Considerazioni sul Fascismo (astenersi dalle frasi fatte e motivare!)

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  • Sean
    Csar
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    Riguardo quanto sopra mi sono andato a rileggere la descrizione che dell'EUR fa un autore che prendo apposta perchè non possiamo certo sospettare di "simpatie" fasciste, tale Corrado Augias, che nel suo "I Segreti Di Roma" (Prima edizione, Mondadori, 2005) così scrive a pagina 383:

    "Per un curioso paradosso l'immagine della Roma più antica si trova proprio nel quartiere più moderno della capitale.
    Non che non siano stati creati altri complessi edilizi dopo di quello, anzi, nel dopoguerra Roma è letteralmente esplosa in ogni direzione. L'EUR rimane però la più grandiosa realizzazione urbanistica del Novecento, quella ideata con più cura, affidata ad alcuni dei migliori architetti dell'epoca
    (alla faccia del Piacentini stroncato dal nostro Fake - nota mia -) per accogliere l'esposizione del 1942 (...)
    (...)Gli edifici momumentali, espositivi, funzionali, di rappresentanza, avrebbero dovuto avere carattere permanente. Quindi non padiglioni realizzati con materiali effimeri, ma robuste costruzioni in cemento armato e pietrame, solidamente rivestite, ideate per diventare un primo insediamento attorno al quale sarebbe via via sorto un nuovo quartiere a sudovest del vecchio centro cittadino(...)
    (...)Era un'idea a suo modo geniale, se non altro perchè in forte anticipo sui tempi per quanto riguarda concetti come decentramento e dislocazione sul territorio.

    Com'era?..Ah, "l'innovazione è del tutto assente" (cit. Fake)
    Non credo di avere altro da aggiungere sulla già troppo lunga, inutile e noiosa questione.
    Last edited by Sean; 05-05-2009, 19:14:40.
    ...ma di noi
    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
    forse, tra mille inverni
    «nessun vincolo univa questi morti
    nella necropoli deserta»

    C. Campo - Moriremo Lontani


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    • DORian_fAke
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      Originariamente Scritto da sean
      fa piacere anche a me che tu argomenti le tue, peccato che qua non stiamo parlando di un palazzo ad uso abitativo, ma celebrativo e monumentale, dunque quell "esercezio stilistico fine a se stesso" è tutto da rivedere in quest'ottica, perchè allora quel criterio liquidatorio che cade non si capisce da dove, perchè e da chi, è applicabile ad ogni monumento con le stesse velleità, antico o moderno che sia.



      a dire il vero il palazzo della civiltà italiana è stato costruito per l'esposizione universale del 42. E la funzione era quella di accogliere una mostra sulla civiltà italiana, quindi uno spazio espositivo e non un monumento come tu hai detto. Prova a paroganare "il colosseo quadrato" con il padiglione di Mies Van Der Rohe nell'esposizione universale del 29 a Barcellona. Quella è innovazione! (ti parlo di innovazione perchè questa discussione sull'architettura tra me e te è nata da questa frase "la stessa arte fascista (...) conciliò modernità e classicità, tradizione e innovazione" e come esempio mi hai citato proprio il palazzo della civiltà italiana)
      stai parlando del palazzo della civiltà italiana come qualcosa di innovativo, quando invece è parecchio indietro nell'innovazione rispetto ad altre architetture ad esso contemporanee o addirittura precedenti.

      per quanto concerne le frase riguardo ai monumenti io non ho mai affermato niente di simile, tant'è che la mia frase ""esercezio stilistico fine a se stesso" era riferita al palazzo della civiltà italiana.


      se tu ci vedi della magniloquenza fine a se stessa non posso farti cambiare idea io, ma vedo che dalle radici (che prima negavi, ed ora affermi richiamando tu stesso il legame al modello-colosseo)



      io ho negato il carattere innovativo di quell'architettura, il richiamo con il colosseo è palese a tutti, peccato che sia di maniera.




      siamo passati ora alla funzionalità, come se si stesse parlando di un edifico scolastico e non di una costruzione che doveva celebrare in faccia al mondo la storia della civiltà italica, passata, presente e con l'occhio rivolto al futuro, cosa che qua riesce in pieno, tanto che tutta la successiva architettura post-bellica non riuscirà ad eguagliarne i risultati, con quegli autentici obbrobri che sono le periferie odierne;



      in parte condivido, purtroppo la ricostruzione post bellica è stata quasi interamente un obbrobio, però dato che parli di ricostruzione post bellica e la critichi duramente, che ne pensi dell'intervento di Libera al Tuscolano? (forse qui si va ot)



