Considerazioni sul Fascismo (astenersi dalle frasi fatte e motivare!)

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  • ma_75
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    Una considerazione più legata a Mussolini, che traggo sempre dal solito testo.
    Come ben sappiamo, una delle accuse che viene mossa più spesso a Mussolini è quella di "aver portato il nemico in casa", ossia di aver permesso lo stanziarsi dell'esercito tedesco, nel corso del 1943, nel nostro paese. Appare interessante, quindi, osservare come Mussolini fosse, invece, tutt'altro che entusiasta di qusta prospettiva. Nel momento in cui, persa l'Africa, lo sbarco degli alleati in Sicilia era questione di giorni, i tedeschi avrebbero voluto portare nel nostro paese 5 divisioni. Mussolini si oppose, permettendo che ssi stanziassero in Italia solo tre divisioni, di cui una già da tempo era nella penisola. Questo per due motivi: lasciare la difesa del paese agli italiani, dimostrando che essi non dipendevano dall'alleato ed evitare il consolidarsi della presenza nel paese di un alleato che si iniziava a percepire come scomodo. Una mossa che, dunque, fa giustizia del Mussolini che si getta tra le fauci tedesce e, altresì, una mossa che gli si ritorcerà contro ben presto. Il 25 luglio è alle porte e con una presenza tedesca più strutturata in Italia le cose, probabilmente, avrebbero preso una piega diversa.
    In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
    ma_75@bodyweb.com

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    • Sean
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      Una considerazione più legata a Mussolini, che traggo sempre dal solito testo.
      Come ben sappiamo, una delle accuse che viene mossa più spesso a Mussolini è quella di "aver portato il nemico in casa", ossia di aver permesso lo stanziarsi dell'esercito tedesco, nel corso del 1943, nel nostro paese. Appare interessante, quindi, osservare come Mussolini fosse, invece, tutt'altro che entusiasta di qusta prospettiva. Nel momento in cui, persa l'Africa, lo sbarco degli alleati in Sicilia era questione di giorni, i tedeschi avrebbero voluto portare nel nostro paese 5 divisioni. Mussolini si oppose, permettendo che ssi stanziassero in Italia solo tre divisioni, di cui una già da tempo era nella penisola. Questo per due motivi: lasciare la difesa del paese agli italiani, dimostrando che essi non dipendevano dall'alleato ed evitare il consolidarsi della presenza nel paese di un alleato che si iniziava a percepire come scomodo. Una mossa che, dunque, fa giustizia del Mussolini che si getta tra le fauci tedesce e, altresì, una mossa che gli si ritorcerà contro ben presto. Il 25 luglio è alle porte e con una presenza tedesca più strutturata in Italia le cose, probabilmente, avrebbero preso una piega diversa.
      Ecco, questo è un passaggio interessante, a livello di prospettive, oltre all'oramai assodato, dalla storiografia, rapporto Duce - Tedeschi.
      Come pensi, anche in base alle informazioni che ci stai così puntualmente dando, che qualcosa sarebbe potuto andare diversamente, in quel 25 Luglio, grazie ai tedeschi?
      Una presenza in massa dell'Alleato avrebbe potuto fermare i traditori, e, magari, tirare finalmente le somme coi Savoia?
      ...ma di noi
      sopra una sola teca di cristallo
      popoli studiosi scriveranno
      forse, tra mille inverni
      «nessun vincolo univa questi morti
      nella necropoli deserta»

      C. Campo - Moriremo Lontani


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      • ma_75
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        Ecco, questo è un passaggio interessante, a livello di prospettive, oltre all'oramai assodato, dalla storiografia, rapporto Duce - Tedeschi.
        Come pensi, anche in base alle informazioni che ci stai così puntualmente dando, che qualcosa sarebbe potuto andare diversamente, in quel 25 Luglio, grazie ai tedeschi?
        Una presenza in massa dell'Alleato avrebbe potuto fermare i traditori, e, magari, tirare finalmente le somme coi Savoia?

        Come ben sappiamo i tedeschi avevano la convinzione che il fascismo fosse Mussolini e che il regime, senza il Duce, valesse ben poco. L'esercito, a partire dai comandanti, diede ben misera prova di sé e i gerarchi apparivano litigiosi e avidi di potere, piuttosto che interlocutori affidabili. In prospettiva un Mussolini pienamente conscio della trappola in cui stava andando a cacciarsi (e come sappiamo, pur avendo egli subodorato qualcosa non si aspettava si potesse arrivare a tanto) avrebbe potuto richiedere la tutela dei tedeschi, indicare loro la via di un intervento risolutore qualora la situazione fosse precipitata. Sicuramente la resistenza dei Grandi, dei Ciano, per non dire dei Badoglio e dei Savoia sarebbe stata spazzata via in qualche ora, non ci sarebbe stata una divisione in due della penisola, non ci sarebbe stato l'8 settembre e, in definitiva, si sarebbe sparso meno sangue, salvo quello di Ciano e dei sodali del 25 luglio.
        Ma non credo egli sarebbe mai arivato a tanto: per un uomo che non voleva che la difesa dell'Italia fosse affidata all'alleato, non sarebbe stato possibile vivere sotto tutela tedesca in un'Italia che, egli ne era convinto, stava tutta con lui.
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          Come ben sappiamo i tedeschi avevano la convinzione che il fascismo fosse Mussolini e che il regime, senza il Duce, valesse ben poco. L'esercito, a partire dai comandanti, diede ben misera prova di sé e i gerarchi apparivano litigiosi e avidi di potere, piuttosto che interlocutori affidabili. In prospettiva un Mussolini pienamente conscio della trappola in cui stava andando a cacciarsi (e come sappiamo, pur avendo egli subodorato qualcosa non si aspettava si potesse arrivare a tanto) avrebbe potuto richiedere la tutela dei tedeschi, indicare loro la via di un intervento risolutore qualora la situazione fosse precipitata. Sicuramente la resistenza dei Grandi, dei Ciano, per non dire dei Badoglio e dei Savoia sarebbe stata spazzata via in qualche ora, non ci sarebbe stata una divisione in due della penisola, non ci sarebbe stato l'8 settembre e, in definitiva, si sarebbe sparso meno sangue, salvo quello di Ciano e dei sodali del 25 luglio.
          Ma non credo egli sarebbe mai arivato a tanto: per un uomo che non voleva che la difesa dell'Italia fosse affidata all'alleato, non sarebbe stato possibile vivere sotto tutela tedesca in un'Italia che, egli ne era convinto, stava tutta con lui
          .
          Grazie della risposta, innanzitutto
          Credo anch'io, come te, che Mussolini non sarebbe mai arrivato a quel punto, perchè avrebbe significato consegnare l'Italia all'Alleato, con un Duce che sarebbe apparso, agli occhi dei fedeli, un condottiero che affidava se, la propria autorità e la Nazione a delle armi comunque straniere.
          Sappiamo quanto pesò al Duce, e con quanta insofferenza la visse, dal Gran Sasso in poi la compagnia tedesca, e la cronaca di quegli ultimi tempi ne rappresenta la conferma migliore.
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          • simones
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            • altoadige
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            Ecco, questo è un passaggio interessante, a livello di prospettive, oltre all'oramai assodato, dalla storiografia, rapporto Duce - Tedeschi.
            Come pensi, anche in base alle informazioni che ci stai così puntualmente dando, che qualcosa sarebbe potuto andare diversamente, in quel 25 Luglio, grazie ai tedeschi?
            Una presenza in massa dell'Alleato avrebbe potuto fermare i traditori, e, magari, tirare finalmente le somme coi Savoia?

            mi permetto di rispondere.
            a mio parere assolutamente si considerato anche il fatto che Hitler era solito richiamare Mussolini ad una più netta politica di intransigenza nei confronti dei Savoia e considerato anche il fatto che dietro al processo di Verona fu l'implacabile(e giusta nel frangente) mano germanica ad armare Mussolini contro il cognato.


            una cosa che sempre mi sarebbe paiciuta approfondire ma non ne ho mai trovato veramente il tempo e le fonti adatte è il ruolo della Chiesa nelle vicende che portarono all?arretso del Duce.
            forse il nostro amico montagnardo,ma75,mi può suggerire una biografia che possa colmare la lacuna
            "Nulla è gratuito in questo basso mondo. Tutto si sconta, il bene come il male, presto o tardi si paga. Il bene è necessariamente molto più caro."

            L.F.Celine

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            • Sean
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              una cosa che sempre mi sarebbe paiciuta approfondire ma non ne ho mai trovato veramente il tempo e le fonti adatte è il ruolo della Chiesa nelle vicende che portarono all?arretso del Duce.
              forse il nostro amico montagnardo,ma75,mi può suggerire una biografia che possa colmare la lacuna
              Io, essendo un curioso indagatore della figura di Pio XII, l'ultimo papa "romano", l'ultimo principesco pontefice di una Chiesa che oggi non c'è più, spazzata dal modernismo del Vaticano II, il suo '68, posto questo articolo che forse può interessarti, con bibliografia in appendice da dove poter cercare qualche spunto.

              La Caduta Di Mussolini.

