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Considerazioni sul Fascismo (astenersi dalle frasi fatte e motivare!)
Tu "quasi" io mi pento del tutto.....te le ricordi le "Picconate" di Cossiga?la soddisfazione nel vedere tutti alla sbarra con "Mani pulite"??
Vorrei dire che non è cambiato un *****....invece purtroppo è cambiato qualcosa ma in peggio.La mia mancanza di fiducia e di ottimismo,credo sia giustificabile ormai.
E chi se le dimentica!
Ricordo anche i comizi infuocati di Fini sui ladri di stato.
Preistoria che oggi a molti giova dimenticare.
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
Il Corriere riporta oggi un inedito di Leonardo Sciascia che, molto più di tanti discorsi ufficiali, molto meglio di tanti storici, con tanta maggior verità della retorica resistenziale, spiega cosa avvenne in Italia allo sbarco degli angloamericani.
Siamo tutti gattopardi
Sciascia narra lo sbarco degli americani in Sicilia, quando anche gli ex fascisti corsero a festeggiare la «repubblica stellata». Un vecchio vizio nazionale
Il racconto inedito
Siamo tutti gattopardi
Sciascia narra lo sbarco degli americani in Sicilia, quando anche gli ex fascisti corsero a festeggiare la «repubblica stellata». Un vecchio vizio nazionale
di Leonardo Sciascia
La sera del 9 luglio 1943, nel caffè che ormai da mesi il proprietario apriva soltanto per amore della conversazione, altro non offrendo agli avventori che gazose, il signor Chiarenza, impiegato municipale, accese la radio, girò la lancetta velocemente cogliendo un orizzonte di note e di sillabe, d’improvviso la fermò su una parola italiana, una frase, un discorso. La voce era lontana, soffocata; sembrava galleggiare su un mare in tempesta. Ma quel che diceva della guerra, del fascismo, di Hitler sembrava abbastanza sensato, abbastanza vero. Il signor Chiarenza approvava muovendo la testa, gli altri si facevano attenti. Il più pronto a prendere coscienza di quel che stava accadendo fu il brigadiere. Una prontezza professionale. Si alzò e spense la radio con un colpo secco; girò terribile sguardo sulle facce degli avventori, lo fermò su quella, innocente e sorpresa, del signor Chiarenza. «Lei ha preso radio Londra» disse, sibilando collera. «Davvero? » fece il signor Chiarenza. «Radio Londra» disse ancora il brigadiere. «Non lo sapevo» disse l’altro. «Non lo sapeva, ma approvava» disse il brigadiere. «Per approvare, approvavo»; ammise il signor Chiarenza «però credevo fosse una stazione italiana». «Una stazione italiana!» il brigadiere quasi soffocava. «E le cose che ha sentito lei crede che potessero venire da una stazione nostra?». «Le abbiamo sentite tutti» precisò il signor Chiarenza. «Già» disse il brigadiere: e nella sua espressione la collera si ritirò per cedere alla preoccupazione, all’indecisione. «Se vuole» offrì con angelica comprensione il signor Chiarenza «posso rompere la radio». Il brigadiere si precipitò fuori. Così a R., paese a una ventina di chilometri dal mare di Porto Empedocle e a poco più da quello di Licata, qualche ora prima che le forze alleate mettessero piede sulle spiagge siciliane, il fascismo finiva. E come tutti sentissero preciso avvertimento dell’ora che stava per scattare, non è possibile capire attraverso una giustapposizione di elementi concreti. Si sentiva, ecco tutto. E gli storici possono rompersi la testa, a tentare di capire comemai un segreto rigorosamente custodito al vertice degli eserciti alleati non fosse per tanti siciliani un segreto. Verso la mezzanotte, dai balconi e dalle terrazze del paese, tutti quelli che vi si attardavano per cogliere, dopo l’affocata giornata, i freschi refoli notturni, videro dalla parte di Licata il cielo farsi luminoso. Pareva che la luna si fosse schiantata alla marina, che continuasse a bruciare del suo tranquillo fuoco bianco sull’orlo dell’isola. Gli americani stavano sbarcando, ne fummo tutti