      l'eur a roma resta l'ultimo epigono di una logica che vuole lo spazio fuori dal centro ancora inserito in una ideale e rinnovata congiunzione con tutto ciò che già c'era.
      prendo comunque atto di questa stroncatura dell'architettura fascista sperando un giorno di poterla vedere confermata in un qualche libro di storia dell'arte, cosa che, ahimè, non mi è ancora capitata di leggere, meno che mai riferita al suddetto eur (su via della conciliazione ne possiamo parlare, per dirti che i giudizi assoluti non stanno bene nè qui nè appioppati alla storia tout-court).
      per tutto il resto prego confrontarsi la qualità dei progetti di città edificate ex-novo sotto al fascismo come sabaudia e littoria e l'attuale "contemporaneo" sviluppo urbanistico in cui l'unico piano regolatore e innovatore è quello del cemento per il cemento, in un'autentica opera di alienazione abitativa che abbruttisce cose e persone chiamate a viverci, questo si veramente funzionale allo scopo, avendo, infatti, obnubilato il piacere del bello tanto da non sapere neppure più riconoscerlo quando lo troviamo davanti:
      l'odierno vi sta intossicando, ragazzi.



      attenzione io non ho mai parlato dell'e42 (eur), mi sono limitato a criticare il colosseo quadrato.




      riguardo quanto sopra mi sono andato a rileggere la descrizione che dell'eur fa un autore che prendo apposta perchè non possiamo certo sospettare di "simpatie" fasciste, tale corrado augias, che nel suo "i segreti di roma" (prima edizione, mondadori, 2005) così scrive a pagina 383:
      "per un curioso paradosso l'immagine della roma più antica si trova proprio nel quartiere più moderno della capitale.
      non che non siano stati creati altri complessi edilizi dopo di quello, anzi, nel dopoguerra roma è letteralmente esplosa in ogni direzione. L'eur rimane però la più grandiosa realizzazione urbanistica del novecento, quella ideata con più cura, affidata ad alcuni dei migliori architetti dell'epoca (alla faccia del piacentini stroncato dal nostro fake - nota mia -) per accogliere l'esposizione del 1942 (...)



      ribadisco non ho mai parlato dell'eur di piacentini, e credo che sia un buon intervento urbanistico per l'epoca.
      quindi io non ho stroncato Piacentini urbanista.
      e comunque io Piacentini non l'ho nemmeno nominato!


      (...)gli edifici momumentali, espositivi, funzionali, di rappresentanza, avrebbero dovuto avere carattere permanente. Quindi non padiglioni realizzati con materiali effimeri, ma robuste costruzioni in cemento armato e pietrame, solidamente rivestite, ideate per diventare un primo insediamento attorno al quale sarebbe via via sorto un nuovo quartiere a sudovest del vecchio centro cittadino(...)
      (...)era un'idea a suo modo geniale, se non altro perchè in forte anticipo sui tempi per quanto riguarda concetti come decentramento e dislocazione sul territorio.

      com'era?..ah, "l'innovazione è del tutto assente" (cit. Fake)



      Sean di nuovo?! Questa frase, vai a rivedertela, era riferità al palazzo della civiltà italiana e non all'eur! Io ho criticato quell'edificio non l'intervento urbanistico.

      questa conversazione è stimolante, però ti chiedo di non mettermi in bocca parole che non ho mai detto.



      non credo di avere altro da aggiungere sulla già troppo lunga, inutile e noiosa questione.


      come lunga, inutile, e noiosa?
      fino a due post fa l'hai definita "...così da chiudere questa pur interessante parentesi"

      .
      Last edited by DORian_fAke; 05-05-2009, 21:51:03. Motivo: Formattazione testo

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      • ma_75
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        .
        Solo una puntualizzazione. Mi pare che nella tua valutazione di "arte non innovativa" ci sia un giudizio di merito negativo. Sbaglio?
        In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
        ma_75@bodyweb.com

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        • DORian_fAke
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          Originariamente Scritto da ma_75 Visualizza Messaggio
          Solo una puntualizzazione. Mi pare che nella tua valutazione di "arte non innovativa" ci sia un giudizio di merito negativo. Sbaglio?
          No Ma_ ti sbagli, la mia critica era altra.

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          • Sean
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            a dire il vero il palazzo della civiltà italiana è stato costruito per l'esposizione universale del 42. E la funzione era quella di accogliere una mostra sulla civiltà italiana, quindi uno spazio espositivo e non un monumento come tu hai detto. Prova a paroganare "il colosseo quadrato" con il padiglione di mies van der rohe nell'esposizione universale del 29 a barcellona. Quella è innovazione! (ti parlo di innovazione perchè questa discussione sull'architettura tra me e te è nata da questa frase "la stessa arte fascista (...) conciliò modernità e classicità, tradizione e innovazione" e come esempio mi hai citato proprio il palazzo della civiltà italiana)
            stai parlando del palazzo della civiltà italiana come qualcosa di innovativo, quando invece è parecchio indietro nell'innovazione rispetto ad altre architetture ad esso contemporanee o addirittura precedenti.

            per quanto concerne le frase riguardo ai monumenti io non ho mai affermato niente di simile, tant'è che la mia frase ""esercezio stilistico fine a se stesso" era riferita al palazzo della civiltà italiana.



            io ho negato il carattere innovativo di quell'architettura, il richiamo con il colosseo è palese a tutti, peccato che sia di maniera.