              La mattina di domenica 25 luglio monsignor Montini ricevette una telefonata dal segretario della Congregazione di Propaganda fide, monsignor Costantini, che lo pregava di recarsi subito da lui per un affare grave ed urgente. Quando il sostituto arrivò all'appartamento di monsignor Costantini lo trovò con Alberto de Stefani, professore universitario, ex-ministro delle finanze e membro del Gran Consiglio del Fascismo. Questi raccontò a Montini gli eventi di cui era stato testimone dal pomeriggio del giorno prima fino alle due di quella notte. Fu così che la Santa Sede ricevette le prime informazioni sulla seduta del Gran Consiglio, primo atto della deposizione di Mussolini, una scelta a cui il Vaticano non aveva collaborato direttamente ma a cui, visti gli avvenimenti accaduti nei mesi precedenti, non era certo estraneo. Stefanini raccontò dell'ordine del giorno Grandi, del duce "che ha mostrato di non avere più il controllo della situazione, nè di sè stesso" e della necessità di aprire subito trattative sia con la Germania, perché permettesse all'Italia di tornare neutrale, sia con gli Alleati. La Santa Sede avrebbe dovuto, suggeriva il gerarca, iniziare a interrogare Stati Uniti e Inghilterra circa le condizioni che avrebbero imposto all'Italia per ritirarsi dal conflitto. A Montini sembrò prematuro dare una risposta e disse che la Santa Sede non poteva compiere alcun passo se non invitata da organi ufficiali dello Stato (1) .



              Durante la turbolenta riunione del Gran Consiglio, sul cui esito la Santa Sede venne informata anche da Grandi che fece avere a Borgongini Duca una copia dell'ordine del giorno (2) , si era discusso anche dei rapporti da tenere con il Vaticano (3) . A parlarne era stato il segretario del Partito Scorza. Questi dopo il bombardamento di Roma aveva proposto a Mussolini un atto distensivo nei confronti del pontefice, suggerendo un contributo per la sistemazione della chiesa di San Lorenzo e una visita del duce a Pio XII. Mussolini si era mostrato contrario all'idea, ma Scorza nel suo ordine del giorno per il Gran Consiglio, uno dei tre presentati quella notte, aveva inserito un cenno al "cordoglio del pontefice per la distruzione di tanti insigni monumenti dedicati da secoli al culto della religione e dell'arte" e, se Mussolini non gliele avesse tagliate, avrebbe voluto aggiungere altre "aperture" verso la Santa Sede. Nella seduta della notte del 24 luglio Ciano contestò la posizione del segretario del PNF, affermando che il Vaticano non avrebbe gradito in quel momento simili atti di omaggio. "Per carità non toccare la Chiesa! Sono già abbastanza seccati in Vaticano per la nostra recente politica" esclamò Ciano (4) . Scorza aveva invece insistito, dicendo che sapeva "da fonte diretta, anche se non diplomatica" che "in Vaticano ne sarebbero stati lieti".La mattina dopo, poche ore prima dell'arresto di Mussolini, Scorza si recò a rapporto a palazzo Venezia, dove il duce gli disse di aver ripensato alla cosa e di essere propenso ad incontrare il pontefice. Suggerì quindi al segretario del partito di recarsi in Vaticano per trovare un accordo, operando però con la dovuta cura: " dopo la (vostra) visita , convocherete perciò il direttorio, spiegherete il vostro operato, e ne farete oggetto di un indirizzo ai fascisti, chiarendo che tutto rientra perfettamente nella politica religiosa seguita dal regime"". Il duce aggiunse anche: "Penso... che la vostra visita sola non basterà. Occorre farla seguire da qualcos'altro per evitare che il gesto venga sfruttato da circoli antifascisti come un modesto ricorso a motivi propagandistici in un momento difficile. Occorre far seguire la vostra visita da qualche atto di revisione nella sfera del ministero degli Interni, dell'Educazione nazionale e della Cultura popolare... Sono convinto che il papa gradirà sicuramente l'omaggio del partito, ma temo che una parte del clero penserà diversamente. Bisognerà anche presentare bene la cosa al tedesco, il quale potrebbe vedere in questa iniziativa l'inizio di una revisione della politica razziale...". In un momento così delicato il prestigio del papa, non scalfito dagli eventi bellici, avrebbe potuto ricostruire attorno a Mussolini la lealtà e l'autorità ormai perdute. Era però troppo tardi per prendere qualsiasi iniziativa.


              Due giorni dopo Maglione tentava di ricapitolare gli avvenimenti di quelle giornate in alcune annotazioni: Mussolini era rinchiuso nella Caserma degli Allievi Carabinieri ai Prati, "...non si fa entrare nessun estraneo. Ma forse non sarebbe proibito l'ingresso a Mgr. Bartolomasi (5) . Non potrebbe questi essere incaricato di portare a Mussolini una parola di conforto da parte di Sua Santità ?"; Farinacci, che si era rifugiato nel Consolato Germanico, era evaso ed era fuggito in Germania, "...Si teme che egli influisca sinistramente su l'animo del Cancelliere.". La caduta di Mussolini aveva avuto ripercussioni anche in Germania ; in Austria vi erano state dimostrazioni e anche tumulti, "...Si teme che Hitler, irritato per queste dimostrazioni e spinto da Farinacci, non s'irrigidisca nel chieder all'Italia di continuare ad ogni costo la guerra. Si teme pure che egli faccia occupare, in forza, qualche città dell'Alta Italia o addirittura la linea del Po" (6) . E' facile leggere in queste righe il timore per la reazione tedesca nei confronti dell'Italia, che avrebbe potuto coinvolgere anche il Vaticano. Maglione espresse apertamente questi timori pochi giorni dopo ad alcuni ambasciatori accreditati presso la Santa Sede a cui chiedeva un'iniziativa nei confronti dell'ambasciatore tedesco. Il segretario di Stato parlò in quella occasione della possibilità "che le truppe germaniche (...) procedano subito all'occupazione d'importanti punti strategici dell'Italia, di Roma e della stessa Città del Vaticano." (7) . L'ambasciatore del Reich, von Weizsäcker era stato ricevuto il 27 luglio dal segretario di Stato e questi gli aveva detto che l'unico desiderio della Santa Sede, come sempre, era una pace giusta, equa e duratura, ma che la Chiesa non poteva offrirsi come mediatrice se non era invitata da almeno una delle parti; l'ambasciatore convenne con le affermazioni di Maglione aggiungendo con molta franchezza: "Io credo che il mio Governo non domanderà la pace..." (8) . Degli eventi di quei giorni si parlò anche in un'udienza che il papa aveva concesso a Grandi la mattina del 30 luglio. Grandi, che si apprestava ad uscire per sempre dalla scena politica italiana, raccontò a Pio XII tutti gli avvenimenti di cui era stato attore e testimone nelle giornate precedenti: il suo ultimo colloquio col duce, la preparazione e la notte del Gran Consiglio, i suoi contatti con il re e con il ministro della real casa e la sua idea di recarsi lo stesso 25 luglio a Madrid per prendere contatti con gli Alleati. Riteneva infatti inevitabile la vendetta tedesca e disse: "Il calvario dell'Italia non è finito (...) una nuova e più grave era di lutti e di dolore comincia ora per la nazione. L'idea di Badoglio di fare dell'Italia un territorio neutrale è ingenua ed assurda. E' soltanto combattendo a viso aperto contro la Germania nazista che potranno essere neutralizzate le decisioni degli alleati prese a Casablanca sulla resa incondizionata". Il progetto di Grandi, dopo aver liquidato Mussolini, era dunque quello di iniziare subito a combattere contro i tedeschi e contemporaneamente aprire trattative presso gli Alleati, sfruttando la nuova situazione che si era venuta a creare. Alcuni anni dopo la guerra Churchill, parlando con lo stesso Grandi commentò così questo progetto: "Il vostro piano diretto ad annullare le condizioni di resa incondizionata stabilite nel gennaio 1943 a Casablanca, facendo trovare l'Italia in guerra contro la Germania, era un piano temerario, ma il solo che nelle condizioni in cui l'Italia si trovava poteva essere tentato. Esso avrebbe messo noi Alleati in serio imbarazzo, perché è chiaro che non avremmo potuto continuare a considerare nemico un paese il quale si trovava a combattere contro il nemico comune..." (9) . Questo progetto però non si era realizzato e la situazione era piena di incognite. L'incontro tra il gerarca e il pontefice si concluse in un modo insolito, che così Grandi descrisse : " Mentre parlavo si udirono ad un tratto suonare vicine e stridenti le sirene d'allarme aereo. Il Pontefice non si mosse. Una straordinaria luce era nel suo viso. Poi il Santo Padre si inginocchiò e con le mani giunte recitò a voce alta una preghiera al Signore. Mi inginocchiai accanto a lui, facendo timida eco alle sue parole. Uscii confortato e rincuorato. La sua paterna benedizione e le parole dettemi sono tuttora scolpite nel mio spirito e nella mia memoria. Furono in quei giorni dolorosi, le sole che io ricevetti." (10) .