certi. E si aveva il senso che quella luce lontana fosse come di una festa; che gli americani— gli zii, i nipoti, i cugini d’America — facessero splendere la volta notturna in gloria di quei santi neri e barbuti per i quali sempre avevano mandato, tra i foglietti delle lettere ai parenti o al parroco, il biglietto da cinque o da dieci dollari. L’alba spense quella luce. Ma dello sbarco degli americani ebbero certa notizia i carabinieri, i soldati. Le campane suonarono a martello, il banditore gridò per le strade lo stato di emergenza. Il cielo cominciò a vibrare del ronzio di un aereo: si avvicinava e svaniva, continuamente, senza che si riuscisse a scorgerlo; e finalmente, con un breve crepitio di mitraglia, comparve tra le case. Era di forma inconsueta, a due code (si chiamava, seppimo dopo, B 29): e doveva, per tutta una settimana, rappresentare una specie di legame tra il paese, isolato e ansioso, e la realtà della guerra, della invasione, della presenza americana. E che quella breve sventagliata di mitraglia avesse, al margine del paese, ucciso un carrettiere e ferito un bambino, i più erano disposti a considerarlo un errore: l’americano si era ingannato; dall’alto chi sa che gli era parso, quel carretto. I soldati, intanto, non sapevano che fare. Ad ogni buon conto, si misero in giro a cercare vestiti. Bussavano con esitazione, timidamente chiedevano: si accontentavano di un pantalone, di una camicia; col caldo che c’era non avevano bisogno di giacca. Pensando ai figli lontani, ai mariti, ai fratelli — e che altrove, dovunque si trovassero, su loro si riversasse uguale pietà — le donne del paese tiravano fuori dagli armadi e dalle casse vestiti vecchi e nuovi. E il riconoscimento di coloro che appena avevano lasciato la divisa militare poteva essere fatto a fiuto, per il dolciastro odore di naftalina che quei vestiti emanavano. Quel giorno, nell’ora in cui tutti si sedevano per buttar giù le quattro forchettate di lasagne fatte in casa, si sentì per le strade la voce di un vecchio fascista, irreale, patetica, gridare: «Li abbiamo respinti, li abbiamo ributtati a mare». In ogni casa la notizia fu, con lievi varianti, commentata da un ironico e compassionevole: «Sì, con le corna che hai in testa». E scendendo infatti la controra, la sonnolenza e il silenzio che qui sempre succede al pasto meridiano, affiorò netto il tonfo delle cannonate: e non c’era dubbio, secondo quelli che avevano fatto una guerra, che quei colpi cadessero a non più di quindici chilometri, in linea d’aria. Del tutto rassicuranti furono poi le notizie che portò un venditore ambulante. Era scappato, all’alba, da Licata: un po’ a piedi, un po’ su un camion militare, era riuscito a tornare a casa. Pieno di stupore, quasi allucinato, raccontava di aver visto il mare, fin dove l’occhio arrivava, fitto di navi. Ripeteva: «Cornuto! E come voleva vincere?». Quelli che lo ascoltavano, quasi tutti sorridevano con approvazione; qualche fanatico, che ancora c’era, fingeva di non capire a chi quell’insulto fosse diretto. All’ospedale del paese, verso sera, arrivarono una ventina di feriti. Erano del X Bersaglieri, quasi tutti veneti. Il reggimento (o forse un solo battaglione) valorosamente aveva resistito a più di un urto, ma poi era stato annientato. I feriti, quasi tutti in grado di camminare, sembravano più smarriti che sofferenti. E avevano fame. Poi passarono i tedeschi: seduti per quattro sugli autocarri, l’arma al piede, zuppi di sudore ma immobili, impassibili. Venivano dalla parte di Aragona e andavano verso il fronte di Licata. La gente, preoccupata, contò gli autocarri: cinque, sei, un’automobile scoperta con due ufficiali. «Non ce la fanno... Ma vedi però che ordine». Tornarono indietro che era già notte: evidentemente, avevano visto persa la partita. Da quella sera, per sei giorni di fila, non ci fu che il lontano tuonare delle cannonate e