            Se qua ci mettiamo a tagliuzzare le frasi, cercando il dolo dove non c'è, non ne usciamo, ed in questo senso è quantomai profetica la mia definizione di discussione lunga, inutile e noiosa.
            Se fai il capzioso sul termine usato circa il Palazzo, definito da me "celebrativo e monumentale", se mi fai notare che esso serviva per accogliere invece una mostra sulla civiltà italiana (come se questo appunto escludesse l'intento celebrativo e monumentale), cosa che dico io stesso poco sotto, se consideri in contrasto il dire "celebrativo e monumentale" con "spazio espositivo" (che significa tutto e niente, perchè uno spazio espositivo di per sè deve essere raccolto tra quattro mura, se non intendiamo una piazza, e queste quattro mura nulla vieta, come nel caso del Palazzo, che siano celebrative e monumentali) non stiamo usando un linguaggio che può permettere un incontro ed una conclusione, anche se non obbligatoriamente condivisa.

            Venendo a noi, l'obiezione che ti muovo è quella di partire anche tu da un errore per la verità piuttosto comune, quello cioè di estrapolare dal contesto scenografico e urbano l'opera in analisi, che solo piantata in quel contesto possiamo invece giudicare per quanto vale.
            Non è innovativo solo il Palazzo, ma lo è, come giustamente rileva anche Augias, tutto il quartiere in cui questo si viene ad innalzare, ed è per questo che è anche importante parlare di Piacentini, perchè la sua linea guida è quella di perseguire una politica urbanistica che equilibri il rispetto per l'antico con la spinta verso il moderno;
            Dobbiamo tenere in conto che qui siamo a Roma, non a Barcellona, e che è al piano regolatore ed urbano di Roma che dobbiamo guardare e in cui dobbiamo inserire il Palazzo e, intorno a questo, l'EUR, ed ecco perchè anche qui (altro rilievo che ti faccio) è inutile quanto fuorviante tirare in ballo altre opere come il pur apprezzabilissimo Padiglione di Barcellona del De Rohe, che si innestano con altro spirito in un altro paesaggio.

            Dunque il Palazzo, fulcro di quella Terza Roma fortemente voluta dal Duce, non può non avere vincoli precisi cui si deve attenere, nelle intenzioni del capo-architetto, ma questi vincoli di richiamo al centro monumentale dell'Urbe vengono anche superati da uno slancio ideativo nuovissimo, che sublima il monumentalismo del Colosseo in uno scenario metafisico (non è per niente un caso che A. Hopkins abbia scelto la quinta del Colosseo quadrato per il suo Titus post-moderno, per dire, ancora oggi, del valore di questa innovazione), alleggerendolo di quella pesantezza che invece più e più volte verrà rimproverata a certa arte fascista, come quella del contemporaneo (e concorrente) Brasini.
            Piacentini disegna il monumento non per innalzarlo su di un piedistallo (questa si una visione "di maniera") ma per farlo semmai vivere nel contesto ben più ampio della città dove questo si trova a sorgere:
            Una concezione assolutamente moderna come moderno è il risultato, e basta paragonare il Palazzo a quell'orrore (che oggi si va rivalutando...) che è il Monumento a Vittorio Emanuele II (questo si mero assemblamento di marmi, quasi come un lego) per capire lo scampato pericolo e la rottura che rappresenta il Palazzo con ogni altra opera celebrativa e di regime, sotto ogni latitudine (si veda cosa produsse l'architettura di regime sovietica, a tal proposito).

            Quando Piacentini (e l'architettura fascista) verrà meno alle succitate linee guida, quelle del contesto, avremo quel gigantesco aborto storico-architettonico che è Via della Conciliazione, vanagloriosa opera che nel cuore stesso di Roma manda a carte quarantotto l'equilibrio scenografico e barocco voluto da Bernini.
            Il Palazzo, in questo senso, preserva l'antico nel suo richiamo obbligato (essendo in Roma e volendo Roma stessa celebrare) dandogli però forma nuova, armonica e armonizzante.
            Last edited by Sean; 05-05-2009, 22:57:37.
            ...ma di noi
            sopra una sola teca di cristallo
            popoli studiosi scriveranno
            forse, tra mille inverni
            «nessun vincolo univa questi morti
            nella necropoli deserta»

            C. Campo - Moriremo Lontani


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              Se qua ci mettiamo a tagliuzzare le frasi, cercando il dolo dove non c'è, non ne usciamo, ed in questo senso è quantomai profetica la mia definizione di discussione lunga, inutile e noiosa.
              Se fai il capzioso sul termine usato circa il Palazzo, definito da me "celebrativo e monumentale", se mi fai notare che esso serviva per accogliere invece una mostra sulla civiltà italiana (come se questo appunto escludesse l'intento celebrativo e monumentale), cosa che dico io stesso poco sotto, se consideri in contrasto il dire "celebrativo e monumentale" con "spazio espositivo" (che significa tutto e niente, perchè uno spazio espositivo di per sè deve essere raccolto tra quattro mura, se non intendiamo una piazza, e queste quattro mura nulla vieta, come nel caso del Palazzo, che siano celebrative e monumentali) non stiamo usando un linguaggio che può permettere un incontro ed una conclusione, anche se non obbligatoriamente condivisa.