              Nonostante la caduta di Mussolini, la situazione non poteva, quindi, dirsi migliorata; come scrisse Buonaiuti, il 25 luglio non può essere annoverato tra le date fauste della storia italiana, l'Italia fu sì liberata dal fascismo, ma mancò qualsiasi calcolo su quel che avrebbe dovuto essere la linea di condotta politica ed internazionale del paese e del governo all'indomani del trapasso (11) . Gli Alleati, per usare un'infelice espressione di Churchill, avevano adottato sino ad allora la tecnica "del bastone e della carota", sostenendo da una parte la necessità della resa incondizionata e dall'altra facendo sapere, usando in questo anche il Vaticano, di non odiare il popolo italiano e di ritenere Mussolini il vero responsabile del conflitto. Tuttavia la caduta del duce non era stata coordinata con gli anglo-americani e il proclama "la guerra continua" non aveva migliorato la posizione italiana. Questa era però peggiorata nei confronti della Germania che diede inizio all'operazione Alarico per occupare militarmente la penisola. I timori della Santa Sede in quel periodo, sono rintracciabili in alcune note di monsignor Tardini. In Vaticano si sapeva che Hitler aveva rifiutato di incontrarsi con il re e con Badoglio e si sapeva che la Wermacht stava aumentando la sua presenza nella penisola. "Dal governo italiano si teme un colpo tedesco a Roma." scriveva Tardini il 4 agosto" In questo caso prevedono anche una invasione del Vaticano. Dall'altra parte le truppe italiane, più numerose delle tedesche, sono però sprovviste di armi potenti e carri armati (...). In Roma stessa già vi sono circa 60.000 militari tedeschi, armati molto bene (...). Tra le voci raccolte dal governo italiano, è quella che il S. Padre sarebbe trasportato a Monaco.(...) La Santa Sede continua ad agire con la consueta prudenza, evitando tutto ciò che potesse offrire un pretesto ai tedeschi per attaccarla. Per esempio la S. Sede si è rifiutata alla preghiera, rivoltale da qualcuno, membro del governo italiano, di far sapere agli Alleati che, in caso di urto tra le forze tedesche ed italiane, mandino subito molti aeroplani in aiuto di queste.(...) Dal canto loro gli Alleati, dopo aver posto come condizione (impossibile!) l'allontanamento dei tedeschi dall'Italia, riprenderanno i loro micidiali bombardamenti. Il popolo che tanto desidera la pace e che la pace sperava dal nuovo governo, vedrà invece aumentare le sofferenze e le privazioni della guerra. Ne seguirà uno stato d'animo molto pericoloso, perchè potrebbe sfociare nel comunismo. Da qualunque aspetto si consideri la situazione è dolorosa e minacciosa." (12) . Le apprensioni della Curia romana venivano comunicate anche in Inghilterra da Osborne in un dispaccio del 6 agosto inviato al Foreign Office ed erano così elencate:



              "1. L'occupazione di Roma e/o della città del Vaticano da parte delle forze tedesche.

              2. La restaurazione del fascismo sotto Farinacci, il quale, si dice, ieri-in una trasmissione dalla Germania- minacciò una nuova marcia su Roma sotto gli auspici tedeschi, seguita da rappresaglie.


              3. Le incursioni aeree su Roma con o senza l'impiego di gas.


              4. La deportazione del papa in Germania.


              I vantaggi pratici per la Germania -commentava Osborne- di ciascuno di questi procedimenti non sono ancora esaminati e definiti." (13) .


              Viene qui ancora una volta espresso il timore che la reazione tedesca avrebbe colpito il Vaticano e il papa in particolare; il pericolo dopo il 25 luglio sussisteva realmente. In Germania erano in molti ad essere convinti che la Chiesa fosse in qualche modo coinvolta nella caduta di Mussolini. Ne era convinto Goebbels che nel suo diario scriveva che il papa stava tramando contro la Germania. Ne era convinto anche Hitler che il 26 luglio, durante alcune discussioni con i suoi collaboratori sulle misure da prendere per assumere il controllo dell'Italia (operazione Alarico) pare si sia sfogato in questo modo, minacciando di colpire i diplomatici presso la Santa Sede: "...io entro subito in Vaticano . Credete che il Vaticano mi dia fastidio? Quello è subito preso. Là dentro c'è prima di tutto l'intero corpo diplomatico. Non me ne importa nulla. La canaglia è là e noi tireremo fuori tutta la p... canaglia (...) Poi a cose fatte ci scuseremo, per noi fa lo stesso. Laggiù noi siamo in guerra". All'accenno di uno dei presenti sulla possibilità di scoprire dei documenti, Hitler aggiunse: "Certo, noi vi prenderemo i documenti, vi troveremo le prove del tradimento" (14) .


              L'ira del Führer culminò dopo l'8 settembre quando, a quanto pare, Hitler ordinò esplicitamente al comandante delle SS in Italia Karl Wolff di: occupare il Vaticano, mettere al sicuro gli archivi e i tesori d'arte e "trasferire" il papa. Il comandante però prese dapprima tempo e, successivamente, nel dicembre '43 dissuase il Führer dal compiere l'operazione con queste parole: "A mio giudizio un'occupazione del Vaticano e la deportazione del papa, porterebbero ad una reazione estremamente negativa per noi, da parte sia dei cattolici tedeschi in patria e al fronte, come di tutti i cattolici nel mondo e negli Stati neutrali: reazioni che non sarebbero in alcun rapporto con il transitorio vantaggio dell'eliminazione del Vaticano dalla politica e del bottino degli archivi vaticani e dei tesori d'arte" (15) . Intanto però, il 7 ottobre, la radio repubblicana, controllata dai tedeschi minacciava: "Si stanno preparando in Germania gli alloggi per il papa" (16) . Il Decano del Corpo Diplomatico Vaticano, l'ambasciatore brasiliano Hildebrando Pompeu Pinto Accioly, dopo essere stato informato dei rischi che correva Pio XII dal segretario di Stato, si riunì con i suoi colleghi e insieme decisero che, in caso di trasferimento forzato del pontefice, non solo i diplomatici avrebbero formalmente protestato, ma avrebbero chiesto anche il permesso di seguire il papa (17) .


              Anche l'ambasciatore tedesco Von Weizsäcker racconta, nelle sue memorie, di essere stato al corrente delle voci circa una possibile deportazione di Pio XII e di essersi informato più volte attraverso le autorità tedesche. L'ambasciatore tentò anche, in un rapporto inviato a Berlino di mettere in ridicolo questa idea, citando le parole dette da Pio VII ad un incaricato di Napoleone:"Potete tenermi, ma in tal caso avrete tra le mani solo il semplice monaco Chiaromonti e non un Papa". Tuttavia le richieste di von Weizsäcker non ebbero risposta e come egli stesso scrisse: "Rimasi fino al 4 giugno 1944, giorno dell'ingresso degli Alleati, senza ricevere una effettiva conferma, ma anche senza un'affidabile smentita delle voci" (18) .
              ___________________________________________________________
              1)A.D.S.S., vol.VII, annotazioni di Montini, 25/7/1943, d.313, pp.520 sgg.
              2) D.Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, cit., p.273
              3) Vedi R.De Felice, Mussolini l'alleato, cit., pp.1386 sgg.
              4) F.W.Deakin, op. cit., p.604
              5) Monsignor Angelo Bartolomasi, ordinario militare in Italia.
              6) A.D.S.S., vol. VII, annotazioni di Maglione, 27/7/1943, d.316, pp.524 sgg.
              7)Idem, annotazioni di Maglione, 31/7/1943, d.321, pp.532-533
              8) Idem, annotazioni di Maglione, 27/7/1943, d.316, pp.526-527
              9) De Felice in D.Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, cit., introduzione, pp.20-21
              10) L'incontro tra Grandi e Pio XII in D.Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, cit., p.375 e in D.Grandi, Il mio paese, cit., pp.651-652
              11) E.Buonaiuti, op.cit., p.161
              12) A.D.S.S., vol. VII, annotazioni di Tardini, 4/8/1943, d.327, pp.538-539
              13) In G.Angelozzi Gariboldi, Pio XII Hitler e Mussolini, cit., p.205
              14) R.A.Graham, Voleva Hitler allontanare da Roma Pio XII ? in La Civiltà Cattolica, 1972, I , 319-327
              15) Dichiarazione, in data 9 aprile 1974, resa da K. Wolff davanti al tribunale arcivescovile di Monaco per il processo di beatificazione di Pio XII. L' unica prova dell'ordine di Hitler è però la sola testimonianza di Wolff. Eugen Dollman, ufficiale delle SS alle dirette dipendenze di Wolff, ad esempio, non riteneva che questo ordine fosse mai stato dato: "Non ho mai saputo" disse "non ho mai creduto a questo piano.. Il generale Wolff non mi ha mai detto nulla a riguardo." G. Angelozzi Gariboldi, Pio XII Hitler e Mussolioni, cit., p 217
              16) Cfr. G.Angelozzi Gariboldi, Pio XII Hitler e Mussolini, cit., pp.193 sgg.
              17) F.R.U.S., 1943, vol.II, Il ministro in Svizzera (Harrison) a Hull, 29/10/1943, p.951
              18) E.Von Weizsäcker, Erinnerüngen, in Nuova Antologia, Roma città aperta, la tesi tedesca, fasc.2168, 1988, pp.189-190


              PIO XII
              Last edited by Sean; 23-05-2009, 22:46:15.
              ...ma di noi
              sopra una sola teca di cristallo
              popoli studiosi scriveranno
              forse, tra mille inverni
              «nessun vincolo univa questi morti
              nella necropoli deserta»

              C. Campo - Moriremo Lontani


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              • simones
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                Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
                Io, essendo un curioso indagatore della figura di Pio XII, l'ultimo papa "romano", l'ultimo principesco pontefice di una Chiesa che oggi non c'è più, spazzata dal modernismo del Vaticano II, il suo '68, posto questo articolo che forse può interessarti, con bibliografia in appendice da dove poter cercare qualche spunto.