quell’aereo a due code che ogni tanto, per rompere la noia, scendeva a sgranare quattro colpi sempre oltre le ultime case: sui fichidindia, sui covoni di grano ammonticchiati nelle aie. La corrente elettrica non c’era più, nessuno si arrischiava a uscire dal paese: non si aveva notizia alcuna della guerra che dilagava nell’isola, soltanto il 14 (o il 15) uno era riuscito, da una radio a galena che aveva un soldato di passaggio, a sentire il bollettino di Roma: e che le forze d’invasione, superata la fascia costiera, si addentravano nella zona montuosa della Sicilia. E si era privi di tutto: di farina, non funzionando più i mulini; di verdura, ché gli orti erano appunto al margine del paese, dove il B 29 cercava bersagli; di frutta, grande risorsa che la stagione ci offriva per sopravvivere. Cominciavano a diventare cornuti gli americani, che non venivano. Il 16 luglio, di pomeriggio, gli americani finalmente apparvero. Fu davvero un’apparizione, quasi incredibile. All’estremità del corso, dove la facciata della Matrice lo chiude, davanti al caffè, una ventina di persone stava a godersi la striscia d’ombra che cominciava a cadere dalle case, e anche i carabinieri: ed ecco che all’altro estremo, nella deserta e abbagliante prospettiva, tenendosi al centro con un suo passo lento e guardingo, spuntò l’americano. Ai suoi lati, camminando sotto i balconi e coi fucili puntati alle imposte chiuse, c’erano altri soldati. Tutta la nostra attenzione era però incentrata su quello che camminava al centro: alto; il passo leggermente «fianchino», da cow boy; le braccia indolentemente scostate dal corpo, le mani quasi sospese: ma pronte, si sentiva, braccia e mani a scattare, a fare affiorare l’arma, il fuoco.
Gary Cooper quell’entrata non l’avrebbe fatta meglio. E per quei due o tre minuti che ci vollero perché la pattuglia arrivasse davanti al caffè, ci sentimmo come al cinema, che la visione sorgesse da uno schermo e magicamente penetrasse nella realtà. Gli americani puntarono i fucili sui carabinieri, che si erano alzati in piedi: la faccia pallida, affilata; lo sguardo sperso. Uno della pattuglia girò dietro a loro, con destrezza li disarmò delle pistole. Tutto si era svolto così velocemente, e in così attonito silenzio, che il grido di Gasparino Firetto «Viva la libertà!» fu come un crollo. Gasparino più volte aveva avuto a che fare coi carabinieri, piccole truffe, piccoli furti: e a vederli disarmare l’evviva alla libertà gli era venuto dal profondo. E il momento della sua più grande gioia stava per essere l’ultimo della sua vita, se il capo della pattuglia non avesse fermato il soldato che, credendo quel grido fosse di allarme, di resistenza, con una faccia improvvisamente stravolta di paura, fu sul punto di impiombarlo. Dal grido di Gasparino alla grande festa fu questione di minuti. Il corso si riempì di gente che pareva una domenica del tempo di pace, una grande bandiera a stelle e strisce ondeggiò sulla folla, cannate piene di vino la sorvolarono fino a raggiungere gli americani. «Viva la repubblica stellata!» gridò l’avvocato Calafato, con una voce che non aveva perduto timbro e forza da quando, sei anni prima, alla stazione, era riuscito a salire sul predellino del treno per gridare «Duce, per te la vita!» sotto lo sguardo fiero e paterno di Mussolini.
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
Il Corriere riporta oggi un inedito di Leonardo Sciascia che, molto più di tanti discorsi ufficiali, molto meglio di tanti storici, con tanta maggior verità della retorica resistenziale, spiega cosa avvenne in Italia allo sbarco degli angloamericani.
stavo aspettando da sta mattina che qualcuno lo postasse...
anche se vorrei capire da dove esca di colpo questo inedito di sciascia (mio scrittore preferito)... è un po' come quando dell'utri se ne esce con gli inediti di pasolini...
fatto sta che descrive bene gli italiani...