              Venendo a noi, l'obiezione che ti muovo è quella di partire anche tu da un errore per la verità piuttosto comune, quello cioè di estrapolare dal contesto scenografico e urbano l'opera in analisi, che solo piantata in quel contesto possiamo invece giudicare per quanto vale.
              Non è innovativo solo il Palazzo, ma lo è, come giustamente rileva anche Augias, tutto il quartiere in cui questo si viene ad innalzare, ed è per questo che è anche importante parlare di Piacentini, perchè la sua linea guida è quella di perseguire una politica urbanistica che equilibri il rispetto per l'antico con la spinta verso il moderno;
              Dobbiamo tenere in conto che qui siamo a Roma, non a Barcellona, e che è al piano regolatore ed urbano di Roma che dobbiamo guardare e in cui dobbiamo inserire il Palazzo e, intorno a questo, l'EUR, ed ecco perchè anche qui (altro rilievo che ti faccio) è inutile quanto fuorviante tirare in ballo altre opere come il pur apprezzabilissimo Padiglione di Barcellona del De Rohe, che si innestano con altro spirito in un altro paesaggio.

              Dunque il Palazzo, fulcro di quella Terza Roma fortemente voluta dal Duce, non può non avere vincoli precisi cui si deve attenere, nelle intenzioni del capo-architetto, ma questi vincoli di richiamo al centro monumentale dell'Urbe vengono anche superati da uno slancio ideativo nuovissimo, che sublima il monumentalismo del Colosseo in uno scenario metafisico (non è per niente un caso che A. Hopkins abbia scelto la quinta del Colosseo quadrato per il suo Titus post-moderno, per dire, ancora oggi, del valore di questa innovazione), alleggerendolo di quella pesantezza che invece più e più volte verrà rimproverata a certa arte fascista, come quella del contemporaneo (e concorrente) Brasini.
              Piacentini disegna il monumento non per innalzarlo su di un piedistallo (questa si una visione "di maniera") ma per farlo semmai vivere nel contesto ben più ampio della città dove questo si trova a sorgere:
              Una concezione assolutamente moderna come moderno è il risultato, e basta paragonare il Palazzo a quell'orrore (che oggi si va rivalutando...) che è il Monumento a Vittorio Emanuele II (questo si mero assemblamento di marmi, quasi come un lego) per capire lo scampato pericolo e la rottura che rappresenta il Palazzo con ogni altra opera celebrativa e di regime, sotto ogni latitudine (si veda cosa produsse l'architettura di regime sovietica, a tal proposito).

              Quando Piacentini (e l'architettura fascista) verrà meno alle succitate linee guida, quelle del contesto, avremo quel gigantesco aborto storico-architettonico che è Via della Conciliazione, vanagloriosa opera che nel cuore stesso di Roma manda a carte quarantotto l'equilibrio scenografico e barocco voluto da Bernini.
              Il Palazzo, in questo senso, preserva l'antico nel suo richiamo obbligato (essendo in Roma e volendo Roma stessa celebrare) dandogli però forma nuova, armonica e armonizzante.
              Come già ho scritto, convengo che l'EUR possa essere considerato un buon intervento urbanistico per l'epoca, ma io questa fantomatica modernità e innovazione nel "Colosseo quadrato" non la vedo proprio, e non riesco proprio a capire cosa intenda tu per innovativo e moderno. E soprattutto rispettare il contesto non significa scopiazzare deliberatamente l'architettura passata. Perchè l'architettura romana era caratterizzata da elementi costruttivi che avevano un senso e una funzione ben precisa in quel determinato periodo storico, senso che non coincide per niente con le scelte progettuli proposte nel "Colosseo Quadrato" che si limita a scimmiottarne alcuni aspetti in maniera becera.