                La Caduta Di Mussolini.

                La mattina di domenica 25 luglio monsignor Montini ricevette una telefonata dal segretario della Congregazione di Propaganda fide, monsignor Costantini, che lo pregava di recarsi subito da lui per un affare grave ed urgente. Quando il sostituto arrivò all'appartamento di monsignor Costantini lo trovò con Alberto de Stefani, professore universitario, ex-ministro delle finanze e membro del Gran Consiglio del Fascismo. Questi raccontò a Montini gli eventi di cui era stato testimone dal pomeriggio del giorno prima fino alle due di quella notte. Fu così che la Santa Sede ricevette le prime informazioni sulla seduta del Gran Consiglio, primo atto della deposizione di Mussolini, una scelta a cui il Vaticano non aveva collaborato direttamente ma a cui, visti gli avvenimenti accaduti nei mesi precedenti, non era certo estraneo. Stefanini raccontò dell'ordine del giorno Grandi, del duce "che ha mostrato di non avere più il controllo della situazione, nè di sè stesso" e della necessità di aprire subito trattative sia con la Germania, perché permettesse all'Italia di tornare neutrale, sia con gli Alleati. La Santa Sede avrebbe dovuto, suggeriva il gerarca, iniziare a interrogare Stati Uniti e Inghilterra circa le condizioni che avrebbero imposto all'Italia per ritirarsi dal conflitto. A Montini sembrò prematuro dare una risposta e disse che la Santa Sede non poteva compiere alcun passo se non invitata da organi ufficiali dello Stato (1) .



                Durante la turbolenta riunione del Gran Consiglio, sul cui esito la Santa Sede venne informata anche da Grandi che fece avere a Borgongini Duca una copia dell'ordine del giorno (2) , si era discusso anche dei rapporti da tenere con il Vaticano (3) . A parlarne era stato il segretario del Partito Scorza. Questi dopo il bombardamento di Roma aveva proposto a Mussolini un atto distensivo nei confronti del pontefice, suggerendo un contributo per la sistemazione della chiesa di San Lorenzo e una visita del duce a Pio XII. Mussolini si era mostrato contrario all'idea, ma Scorza nel suo ordine del giorno per il Gran Consiglio, uno dei tre presentati quella notte, aveva inserito un cenno al "cordoglio del pontefice per la distruzione di tanti insigni monumenti dedicati da secoli al culto della religione e dell'arte" e, se Mussolini non gliele avesse tagliate, avrebbe voluto aggiungere altre "aperture" verso la Santa Sede. Nella seduta della notte del 24 luglio Ciano contestò la posizione del segretario del PNF, affermando che il Vaticano non avrebbe gradito in quel momento simili atti di omaggio. "Per carità non toccare la Chiesa! Sono già abbastanza seccati in Vaticano per la nostra recente politica" esclamò Ciano (4) . Scorza aveva invece insistito, dicendo che sapeva "da fonte diretta, anche se non diplomatica" che "in Vaticano ne sarebbero stati lieti".La mattina dopo, poche ore prima dell'arresto di Mussolini, Scorza si recò a rapporto a palazzo Venezia, dove il duce gli disse di aver ripensato alla cosa e di essere propenso ad incontrare il pontefice. Suggerì quindi al segretario del partito di recarsi in Vaticano per trovare un accordo, operando però con la dovuta cura: " dopo la (vostra) visita , convocherete perciò il direttorio, spiegherete il vostro operato, e ne farete oggetto di un indirizzo ai fascisti, chiarendo che tutto rientra perfettamente nella politica religiosa seguita dal regime"". Il duce aggiunse anche: "Penso... che la vostra visita sola non basterà. Occorre farla seguire da qualcos'altro per evitare che il gesto venga sfruttato da circoli antifascisti come un modesto ricorso a motivi propagandistici in un momento difficile. Occorre far seguire la vostra visita da qualche atto di revisione nella sfera del ministero degli Interni, dell'Educazione nazionale e della Cultura popolare... Sono convinto che il papa gradirà sicuramente l'omaggio del partito, ma temo che una parte del clero penserà diversamente. Bisognerà anche presentare bene la cosa al tedesco, il quale potrebbe vedere in questa iniziativa l'inizio di una revisione della politica razziale...". In un momento così delicato il prestigio del papa, non scalfito dagli eventi bellici, avrebbe potuto ricostruire attorno a Mussolini la lealtà e l'autorità ormai perdute. Era però troppo tardi per prendere qualsiasi iniziativa.


                Due giorni dopo Maglione tentava di ricapitolare gli avvenimenti di quelle giornate in alcune annotazioni: Mussolini era rinchiuso nella Caserma degli Allievi Carabinieri ai Prati, "...non si fa entrare nessun estraneo. Ma forse non sarebbe proibito l'ingresso a Mgr. Bartolomasi (5) . Non potrebbe questi essere incaricato di portare a Mussolini una parola di conforto da parte di Sua Santità ?"; Farinacci, che si era rifugiato nel Consolato Germanico, era evaso ed era fuggito in Germania, "...Si teme che egli influisca sinistramente su l'animo del Cancelliere.". La caduta di Mussolini aveva avuto ripercussioni anche in Germania ; in Austria vi erano state dimostrazioni e anche tumulti, "...Si teme che Hitler, irritato per queste dimostrazioni e spinto da Farinacci, non s'irrigidisca nel chieder all'Italia di continuare ad ogni costo la guerra. Si teme pure che egli faccia occupare, in forza, qualche città dell'Alta Italia o addirittura la linea del Po" (6) . E' facile leggere in queste righe il timore per la reazione tedesca nei confronti dell'Italia, che avrebbe potuto coinvolgere anche il Vaticano. Maglione espresse apertamente questi timori pochi giorni dopo ad alcuni ambasciatori accreditati presso la Santa Sede a cui chiedeva un'iniziativa nei confronti dell'ambasciatore tedesco. Il segretario di Stato parlò in quella occasione della possibilità "che le truppe germaniche (...) procedano subito all'occupazione d'importanti punti strategici dell'Italia, di Roma e della stessa Città del Vaticano." (7) . L'ambasciatore del Reich, von Weizsäcker era stato ricevuto il 27 luglio dal segretario di Stato e questi gli aveva detto che l'unico desiderio della Santa Sede, come sempre, era una pace giusta, equa e duratura, ma che la Chiesa non poteva offrirsi come mediatrice se non era invitata da almeno una delle parti; l'ambasciatore convenne con le affermazioni di Maglione aggiungendo con molta franchezza: "Io credo che il mio Governo non domanderà la pace..." (8) . Degli eventi di quei giorni si parlò anche in un'udienza che il papa aveva concesso a Grandi la mattina del 30 luglio. Grandi, che si apprestava ad uscire per sempre dalla scena politica italiana, raccontò a Pio XII tutti gli avvenimenti di cui era stato attore e testimone nelle giornate precedenti: il suo ultimo colloquio col duce, la preparazione e la notte del Gran Consiglio, i suoi contatti con il re e con il ministro della real casa e la sua idea di recarsi lo stesso 25 luglio a Madrid per prendere contatti con gli Alleati. Riteneva infatti inevitabile la vendetta tedesca e disse: "Il calvario dell'Italia non è finito (...) una nuova e più grave era di lutti e di dolore comincia ora per la nazione. L'idea di Badoglio di fare dell'Italia un territorio neutrale è ingenua ed assurda. E' soltanto combattendo a viso aperto contro la Germania nazista che potranno essere neutralizzate le decisioni degli alleati prese a Casablanca sulla resa incondizionata". Il progetto di Grandi, dopo aver liquidato Mussolini, era dunque quello di iniziare subito a combattere contro i tedeschi e contemporaneamente aprire trattative presso gli Alleati, sfruttando la nuova situazione che si era venuta a creare. Alcuni anni dopo la guerra Churchill, parlando con lo stesso Grandi commentò così questo progetto: "Il vostro piano diretto ad annullare le condizioni di resa incondizionata stabilite nel gennaio 1943 a Casablanca, facendo trovare l'Italia in guerra contro la Germania, era un piano temerario, ma il solo che nelle condizioni in cui l'Italia si trovava poteva essere tentato. Esso avrebbe messo noi Alleati in serio imbarazzo, perché è chiaro che non avremmo potuto continuare a considerare nemico un paese il quale si trovava a combattere contro il nemico comune..." (9) . Questo progetto però non si era realizzato e la situazione era piena di incognite. L'incontro tra il gerarca e il pontefice si concluse in un modo insolito, che così Grandi descrisse : " Mentre parlavo si udirono ad un tratto suonare vicine e stridenti le sirene d'allarme aereo. Il Pontefice non si mosse. Una straordinaria luce era nel suo viso. Poi il Santo Padre si inginocchiò e con le mani giunte recitò a voce alta una preghiera al Signore. Mi inginocchiai accanto a lui, facendo timida eco alle sue parole. Uscii confortato e rincuorato. La sua paterna benedizione e le parole dettemi sono tuttora scolpite nel mio spirito e nella mia memoria. Furono in quei giorni dolorosi, le sole che io ricevetti." (10) .


