzionale il ruolo di garante delle attribuzioni costituzionali, della rigidità della Costituzione e della forma di governo, garantendo la giustiziabilità di un aspetto qualificante dello statuto dell'opposizione nel faticoso processo di riequilibrio dei rapporti tra Governo, maggioranza e opposizione fortemente alterato dall'introduzione del sistema maggioritario.
Mi viene lo scorbuto solo a pensare di leggere tutto ciò .Comunque dai,non perdiamoci in futili dispute giuridiche,ce ne sono già in abbondanza
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