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              • Sean
                Csar
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                Dorian, non esiste solo l'innovazione come "rottura", ma anche l'innovazione nel senso della continuità e del rispetto a vincoli urbanistici preesistenti, e che in Roma sono più forti che altrove, per cui il moderno deve vivere in equilibrio col passato.
                In questo senso solo tu puoi vederci una scopiazzatura (addirittura "becera") del Colosseo, e non una sua rilettura a duemila anni di distanza.
                Certo se per te "innovazione" vuol dire non tenere conto del contesto preferendo avvieneristici palazzi con curve, geometrie, linee che nulla hanno a che spartire col classico già stratificato consiglio allora l'America ed il suo sempre nuovo perchè senza paragone (non avendo nulla cui richiamarsi).
                Credo che le posizioni siano state sufficientemente espresse, e non mi sembrano suscettibili di modifiche, per cui è inutile continuare ad appensantire il Thread (che ha una sua ben nota e dichiarata linea storica da seguire) andando fuori tema in una pur dovuta considerazione sull'arte fascista.
                ...ma di noi
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                • DORian_fAke
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                  Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
                  Dorian, non esiste solo l'innovazione come "rottura", ma anche l'innovazione nel senso della continuità e del rispetto a vincoli urbanistici preesistenti, e che in Roma sono più forti che altrove, per cui il moderno deve vivere in equilibrio col passato.
                  In questo senso solo tu puoi vederci una scopiazzatura (addirittura "becera") del Colosseo, e non una sua rilettura a duemila anni di distanza.
                  Certo se per te "innovazione" vuol dire non tenere conto del contesto preferendo avvieneristici palazzi con curve, geometrie, linee che nulla hanno a che spartire col classico già stratificato consiglio allora l'America ed il suo sempre nuovo perchè senza paragone (non avendo nulla cui richiamarsi).
                  Credo che le posizioni siano state sufficientemente espresse, e non mi sembrano suscettibili di modifiche, per cui è inutile continuare ad appensantire il Thread (che ha una sua ben nota e dichiarata linea storica da seguire) andando fuori tema in una pur dovuta considerazione sull'arte fascista.
                  Io ho espresso la mia opinione in merito, poi ovviamente che ognuno pensi quel che vuole, non sono portatore di verità assolute ne pretendo di esserlo. Giusto una precisazione: lungi da me voler ritenere il contesto, sia storico che urbano/ambientale, una componente da cui si possa prescindere; anche se poi sulla componente "contesto" sarebbe bene spendere qualche parola dato che spesso se ne parla con poca cognizione, solo che questo non è di certo il luogo adatto per farlo.

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                  • gbpackers
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                    riporto le dichiarazione di AlemanFini... ora sempre sugli stessi mhz

                    Alemanno: "Dolore e ripugnanza per la disumanità del fascismo" - Politica - Repubblica.it
                    sigpic

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                    • THE ALEX
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                      • somewhere on planet earth
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                      Ho appena visto che già da qualche settimana è uscito Il sangue dei vinti al cinema.Ho cercato in rete ma non c'è ancora nulla da scaricare.Se qualcuno lo ha visto,mi farebbe piacere sentire il suo parere dato che quando ne parlammo qualche mese fa,eravamo parecchio dubbiosi.
                      « Success is my only mothafuckin' option,failure's not.... »

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                      • Sean
                        Csar
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                        • In piedi tra le rovine
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                        Originariamente Scritto da THE ALEX Visualizza Messaggio
                        Ho appena visto che già da qualche settimana è uscito Il sangue dei vinti al cinema.Ho cercato in rete ma non c'è ancora nulla da scaricare.Se qualcuno lo ha visto,mi farebbe piacere sentire il suo parere dato che quando ne parlammo qualche mese fa,eravamo parecchio dubbiosi.
                        Credo che eviterò il cinema, per dargli una sbirciata magari quando passerà in tv.
                        Ho trovato alcune recensioni sul film che paiono confermare tutti quei nostri dubbi:

                        Il sangue dei vinti. L’unico sangue è quello degli spettatori


                        Fare del revisionismo, soprattutto se ben documentato e sostenuto da tesi e dati attendibili, è cosa sana, oltre che cosa buona e giusta, si direbbe in altre circostanze. Ma farlo riproponendo gli stessi stereotipi del perbenismo, del compromesso e del politically correct mediatico più qualunquista è cosa ignobile oltre che controproducente. Il sangue dei vinti, l’ultimo film (se di film si può parlare) di Michele Soavi e tratto dall’omonimo e discusso libro del giornalista Giampaolo Pansa, è caduto in questa trappola. E non solo. Siamo infatti nel 1943 e mentre gli alleati bombardano lo scalo di San Lorenzo a Roma, il commissario Francesco Dogliani (Michele Placido) inizia a indagare sulla morte di Costantina, una prostituta trovata morta nel suo appartamento romano e sfigurata da un colpo di arma da fuoco in pieno volto. Nonostante le pressioni del commissari Dogliani, questa indagine viene ostacolata in ogni modo dalle autorità. Intanto il fratello di Francesco, Ettore (Alessandro Preziosi) si schiera con i partigiani, mentre la sorella Lucia (Alina Nedelea) si lega invece ai repubblichini. Concepito come un lungo flashback il film, sulla base del libro, propone dunque, mediante una struttura narrativa molto complessa e alquanto confusionaria, una nuova divisione delle colpe dei massacri compiuti durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale intrecciando i fatti e gli avvenimenti storici con le vicende della famiglia Dogliani;
                        e lo fa adottando una prospettiva in base alla quale in quel periodo non ci sarebbero stati liberatori e carcerieri, rossi e neri, buoni o cattivi, ma solo persone armate dello stesso fucile e vestite della stessa, incolore, uniforme macchiatasi poi dello stesso sangue, il sangue dei vinti, ovvero di tutti coloro che hanno subito e pagato con la morte questa guerra intestina tra fazioni. Riprendendo il discorso iniziale, la trappola in cui è caduto Il sangue dei vinti è quella di osare a metà o, peggio, di non osare per nulla. Il film infatti precipita nella botola del clichè e del politicamente corretto più becero e bieco, e la sensazione che rimane non è certo piacevole, è quella brutta sensazione di paralisi, quella brutta sensazione di aver visto qualcosa che ha tradito le promesse, che in realtà non solo non ha smosso nulla ma ha finto di smuoverlo, il che, se si vuole, è ben più grave. Se si vuole portare avanti un’idea o una visione della storia diversa da quella che è stata tramandata per anni, almeno che lo si faccia fino in fondo avendo se non altro il coraggio di mantenere una posizione scomoda senza ricorrere ai più rozzi mezzucci di captatio benevolentiae di massa.