                Nonostante la caduta di Mussolini, la situazione non poteva, quindi, dirsi migliorata; come scrisse Buonaiuti, il 25 luglio non può essere annoverato tra le date fauste della storia italiana, l'Italia fu sì liberata dal fascismo, ma mancò qualsiasi calcolo su quel che avrebbe dovuto essere la linea di condotta politica ed internazionale del paese e del governo all'indomani del trapasso (11) . Gli Alleati, per usare un'infelice espressione di Churchill, avevano adottato sino ad allora la tecnica "del bastone e della carota", sostenendo da una parte la necessità della resa incondizionata e dall'altra facendo sapere, usando in questo anche il Vaticano, di non odiare il popolo italiano e di ritenere Mussolini il vero responsabile del conflitto. Tuttavia la caduta del duce non era stata coordinata con gli anglo-americani e il proclama "la guerra continua" non aveva migliorato la posizione italiana. Questa era però peggiorata nei confronti della Germania che diede inizio all'operazione Alarico per occupare militarmente la penisola. I timori della Santa Sede in quel periodo, sono rintracciabili in alcune note di monsignor Tardini. In Vaticano si sapeva che Hitler aveva rifiutato di incontrarsi con il re e con Badoglio e si sapeva che la Wermacht stava aumentando la sua presenza nella penisola. "Dal governo italiano si teme un colpo tedesco a Roma." scriveva Tardini il 4 agosto" In questo caso prevedono anche una invasione del Vaticano. Dall'altra parte le truppe italiane, più numerose delle tedesche, sono però sprovviste di armi potenti e carri armati (...). In Roma stessa già vi sono circa 60.000 militari tedeschi, armati molto bene (...). Tra le voci raccolte dal governo italiano, è quella che il S. Padre sarebbe trasportato a Monaco.(...) La Santa Sede continua ad agire con la consueta prudenza, evitando tutto ciò che potesse offrire un pretesto ai tedeschi per attaccarla. Per esempio la S. Sede si è rifiutata alla preghiera, rivoltale da qualcuno, membro del governo italiano, di far sapere agli Alleati che, in caso di urto tra le forze tedesche ed italiane, mandino subito molti aeroplani in aiuto di queste.(...) Dal canto loro gli Alleati, dopo aver posto come condizione (impossibile!) l'allontanamento dei tedeschi dall'Italia, riprenderanno i loro micidiali bombardamenti. Il popolo che tanto desidera la pace e che la pace sperava dal nuovo governo, vedrà invece aumentare le sofferenze e le privazioni della guerra. Ne seguirà uno stato d'animo molto pericoloso, perchè potrebbe sfociare nel comunismo. Da qualunque aspetto si consideri la situazione è dolorosa e minacciosa." (12) . Le apprensioni della Curia romana venivano comunicate anche in Inghilterra da Osborne in un dispaccio del 6 agosto inviato al Foreign Office ed erano così elencate:



                "1. L'occupazione di Roma e/o della città del Vaticano da parte delle forze tedesche.

                2. La restaurazione del fascismo sotto Farinacci, il quale, si dice, ieri-in una trasmissione dalla Germania- minacciò una nuova marcia su Roma sotto gli auspici tedeschi, seguita da rappresaglie.


                3. Le incursioni aeree su Roma con o senza l'impiego di gas.


                4. La deportazione del papa in Germania.


                I vantaggi pratici per la Germania -commentava Osborne- di ciascuno di questi procedimenti non sono ancora esaminati e definiti." (13) .


                Viene qui ancora una volta espresso il timore che la reazione tedesca avrebbe colpito il Vaticano e il papa in particolare; il pericolo dopo il 25 luglio sussisteva realmente. In Germania erano in molti ad essere convinti che la Chiesa fosse in qualche modo coinvolta nella caduta di Mussolini. Ne era convinto Goebbels che nel suo diario scriveva che il papa stava tramando contro la Germania. Ne era convinto anche Hitler che il 26 luglio, durante alcune discussioni con i suoi collaboratori sulle misure da prendere per assumere il controllo dell'Italia (operazione Alarico) pare si sia sfogato in questo modo, minacciando di colpire i diplomatici presso la Santa Sede: "...io entro subito in Vaticano . Credete che il Vaticano mi dia fastidio? Quello è subito preso. Là dentro c'è prima di tutto l'intero corpo diplomatico. Non me ne importa nulla. La canaglia è là e noi tireremo fuori tutta la p... canaglia (...) Poi a cose fatte ci scuseremo, per noi fa lo stesso. Laggiù noi siamo in guerra". All'accenno di uno dei presenti sulla possibilità di scoprire dei documenti, Hitler aggiunse: "Certo, noi vi prenderemo i documenti, vi troveremo le prove del tradimento" (14) .


                L'ira del Führer culminò dopo l'8 settembre quando, a quanto pare, Hitler ordinò esplicitamente al comandante delle SS in Italia Karl Wolff di: occupare il Vaticano, mettere al sicuro gli archivi e i tesori d'arte e "trasferire" il papa. Il comandante però prese dapprima tempo e, successivamente, nel dicembre '43 dissuase il Führer dal compiere l'operazione con queste parole: "A mio giudizio un'occupazione del Vaticano e la deportazione del papa, porterebbero ad una reazione estremamente negativa per noi, da parte sia dei cattolici tedeschi in patria e al fronte, come di tutti i cattolici nel mondo e negli Stati neutrali: reazioni che non sarebbero in alcun rapporto con il transitorio vantaggio dell'eliminazione del Vaticano dalla politica e del bottino degli archivi vaticani e dei tesori d'arte" (15) . Intanto però, il 7 ottobre, la radio repubblicana, controllata dai tedeschi minacciava: "Si stanno preparando in Germania gli alloggi per il papa" (16) . Il Decano del Corpo Diplomatico Vaticano, l'ambasciatore brasiliano Hildebrando Pompeu Pinto Accioly, dopo essere stato informato dei rischi che correva Pio XII dal segretario di Stato, si riunì con i suoi colleghi e insieme decisero che, in caso di trasferimento forzato del pontefice, non solo i diplomatici avrebbero formalmente protestato, ma avrebbero chiesto anche il permesso di seguire il papa (17) .


                Anche l'ambasciatore tedesco Von Weizsäcker racconta, nelle sue memorie, di essere stato al corrente delle voci circa una possibile deportazione di Pio XII e di essersi informato più volte attraverso le autorità tedesche. L'ambasciatore tentò anche, in un rapporto inviato a Berlino di mettere in ridicolo questa idea, citando le parole dette da Pio VII ad un incaricato di Napoleone:"Potete tenermi, ma in tal caso avrete tra le mani solo il semplice monaco Chiaromonti e non un Papa". Tuttavia le richieste di von Weizsäcker non ebbero risposta e come egli stesso scrisse: "Rimasi fino al 4 giugno 1944, giorno dell'ingresso degli Alleati, senza ricevere una effettiva conferma, ma anche senza un'affidabile smentita delle voci" (18) .
                ___________________________________________________________
                1)A.D.S.S., vol.VII, annotazioni di Montini, 25/7/1943, d.313, pp.520 sgg.
                2) D.Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, cit., p.273
                3) Vedi R.De Felice, Mussolini l'alleato, cit., pp.1386 sgg.
                4) F.W.Deakin, op. cit., p.604
                5) Monsignor Angelo Bartolomasi, ordinario militare in Italia.
                6) A.D.S.S., vol. VII, annotazioni di Maglione, 27/7/1943, d.316, pp.524 sgg.
                7)Idem, annotazioni di Maglione, 31/7/1943, d.321, pp.532-533
                8) Idem, annotazioni di Maglione, 27/7/1943, d.316, pp.526-527
                9) De Felice in D.Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, cit., introduzione, pp.20-21
                10) L'incontro tra Grandi e Pio XII in D.Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, cit., p.375 e in D.Grandi, Il mio paese, cit., pp.651-652
                11) E.Buonaiuti, op.cit., p.161
                12) A.D.S.S., vol. VII, annotazioni di Tardini, 4/8/1943, d.327, pp.538-539
                13) In G.Angelozzi Gariboldi, Pio XII Hitler e Mussolini, cit., p.205
                14) R.A.Graham, Voleva Hitler allontanare da Roma Pio XII ? in La Civiltà Cattolica, 1972, I , 319-327
                15) Dichiarazione, in data 9 aprile 1974, resa da K. Wolff davanti al tribunale arcivescovile di Monaco per il processo di beatificazione di Pio XII. L' unica prova dell'ordine di Hitler è però la sola testimonianza di Wolff. Eugen Dollman, ufficiale delle SS alle dirette dipendenze di Wolff, ad esempio, non riteneva che questo ordine fosse mai stato dato: "Non ho mai saputo" disse "non ho mai creduto a questo piano.. Il generale Wolff non mi ha mai detto nulla a riguardo." G. Angelozzi Gariboldi, Pio XII Hitler e Mussolioni, cit., p 217
                16) Cfr. G.Angelozzi Gariboldi, Pio XII Hitler e Mussolini, cit., pp.193 sgg.
                17) F.R.U.S., 1943, vol.II, Il ministro in Svizzera (Harrison) a Hull, 29/10/1943, p.951
                18) E.Von Weizsäcker, Erinnerüngen, in Nuova Antologia, Roma città aperta, la tesi tedesca, fasc.2168, 1988, pp.189-190


                PIO XII


                molto bene.
                grazie sean.
                l'estate è alle porte ed ho quindi tutto il tempo per approfondire.
                "Nulla è gratuito in questo basso mondo. Tutto si sconta, il bene come il male, presto o tardi si paga. Il bene è necessariamente molto più caro."