Originariamente Scritto da Mizard
...io ho parlato con tutti in questo forum,persino coi Laziali...
Originariamente Scritto da Barone Bizzio
Quindi...in poche parole, sono tutti comunisti tranne Silvio?
Originariamente Scritto da TheSandman
Silvio compreso.
Originariamente Scritto da TheSandman
Diciamo che i comunisti che insulta lui sono ancora più comunisti di lui.
Il Corriere riporta oggi un inedito di Leonardo Sciascia che, molto più di tanti discorsi ufficiali, molto meglio di tanti storici, con tanta maggior verità della retorica resistenziale, spiega cosa avvenne in Italia allo sbarco degli angloamericani.
Mmmm, ci sarebbo da fare delle valutazioni, ovviamente senza nulla togliere al racconto.
Il paese dove è ambientata la storia, R., ha vissuto la storia della guerra in maniera piuttosto singolare: come tutti i paesetti dell'entroterra agrigentino furono solo di striscio colpiti dagli eventi bellici, al punto tale che spesso gli sfollati delle coste ripiegavano proprio in quei paesini per rifugiarsi.
Per precisione storica, lo sbarco nella città di Licata non avvenne alla marina (che è il centro dela città), ma avvenne nelle spiagge alla destra e alla sinistra della città per poi arrivare in città solo successivamente.
Su quella vicenda ho migliaia di raccontini appuntati: ai tempi del liceo andavo a tagliare i capelli in uno di quei barbieri che si vedono nei film, con le sedie fuori dove si appollaiano i vecchietti a scaldarsi al sole. Mi portavo il mangianastri o il block notes e stavo ore ad ascoltare e registrare i racconti dei vecchi.
Sentivo tutti: quelli che dicevano "quando c'era lui"; quelli che dicevano "a guerra è nivura"; quelli che in quel periodo passavao più tempo in cella che a casa propria...
Dello sbarco ho un'immagine nella mia fantasia, creata sulle parole di una mia vecchia zia, morta recentemente quasi centenaria, che assistette allo sbarco da una collina fuori città, in campagna. Mi raccontava che all'improvviso il cielo notturno divenne luminosissimo, diceva lei "comu u casteddu focu, ma senza bottu" (come i fuochi d'artificio ma senza i botti). Dopo la luce fatta coi bengala diceva che sul mare si vedeva una distesa di barche grandi e piccole "mancu na spingula pasava dda mmenzu" (neanche un ago poteva passare nel mezzo)
Molti racconti erano proprio del dopo sbarco, quando a fare il salto della quaglia furono in tantissimi, alcuni addirittura portarono gli americani nei luoghi dove si rifugiarono alcuni militari tedeschi che erano rimasi bloccati nella ritirata.
Una frase che, invece, mi disse un vecchio contadino, e che mi è rimasta sempre impressa, era: "veru è che ni ni ficiru di masu e mastrumasu, però mancu i cani si lassinu morti mmenzu a strata" (vero è che ce ne hanno fatte di cotte e di crude, ma neanche i cani morti si lasciano in mezzo alla strada) riferendosi ai cadaveri abbandonati dei caduti tedeschi.
Ma se vuoi aprire una parentesi monografica non si fa altro che arricchire il Thread.
Colgo intanto l'occasione per ringraziare Ma_ e Blinko per il materiale e gli interventi postati.
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Detto anche "rivoluzionario del temperino". Ho avuto modo di leggere un libro su questo figuro. Nicola Bombacci: un comunista a Salò. O lameno mi pare che il titolo era così.
Detto anche "rivoluzionario del temperino". Ho avuto modo di leggere un libro su questo figuro. Nicola Bombacci: un comunista a Salò. O lameno mi pare che il titolo era così.
Son venuto in possesso di questo libro e mi accingo a leggerlo, per questo chiedevo.