                        Ma il vero problema dell’ultima fatica di Michele Soavi,ahimè, non è solo questo. Magari lo fosse. Premettendo che chi scrive non ha letto il libro, la cosa che rende Il sangue dei vinti un prodotto cinematografico su cui è meglio sospendere il giudizio, al di là del fatto che non osi e rimanga in quella mediocrità di mezzo messa lì apposta per “compiacere” (anche questo intento è stato clamorosamente fallito) tutti e non scomodare nessuno, è che nella sua totalità è a un livello veramente imbarazzante. A cominciare dalla recitazione degli attori, passando per la sceneggiatura e la fotografia (questa non di cattiva qualità, ma inflazionata: molto televisiva e assolutamente non adatta a un pubblico di sala), fino ad arrivare a dei topos cinematografici che era meglio evitare. Come ad esempio la cartina dell’Italia divisa a metà da un colpo di mitraglietta (atroce!) e l’immagine stereotipata della famiglia nella quale la madre disapprova la militanza dei figli ma, comunque, gli rammenta i calzini! Ecco, queste sono immagini che è preferibile non inserire in un pellicola cinematografica se non si vuole infliggere una punizione agli spettatori e, soprattutto, se non si vuole sprofondare in quella voragine retorica tra le più irritanti. La cosa sul quale uno potrebbe anche non darsi pace è come un regista che ha diretto prodotti di qualità sia per il cinema come Arrivederci amore ciao, che per la televisione come Uno bianca, e di genere come Dellamorte Dellamore, possa cadere a un livello così basso di qualità e retorica. Speriamo che si risollevi.
                        Quel che resta è la brutta sensazione del compromesso e della confusione o, come se avessimo un occhio tumefatto che ci impedisce di vedere le cose in maniera completa. Un film che è meglio dimenticare.



                        (iniziativa)* - Il sangue dei vinti. L’unico sangue è quello degli spettatori

                        Chi scrive ha apprezzato molto gli ultimi libri di Giampaolo Pansa, a cominciare da Il sangue dei vinti. Al di là di polemiche poco efficaci e sterili (come se l'importante fosse sapere a chi giovano i suoi lavori), mi sembra interessante conoscere delle storie e un'Italia poco nota, piena di grandi e piccole tragedie personali. Che poi, ultimamente, Pansa forse si sia un po' montato la testa e magari abbia perso di vista il suo vero obiettivo (il dopoguerra), preferendo parlare delle sue polemiche personali, è ovviamente un altro discorso, decisamente meno entusiasmante. Ma dal materiale presente ne Il sangue dei vinti, si poteva comunque costruire una storia notevole e avvincente, al di là delle opinioni politiche.

                        Il risultato, francamente, è poco comprensibile. La versione 'cinematografica' che abbiamo visto oggi dovrebbe essere semplicemente più corta di quella televisiva, mantenendo comunque la stessa struttura. Se è così, non si capisce bene cosa c'entri con il libro di Pansa, considerando che si svolge interamente nella cornice della guerra e non parla quindi dei 'vinti' del dopoguerra. In effetti, lo scopo dovrebbe essere quello di provare pietà anche per chi ha combattuto dalla parte sbagliata e ha incontrato una morte prematura, forse anche ingenerosa. Il problema è che, dovendo creare un'unità narrativa coerente, Michele Soavi pone l'attenzione su una vittima talmente 'sbagliata' e poco difendibile (in senso drammaturgico più che storico), da rendere tutto l'impianto poco efficace, compresa la 'ricerca' che compie il protagonista più vecchio. Si arriva a mettere in bocca a Placido delle parole assurde e senza senso sul finale, in un tentativo di empatizzare per tutte le vittime, di qualsiasi schieramento, che in questo caso risulta decisamente folle.