                L.F.Celine

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                • ma_75
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                  Ottimo articolo. Aggiungo solo una cosa: tra il 25 luglio e l'8 settembre i contatti tra governo Badoglio e alleati in vista della resa passarono per le ambasciate alleate in Vaticano.
                  In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                  ma_75@bodyweb.com

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                  • LARRY SCOTT
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                    29 Waffen -SS Division Grenadier Italien---->> le SS italiane

                    Trovato articolo interessante...che ne pensate? mi ha sempre interessato come argomento,di cui peraltro in giro non si parla quasi mai


                    LE SS ITALIANE

                    Con la destituzione di Benito Mussolini da capo del governo (25 luglio 1943) e la conseguente caduta del regime fascista, molti soldati italiani, quelli di sicura fede fascista, intuendo le prossime mosse e il tradimento imminente del nuovo governo italiano presieduto dal maresciallo Badoglio nei confronti dell'alleato germanico, si presentarono alle autorità militari tedesche desiderando continuare a combattere contro gli alleati.
                    Al Reichsfuhrer Heinrich Himmler, cominciarono ad arrivare subito segnalazioni di reparti italiani the spontaneamente mostravano la loro volontà di tenere fede al1'alleanza con la Germania: gia il 31 luglio una Compagnia della Milizia fascista a Zagabria, si presento alle autorità tedesche per essere trasferita in Germania. Qualche giorno dopo arrivo la notizia the nel Sud Tirolo altri membri della Milizia si stavano presentando come volontari ai centri di emigrazione.
                    I tedeschi, che già avevano accolto nelle loro forze armate volontari provenienti da tutta 1'Europa, diramarono subito disposizioni per accogliere al meglio i volontari italiani e riservare loro un trattamento speciale. Il 31 agosto Himmler inviò ai vari centri di raccolta un messaggio segreto, in merito al comportamento da assumere nei riguardi dei nuovi volontari italiani: i militari dell'esercito dovevano essere incorporati nella Wehrmacht, mentre i membri della Milizia fascista nelle Waffen SS.
                    L'8 settembre 1943 con 1'annuncio dell'armistizio tra il governo Badoglio e gli alleati, l'Italia venne invasa dalle truppe tedesche dal nord senza incontrare nessuna resistenza: 30 divisioni italiane si dissolsero nel nulla. La maggior parte dei soldati venne catturata dai tedeschi e trasportata verso i campi di concentramento in Germania e in Polonia. Nel settore balcanico, alcuni reparti non accettarono di consegnare le armi ai tedeschi, e si difesero fino alla morte, mentre altri reparti decisero di collaborare da subito con le forze germaniche.
                    A Creta, Rodi e nelle isole greche del Dodecanneso, la maggior parte dei reparti italiani preferì continuare la guerra al fianco dei tedeschi, ed in seguito aderirono al nuovo governo della Repubblica Sociale Italiana, continuando a combattere fino al maggio del 1945. Si comportarono cosi anche i militari italiani, della base atlantica di Bordeaux in Francia, i marinai di Danzica e le unità Mas dislocate sul Mar Nero
                    In Albania, Montenegro e Slovenia tutte le Legioni e i battaglioni autonomi della Milizia fascista, le camicie nere, si affiancarono subito alle forze germaniche per la continuazione delle ostilità contro il comune nemico
                    In Grecia, il XIX° Battaglione Camicie Nere "Fabris" agli ordini del primo seniore della Milizia Gilberto Fabris, dislocate, nell'area intorno al porto di Prevesa nell'Epiro, dopo solo tre giorni la notizia dell'armistizio tutto il battaglione, ufficiali e legionari si misero a disposizione del maggiore generale von Stettner, comandante della 1 a divisione Alpenjager tedesca. Il battaglione venne subito impegnato in operazioni di rastrellamento e difesa costiera fino al 3 novembre quando partì per l'Italia. Il 1 dicembre 1943 dopo un estenuante viaggio il battaglione arrivò ad Aosta, e i suoi uomini vennero aggregati alla Legione SS italiana.