Per ora non ne parlo, visto che sono poco informato al riguardo.
Son venuto in possesso di questo libro e mi accingo a leggerlo, per questo chiedevo.
Per ora non ne parlo, visto che sono poco informato al riguardo.
Figura assai controversa. Oltre quel libro, che è poco superpartes, ti consiglio di leggerne qualche altro. Il primo che lessi era del 1983 ed era stato scritto dalla nipote, mi pare si chiamasse Annarita (o Annamaria).
In quel libro c'è un ritratto un pò alla "Lessico familiare-Vestivamo alla marinara", ma è utile a porsi delle domande sulle sue scelte.
Era convinto che la rivoluzione proletaria socialista la potesse fare in Italia solo Mussolini, arrivando ad affermare che Mussolini si era liberato dei traditori borghesi e si sarebbe apprestato a completare la rivoluzione socialista.
Morì dicendo "Viva il socialismo". Che soggetto! Pur non essendomi mai piaciuto, mi ha sempre interessato come personaggio.
L'anno scorso comprai durante la nostra vacanza in Italia,un mare di libri su fascismo e neofascismo....
Uno che colpì la mia attenzione si intitola "L'ex fascista del 2000".Ci sono centinaia di citazioni di fini con tanto di date.
Ne riproporrò qualcuna di tanto in tanto,giusto per farsi due risate...
Iniziamo...
"La verità è che il fascismo ha una tradizione di onestà,di correttezza e buongoverno" comizio 30/9/92
"Mussolini è stato il più grande statista del secolo.Se vivesse oggi,garantirebbe la liertà" comizio 30/9/92
"Io conduco la politica più adatta ai miei tempi,ma resto fedele alle radici del MSI.E ci tengo a preservare il periodo di Mussolini" Il Messagero 3/3/92
« Success is my only mothafuckin' option,failure's not.... »
L'unica considerazione che mi viene in questo momento è che l'italia non avrebbe dovuto entrare in guerra. Il nostro è sempre stato un Paese ricco di scrittori, inventori, artisti e via dicendo. In guerra l'Italia ha sempre fatto ridere i polli.
Originariamente Scritto da Gandhi
all'orto mettendo un secchio di pomodori in macchina ho subito una sub-lussazione della spalla sx,sfermo 3 mesi per recuperarla e ricominiciare con la palestra in maniera blanda
L'unica considerazione che mi viene in questo momento è che l'italia non avrebbe dovuto entrare in guerra. Il nostro è sempre stato un Paese ricco di scrittori, inventori, artisti e via dicendo. In guerra l'Italia ha sempre fatto ridere i polli.
L'unica considerazione che mi viene in questo momento è che l'italia non avrebbe dovuto entrare in guerra. Il nostro è sempre stato un Paese ricco di scrittori, inventori, artisti e via dicendo. In guerra l'Italia ha sempre fatto ridere i polli.
Falso storico
E se la morte che ti e' d'accanto, ti vorrà in cielo dall'infinito, si udrà piu forte, si udrà piu santo, non ho tradito! Per l'onore d'Italia!
Ragazzi il nostro esercito è partito allo sbaraglio, senza un adeguato addestramento, nè attrezzature.. Molti soldati erano ragazzini o agricoltori/allevatori ai quali fu messo in mano un fucile..
L'Impero Romano, quello si che era cazzuto..
Originariamente Scritto da Gandhi
all'orto mettendo un secchio di pomodori in macchina ho subito una sub-lussazione della spalla sx,sfermo 3 mesi per recuperarla e ricominiciare con la palestra in maniera blanda
L'unica considerazione che mi viene in questo momento è che l'italia non avrebbe dovuto entrare in guerra. Il nostro è sempre stato un Paese ricco di scrittori, inventori, artisti e via dicendo. In guerra l'Italia ha sempre fatto ridere i polli.
certo con persone che ne denigrano il valore come te, sicuro.
I guai da pignàta i sapa a cucchijàra chi i manìja.
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