                        Tuttavia, va chiarito subito che, come spesso capita in questi casi, il problema non è politico, ma esclusivamente artistico. Il film, infatti, è completamente sbagliato, fin dall'impostazione. La cornice con il protagonista e la bambina diventata grande è pessima, in un rapporto che risulta incomprensibilmente teso. Ma ovviamente i guai maggiori si trovano in tempo di guerra, con due vicende che si mischiano malamente tra loro. La parte 'poliziesca', infatti, è demenziale e insensata, con una rivelazione sorprendente che non sta in piedi. Invece, per quanto riguarda l'aspetto del dramma familiare, purtroppo si ha una forte impressione di programmaticità e di dramma a buon mercato, reso ancora più fastidioso dall'idea di presentare come fratelli il sessantaduenne Michele Placido e la giovane Alina Nadelea.

                        Purtroppo, Michele Soavi non sembra prorio sia stata una scelta felice da parte dei produttori. Intanto, per le scelte tecniche dietro alla macchina da presa, a cominciare dalla pessima fusione di autentico materiale d'archivio e film vero e proprio, fatta evidentemente per risparmiare. Ma di momenti pessimi ce ne sono tanti, dal cavallo che corre impazzito tra i detriti alla cartina dell'Italia spezzata dai proiettili (wow, che metafora sottile!). In certi momenti, si sfiora il trash, come quando un amico della famiglia arriva in macchina inconsapevole di quello che sta succedendo. O nello spettacolo finale, una versione moderna dell'Antigone che sembra fatta da Brecht (peraltro, come si può pensare che uno spettacolo del genere sarebbe stato rappresentato nell'Italia fascista?). Sui ralenti 'commoventi', poi, meglio evitare ogni commento.

                        Purtroppo, viene da pensare che ci sia la mano di Soavi anche nella pessima recitazione generale del cast. Francamente, non mi ricordo una prova più brutta di Michele Placido nella sua carriera, con frasi allucinanti dette senza nessun sprezzo del pericolo ed espressioni eccessive in ogni occasione. Ma anche Alina Nadelea non riesce a offrire quello che sarebbe necessario in un ruolo così impegnativo, mentre Alessandro Preziosi nei momenti difficili non convince del tutto. Anche salvando con una sufficienza risicata Barbara Bobulova, possibile che tutti questi attori siano diventati incapaci all'improvviso? Molto più semplice pensare che siano stati diretti male.

                        Insomma, adesso i mass media si scateneranno esclusivamente sul discorso politico e sulle polemiche relative a questo periodo storico. Purtroppo, il vero problema è che il nostro cinema (in questi caso, fiction) non riesce a raccontare efficacemente delle storie così potenzialmente importanti e che potrebbero dar vita ad opere magnifiche. Ed è questo l'autentico dramma...

                        Il sangue dei vinti - BadTaste.it - il nuovo gusto del cinema!

                        Il sangue dei vinti



                        Anche lasciando intatto il tema da dibattito (equiparazione di morti partigiani e fascisti), il film ispirato dal libro di Pansa racconta storie dell'Italia allo stremo di Salò in una famiglia con tre figli: uno con istinti democratici va in montagna, la ragazza s'arruola tra i neri della X Mas e il terzo, commissario che indaga su un delitto e fa da voce narrante in flash back, sta nel centro. Specchio del Paese che verrà, cui Michele Soavi dà giusta valenza horror, ma con tale conclamata retorica e falsità che ogni intento e commozione vengono sommerse dallo stile di un prodotto che forse politicamente scontenta tutti e cinematograficamente certo appartiene al terribile cattivo gusto omologato delle biografie tele romanzate, tutte uguali: si chiamano fiction non a caso, fingono di essere cinema.

                        Il sangue dei vinti - Corriere della Sera

                        Insomma, pare proprio che non sia piaciuto a nessuno
                        ...ma di noi
                        sopra una sola teca di cristallo
                        popoli studiosi scriveranno
                        forse, tra mille inverni
                        «nessun vincolo univa questi morti
                        nella necropoli deserta»