                    Volontari italiani nelle divisioni Waffen SS
                    Oltre ad avere una divisione propria delle Waffen SS, molti altri italiani furono inquadrati in varie divisioni SS dopo 1'8 settembre.
                    Molti di loro ottennero il privilegio di portare le mostrine delle SS sin dall'inizio, a differenza dei loro camerati della 29a divisione.
                    Circa 300 volontari italiani, vennero arruolati nella la divisione SS Lah subito dopo 1'8 settembre, quando l'unità era dislocata in Italia. I tedeschi gradirono la presenza degli italiani nella divisione, soprattutto perchè la maggior parte di loro, venne utilizzata come autisti e meccanici per la manutenzione e 1'utilizzo dei tanti automezzi di origine italiana sequestrati.
                    Una volta in Ucraina, nel novembre 1943, gli italiani vennero impiegati anche in prima linea, contro le forze sovietiche.
                    Nel marzo 1944 una cinquantina di superstiti accettarono di rientrare in Italia per essere aggregati alla Legione SS italiana. I reduci dal fronte russo della Lah ebbero il privilegio di continuare a portare le mostrine nere con la doppia runa delle SS.
                    Un'altra cinquantina di italiani della Lah, vennero assegnati invece nella primavera del `44 alla 12a divisione Hitlerjugend. Questo pugno di volontari italiani combattè in Normandia contro gli alleati. Una decina di superstiti della Hj fecero ritorno in Italia solo nel gennaio del `45.
                    Anche nella 16a divisione SS Reichsfuhrer, che opero sul fronte italiano, vennero arruolati circa un centinaio di italiani nelle unità di supporto e amministrazione.
                    In Grecia, la 4- divisione SS Polizei arruolo alcune centinaia di italiani della milizia e dell'esercito nell'area intorno a Volos. Inizialmente i volontari continuarono a portare 1'uniforme italiana venendo impiegati principalmente nelle unità di supporto della divisione. La 2a compagnia di sanità della Polizei era composta interamente da autisti italiani.
                    Gli appartenenti alla milizia vennero invece impiegati nei reparti combattenti: nei 7° reggimento Panzer Grenadier della divisione operò fino all'autunno del 1944 nell'area intorno a Larissa, un'intera compagnia di camicie nere (circa 180 uomini) denominata La Compagnia Camicie Nere L'Aquila. Con altre camicie nere venne organizzato un Gruppo d'artiglieria.
                    In Jugoslavia, un migliaio di italiani vennero aggregati alla 7a divisione SS Prinz Eugen. Un altro centinaio di italiani, della divisione Lombardia ed in particolare del XXXI° battaglioni carri, finirono invece nella la divisione SS Nordland, mentre era dislocata in Croazia nei settembre 1943. La maggior parte degli italiani vennero impiegati nell'unita Panzer Abteilung, dal momento che erano stati sequestrati dalla divisione molti carri italiani.
                    Nel dicembre `43, quando la Nordland venne trasferita sul fronte russo, i volontari italiani vennero trasferiti in Italia.
                    Circa 500 volontari italiani, provenienti dai reparti dislocati in Francia dopo 1'8 settembre, vennero arruolati nella 172 divisione SS Gotz Von Berlichingen, grazie all'attività propagandistica del cappellano militare Padre Eusebio. La divisione agli ordini dell'SS-Oberfiihrer Ostendorff era in corso di costituzione nei pressi di Tours. Anche questi italiani si ritrovarono con la divisa SS a combattere contro gli alleati in Normandia nei giugno 1944. La divisione perse la meta dei suoi effettivi durante i combattimenti: i volontari italiani, circa un centinaio, rientrarono in Italia, e vennero aggregati alla Legione SS italiana e al Reggimento Paracadutisti Folgore.
                    Anche Padre Eusebio fece ritorno in Italia per diventare il cappellano militare delle Brigate Nere di Alessandro Pavolini.
                    Anche nella 28a divisione SS Wallonie, del mitico Leon Degrelle, vennero impiegati un centinaio di volontari italiani. Si trattava per lo più di nostri connazionali che erano nazisti in Belgio o,si trovavano 1! per motivi di lavoro. Nel dicembre `44 una cinquantina di essi, insieme con una decina di spagnoli, chiesero di poter essere trasferiti in Italia nella Legione SS italiana. Degrelle acconsentì e nei gennaio `45 il gruppetto italo-spagnolo giunse a Rodengo-Saiano al battaglione addestramento di Thaler. Un altro centinaio di volontari italiani gia inquadrati nella Legione SS italiana, che vennero inviati a Praga per seguire un corso di specializzazione come Panzer Grenadier, vennero per 1'evolversi degli eventi, inquadrati nella 102 divisione SS Frundsberg. La maggior parte di loro fin! dispersa nei combattimenti sul fronte dell'Oder nei febbraio `45.
                    Gli arruolamenti nella polizia SS
                    Nell'Alto Adige, dopo 1'occupazione tedesca, iniziarono subito arruolamenti di volontari soprattutto tra la popolazione di lingua tedesca. Con volontari altoatesini della zona di Bolzano fu creato il 1° reggimento di Polizea SS Bozen, che diventerà famoso per il suo coinvolgimento nell'attentato di via Rasella a Roma, da cui scaturì 1'eccidio delle Fosse Ardeatine. Seguirono poi un secondo reggimento ed un'unita di Polizia locale (il Siidtiroler OrdnungsDienst).
                    Con volontari italiani nelle province di Trento, Bolzano e Belluno, venne creato il Corpo di Sicurezza Trentino (Trientiner Sicher Ungsverband), ad opera del prefetto de Bertolini e del Gauleiter dell'Alpenvorland Franz Hofer. Dopo il bando di arruolamento si presentarono agli uffici circa 6.000 volontari, dei quali solo 2.600 vennero inquadrati nel CST, mentre gli altri vennero destinati alle unità antiaeree (Flak Abteilung). Nella prima meta del 1944, il CST venne organizzato su tre battaglioni, ognuno con quattro compagnie più una compagnia pesante. I volontari ricevettero 1'uniforme tedesca e sul braccio portavano uno scudetto con il nome dell'unita. Sempre nell'Alpenvorland, venneroformati:l'SS-Polizei Regiment Ersatz Bozen, costituitosi nel febbraio 1945 ed inviato in Slesia; 1'SS-Polizei Regiment Alpenvorland, formato nel maggio 1944 con i giovani della leva 1926 ed usato nella lotta contro i ribelli nelle zone di Edolo, Feltre e Belluno. L'SS-Polizei Regiment Brixen, costituito il 15 novembre 1944 ed inviato a combattere in Slesia contro i russi.
                    24a Wafen Gebirgs Division der SS "Karstjdger"
                    La divisione trasse origine da una speciale compagnia di truppe di montagna, l'SS KarstWehr Kompanie, formata nel luglio del 1942 con tedeschi e volksdeutsche sloveni. La formazione della compagnia fu opera del professor Hans Brandt, esperto e studioso dei territori carsici, the propose a Hinunler di costituire un'unita speciale addestrata al combattimento in zone carsiche per essere impiegata nelle regioni del Caucaso.
                    I volontari sarebbero stati paracadutati sulle montagne del Caucaso, di origine carsica, dietro le 11nee sovietiche allo scopo di distruggere le posizioni difensive nemiche.
                    Ricevuta 1'autorizzazione, Brandt si trasferì con i suoi volontari a Pottenstein, nella Germania meridionale, per iniziare le operazioni di addestramento.
                    Con 1'arrivo di nuovi volontari giovanissimi di età compresa tra i 18 e i 19 anni,l'unità raggiunse la forza di un battaglione, diventando il Waffen Gebirgs Karstjager Bataillon der SS.
                    Il primo comandante del battaglione, fu lo Standartenfiihrer Hans Brandt: essendo un'unita da montagna, i cacciatori del Carso portavano sul berretto 1'emblema della stella alpina,1'edelweiss.
                    Con la fine dell'offensiva tedesca nel Caucaso,l'alto comando delle SS destinò 1'unita alla lotta contro le formazioni partigiane slave dislocate nelle regioni carsiche tra l'Italia e la Slovenia.
                    Nell'agosto del 1943 il battaglione venne trasferito in Italia partecipando al disarmo delle forze armate italiane dopo 1'8 settembre: il 9 settembre 1'unita di Brandt venne impegnata in duri scontri contro la guarnigione italiana di Tarvisio, the non voleva cedere le armi. Dopo la caduta del fascismo, e il conseguente aumento delle attività partigiane nel Nord Italia i tedeschi decisero di aumentare la forza del Karstjager Bataillon con i Volkdeutsche del Sud-Tirolo e del litorale adriatico, ma anche con volontari italiani di Fiume, dell'Istria e della Slovenia. Inizialmente vennero arruolati alcuni italiani come interpreti e guide, poi nell'estate del 1944 vennero arruolati altri 500 friulani ed istriani, seguiti da altri 300 nel febbraio del `45. La maggior parte dei volontari italiani della divisione, per dimostrare la loro origine nazionale portavano sul braccio lo scudetto tricolore con la scritta Italia.
                    L'unita stabili il suo quartier generale a Gradisca e da dove venivano coordinate le operazioni contro le forze partigiane nel Nord-est del1'Italia.
                    II 18 luglio 19441'unita venne riorganizzata come una nuova divisione SS, la 24a Karstjager, ma visto il ridotto numero di effettivi venne ridefinita dopo qualche mese come Karstjager Brigade.
                    Sempre nel luglio del `44 venne decisa la costituzione di una compagnia corazzata, per meglio appoggiare i cacciatori del Carso nelle operazioni di rastrellamento e di distruzione dei nuclei di resistenza partigiana.
                    Per la formazione dei reparti vennero prelevati circa una novantina di jager provenienti dalla 3a compagnia del II° battaglione ai quali si aggiunsero anche altri volontari italiani provenienti dai territori dell'Ozak (Adriatisches Kiistenland). I volontari vennero inviati per 1'addestramento prima al Panzer-Ausbildungs-Abteilung-sud di Lonigo (Verona) e dopo tre mesi di corso, vennero trasferiti a Cividale (Udine). Qui trovarono i loro mezzi, circa 20 carri italiani P40, gia utilizzati da un'unita corazzata della RSI di stanza in Friuli, disciolta per mancanza di equipaggi. Alcuni carri avevano problemi meccanici per cui alla fine furono disponibili solo 13-14 mezzi per le attività operative: attività operative che furono pero molto limitate vista la naturale conformazione dei territori carsici.
                    La compagnia posta agli ordini dell'Untersturmfuhrer Behrend, venne strutturata su tre plotoni. Behrend non avendo precedenti esperienze combattive in unita corazzate delego 1'addestramento operativo ad acuni sottufficiali piu esperti, tra i quali 1'Oberscharfahrer Polz (trasferito nel novembre `44 alla Karstjager) reduce dai combattimenti in Russia ed in Normandia con il reggimento Panzer della 2a divisione SS Das Reich.
                    All'inizio di dicembre del 1944 la Brigata passo agli ordini dell'SSSturmbannfiihrer Werner Hahn. Nel gennaio del `45, con i veterani della Brigata, più altri volontari italiani e sloveni 1'unita venne ridenominata di nuovo come una divisione SS, la 24a divisione SS Karstjager: Il quartier generale della divisione fii posto a Moggio vicino a Udine.
                    L'organico della divisione comprendeva circa 4.000 uomini (febbraio 45), organizzati nei seguenti reparti:
                    59° Waffen-Gebirgsjager Regiment der SS
                    60° Waffen-Gebirgsjager Regiment der SS
                    24° Waffen Gebirgs Artillerie Regiment
                    24 SS-Gebirgs-PanzerKompanie 24 SS-Gebirgs-Pioneer-bataillon 24 SS-Gebirgs-Nachrichten Abteilung.
                    La divisione continuo ad essere impegnata esclusivamente nelle operazioni anti-guerriglia nella Carnia, diventando una delle unita più temute dai partigiani comunisti slavi, contro i quali i "Cacciatori del Carso" si scagliarono sempre con ostinata ferocia.
                    Nel febbraio del 45 giunse al comando della divisione 1'SSOberfuhrer Adolf Wagner.
                    Solo sul finire della guerra la divisione Karstjager fu impegnata in combattimento contro gli inglesi della 6a Armoured Division sulle Alpi Giulie, unico scontro nella sua storia contro le forze alleate.
                    Lo scontro avvenne alla fine di aprile, mentre i carri della Compagnia corazzata stavano tentando di ritirarsi in Austria, in prossimita del flume Torre. Senza fanteria di supporto, la colonna venne colpita dal fuoco dei pezzi anticarro inglesi mentre stava per attraversare un ponte.
                    I P.40 risposero prontamente al fuoco, costringendo gli inglesi a ritirarsi dopo la perdita di due P.40. Attraversato il fiume la compagnia riprese il cammino verso la frontiera austriaca
                    La ritirata della 24a Panzer Kompanie prosegui fino ad Aroldstein vicino Villach, dove i P40 vennero bloccati dalle truppe britanniche. Mentre la Panzer Kompanie si ritirava in Austria, gli altri reparti superstiti della divisione vennero incorporati nel Kampfgruppe Harmel, formato da unita della Wehrmacht, della Polizia tedesca e Belle SS, inclusi i resti della 7a divisione SS Prinz Eugen. 11 Kampfgrup-pe Harmel combatte lungo la frontiera meridionale tedesca fino al maggio del 1945 quando anche i resti della Karstjager si arresero alle forze inglesi.