                        C. Campo - Moriremo Lontani


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                        • ma_75
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                          Credo che sia la discussione più adatta per postare anche queste mie considerazioni. Sto leggendo in questi giorni la monumentale "Storia militare della seconda guerra mondiale" di Liddell Hart. Opera di grandissimo valore, notoriamente filoamericana nell'impostazione dunque non certo sospetta di simpatie verso l'Asse. Eppure una cosa mi ha colpito, in queste prima pagine. Leggendo il capitolo relativo all'invasione tedesca della Norvegia, appare chiarissimo come la mossa di Hitler precedette di pochi giorni, di poche ore, una analoga già programmata degli inglesi che, attraverso la violazione della neutralità di quel paese, miravano a raggiungere i giacimenti svedesi da sottrarre ai tedeschi e, di là, passare poi in Finlandia per porsi come argine all'azione di Stalin che, proprio in quei giorni, era impegnato nella guerra russo-finnica. Bene, Liddell Hart osserva come sia stato assolutamente ipocrita, a Norimberga, accusare i nazisti anche dell'invasione norvegese e della violazione della neutralità di quello stato nel momento in cui gli stessi alleati si preparavano ad agire nel medesimo modo. Non solo, ma osserva anche come i francesi, preoccupati di stornare la minaccia nazista dai propri confini, fossero propensi a sacrificare il popolo norvegese che, ovviamente, avrebbe dovuto pagare un prezzo altissimo per una guerra combattuta sul proprio suolo. Ne discendono, mi pare chiaro, considerazioni evidenti sulla presunta umanità degli alleati, sulla presunta sete di libertà che avrebbe ispirato la loro azione. si manifesta, con altrettanta nettezza, il loro cinismo, la loro volontà di piegare ai propri interessi l'intero continente.
                          Un'ultima considerazione sul fatto che se la Finlandia non fosse capitolata così rapidamente, gli alleati sarebbero andati in suo soccorso contro Stalin e avremmo avuto l'incredibile situazione di Francia ed Inghilterra in lotta contemporanea contro Germania e URSS. Uno scenario che, nel momento di debolezza estrema in cui gli alleati si trovavano nel 1940, avrebbe potuto significare loro sconfitta totale, prima di un intervento USA e, soprattutto, una possibile alleanza strategica URSS-Germania la cui portata appare inimmaginabile.
                          In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                          ma_75@bodyweb.com

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                          • ma_75
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                            Ancora una considerazione, sempre a partire dallo stesso libro.
                            L'ingresso in guerra del Giappone fu abilmente provocato dalle potenze alleate. Quando ancora il Giappone si trovava fuori dal conflitto fu attuato contro di esso un embrago simultaneo degli USA, della GB e del governo olandese in esilio con l'obiettivo di privare i nipponici di tutte le loro fonti petrolifere. Gli alleati sapevano bene che davanti ad una mossa del genere al Giappone non si sarebbe rimasta altra strada che la guerra, tanto più che, per la rimozione dell'embargo, gli USA richiedevano l'abbandono di tutte le conquiste coloniali giapponesi, ovvero un colpo mortale all'orgoglio nipponico. Poi, ovviamente, quando ci fu Pearl Harbor tutti si stracciarono le vesti per la perfidia giapponese, ma essa fu non solo messa in preventivo ma, addirittura, provocata.
                            Last edited by ma_75; 16-05-2009, 18:22:45.
                            In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                            ma_75@bodyweb.com

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                            • DORian_fAke
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                              Originariamente Scritto da ma_75 Visualizza Messaggio
                              Ancora una considerazione, sempre a partire dallo stesso libro.
                              L'ingresso in guerra del Giappone fu abilmente provocato dalle potenze alleate. Quando ancora il Giappone si trovava fuori dal conflitto fu attuato contro di esso un embrago simultaneo degli USA, della GB e del governo olandese in esilio con l'obiettivo di privare i nipponici di tutte le loro fonti petrolifere. Gli alleati sapevano bene che davanti ad una mossa del genere al Giappone non si sarebbe rimasta altra strada che la guerra, tanto più che, per la rimozione dell'embargo, gli USA richiedevano l'abbandono di tutte le conquiste coloniali giapponesi, ovvero un colpo mortale all'orgoglio nipponico. Poi, ovviamente, quando ci fu Pearl Harbour tutti si stracciarono le vesti per la perfidia giapponese, ma essa fu non solo messa in preventivo ma, addirittura, provocata.
                              Questo lo hai trovato scritto sempre nell'opera di Liddell Hart, giusto?

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                              • ma_75
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                                Originariamente Scritto da DORian_fAke Visualizza Messaggio
                                Questo lo hai trovato scritto sempre nell'opera di Liddell Hart, giusto?
                                Si esatto
                                E aggiungo anche che la versione dell'attacco proditorio a Pearl Harbor è, appunto, una versione. In realtà i giapponesi consegnarono per tempo la dichiarazione di guerra, in maniera tale che essa fosse nelle mani degli americani quache minuto prima dell'attacco (un tempo non sufficiente per prendere delle contromisure efficaci, ma, di fatto sufficiente perché l'azione avvenisse quando, de facto, i due paesi erano in guerra e, quindi, inattaccabile sul piano diplomatico). A questo va aggiunto che il gruppo d'attacco giapponese era in stretto contatto con il comando centrale che aveva l'ordine di far sospendere l'azione non appena fosse giunti un segnale positivo dai negoziati in corso con gli USA. Secondo L. Hart, addirittura, i nipponici supplicarono gli USA di ritirare l'embargo. Solo quando fu chiaro che l'opzione diplomatica non avrebbe portato a nulla la decisione dell'attacco diventò irrevocabile.
                                Last edited by ma_75; 16-05-2009, 18:22:34.
                                In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                                ma_75@bodyweb.com

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