                    La Legione SS italiana
                    La Legione SS italiana (Italienische Waffenverbande der SS) venne formata nell'ottobre 1943, come unita "Bestandteil" (affiliata) alle Waffen SS. La sua funzione era quella di raggruppare ed organizzare tutti gli italiani the intendevano continuare a combattere al fianco della Germania dopo il tradimento dell'8 settembre del governo Badoglio.
                    Dopo la liberazione di Mussolini ed il profilarsi della nascita di un nuovo stato italiano fascista (la Repubblica Sociale Italiana) nei territori non ancora occupati, il problema della formazione di nuove unità combattenti si fece subito sentire. Lo stesso Mussolini nei colloqui con Hitler a Rastenburg (14 settembre 1943) chiese la formazione di reparti di volontari italiani da inquadrare nelle Waffen SS e da utilizzare al fronte contro gli alleati. I volontari dovevano essere prelevati anche dai campi i prigionia.
                    I tedeschi accolsero la richiesta del Duce con qualche riserva: innanzitutto le formazioni dei volontari italiani dovevano essere utilizzate nella lotta contro gli italiani ribelli (partigiani) e solo dopo aver pacificato il paese queste unita sarebbero state trasferite in Germania nei centri di addestramento per prepararle al combattimento al fronte. I volontari avrebbero portato 1'uniforme italiana, con le spalline e i gradi delle SS su fondo rosso (invece del normale nero). Come primo centro di raccolta venne scelto il campo di addestramento di Miinsingen, nel Wurtemberg a 40 Km a sud di Stoccarda. Il 2 ottobre 1943, nacque così la Waffen Miliz, la Milizia Armata della Legione SS italiana.
                    L'unita combattente della Legione SS italiana venne formata con tre nuclei di volontari provenienti da località diverse: da Praga, dove c'era il reggimento di camicie nere agli ordini del console Paolo De Maria; da Miinsingen, dove dopo 1'8 settembre vennero radunati tutti i volontari italiani della exmilizia fascista e da Debica, in Polonia, dove c'era un battaglione di camicie nere con altri volontari italiani.
                    A Debica, vicino Cracovia, si costituì il battaglione piu agguerrito di SS italiane, che porterà il nome della località polacca. Tutto ebbe inizio nell'ottobre 1943 presso il campo di Feldstetten a venti km a nord-est di Miinsingen. Qui un gruppo di prigionieri italiani internati aderì alla proposta del maggiore Fortunato (ex comandante del XIX battaglione del 6' bersaglieri con il CSIR) di costituire un reparto speciale di SS italiane. Fortunato, the era stato tra i primi a schierarsi al fianco dei tedeschi, stava effettuando il giro dei campi per cercare volontari. Su 400 aspiranti ne scelse appena 38 che furono inviati subito a Mdnsingen per un primo addestramento.
                    Agli inizi di dicembre, Fortunato con il nucleo di volontari di Feldstetten, rafforzato con parecchie centinaia di altri volontari (20 ufficiali e 571 uomini), finirono in Polonia, all'SS-Truppen-Ubungsplatz Heidelager, ad est di Debica, nel governatorato generale polacco. Si trattava di una scuola speciale destinata alle SS tedesche, dove si addestravano i gruppi esploranti in appoggio alle divisioni. Molti degli ufficiali selezionati, provenivano dal 31 0 battaglione carri della divisione Lombardia, dislocata in Croazia nel settembre `43. I volontari furono addestrati molto più duramente che a Miinsingen e finirono per diventare un gruppo a se, il più germanico e il più spietato dei battaglioni SS italiani.
                    Per questa ragione 1'unità venne denominata fin dall'inizio SS Bataillon Debica, mentre tutte le altre unità della Waffen Miliz non potevano fregiarsi della dicitura SS.
                    A Praga, venne creato un altro battaglione di volontari italiani SS the dopo alcuni mesi di addestramento, fece ritorno in Italia. Si trattava del Miliz-Regiment de Maria, the nel dicembre 1943 venne stanziato a Mestre. II console Paolo de Maria, prima dell'8 settembre, comandava a Spalato, 1'89a Legione Camicie Nere aggregata alla divisione "Bergamo". Dopo 1'armistizio de Maria con tutta la legione passo ai tedeschi venendo incorporati nelle Polizei-Freiwilligen-Verbande (Truppe volontarie di Polizia) della OrdnungsPolizei tedesca prima a Belgrado e poi a Praga, come Miliz-Regiment de Maria. Composto da uomini di sicura fede fascista, ricevette un inquadramento ed un addestramento germanico.

                    Il ritorno in Italia
                    Dopo 1'addestramento i primi volontari italiani fecero ritorno in patria, a partire dalla seconda meta di novembre, dopo aver giurato fedeltà ad Adolf Hitler:
                    Di fronte a Dio presto questo sacro giuramento:
                    che nella lotta per la mia patria italiana
                    contro i suoi nemici sarà in maniera assoluta
                    obbediente ad Adolf Hitler
                    supremo comandante dell'esercito tedesco,
                    e quale soldato valoroso sarò pronto in ogni momento
                    a dare la mia vita per questo giuramento>>.
                    Alcuni vennero inquadrati nelle SS, mentre altri finirono nei battaglioni SS di polizia in qualità di collaboratori (Hilfswilligen). La maggioranza dei reparti era agli ordini di ufficiali della ex-milizia fascista. I volontari indossavano ancora le uniformi del regio esercito e della Milizia.
                    La Waffen Miliz, formazione ausiliaria delle Waffen SS, era sottoposta alle dirette dipendenze del
                    comandante delle SS e della Polizia in Italia, 1'SS-Obergruppenfiihrer Karl Wolff. Come primo comandante della Milizia venne nominato 1'SS-Brigadefiihrer Peter Hansen.
                    Nato a Santiago del Cile, Hansen 46 anni, era sotto nominato generale di Brigata il 30 gennaio 1942. Dal 25 febbraio 1943 fino al maggio dello stesso anno, fu comandante della l5a divisione SS Lettone, occupandosi della sua formazione e del suo addestramento.
                    Per motivi di salute venne sostituito al comando_dell'unita italiana temporaneamente prima dall'SSStandartenfiihrer Gustav Lombard (dal 28 ottobre al 6 dicembre) e poi dall'SS-Obersturmbannfiihrer Eugen von Elfenau (dal 6 dicembre alla fine del gennaio `44). I battaglioni della Waffen Militz provenienti da Miinsingen e da Praga, furono tredici, e una volta in Italia vennero dislocati nella pianura padana, lontano dal fronte vero e proprio, con compiti di sicurezza interna (lotta ai ribelli). Battaglione Locality Comandante Ufficiali Sottufficiali Soldati I° Milano Primo Seniore della Milizia Carlo Federigo degli Oddi 25 99 568 II° Milano Maggiore Vittorio Gori 28 100 573 III° Milano Tenente colonnello Giorleo 2 5 100 573 IV° Torino Maggiore Ereno Giona sostituito poi dal Maggiore Del Soldato 27 56 617 V Bologna Maggiore Giorgio Marzoli 31 47 624 VI° Cuneo Capitano Tullio Traverso 30 101 576 VII' Casale Maggiore Michele Michelini 28 85 576 VIII° Como (Lecco) Maggiore Carlo Pace 26 100 573 IX' Lucca Seniore Francesco Tognetti 30 99 574 X° Trieste Seniore Valentino Fracasso 29 96 384 XI° Aosta Primo Seniore Gilberto Fabris 31 72 371 Ufficiali Ferrara Colonnello Luigi De Pietri Tonelli 634 24 136
                    Un tredicesimo battaglione, costituito da volontari ritenuti non idonei al combattimento, all'arrivo in Italia, venne messo a disposizione della Polizia Tedesca, come "nucleo lavoratori".
                    I tre battaglioni (1°,11° e III') dislocati a Milano, con una compagnia di comando reggimentale (34 ufficiali, 34 sottufficiali e 339 soldati) formarono il 1 ° reggimento della Milizia armata (Waffen mi
                    litz) agli ordini del Console della milizia Paolo De Maria.
                    Oltre a questi 8.585 volontari (976 ufficiali, 1.013 sottufficiali e 6.596 soldati) c'era anche to Stato Maggiore italiano della Waffen Militz italiana, dislocato a Vago (VR) agli ordini del tenente colonnello De Paolis, costituito da 13 ufficiali, 45 sottufficiali e 136 soldati.
                    Il VI' battaglione di stanza a Cuneo, fu il primo ad essere impiegato contro i ribelli. 119 dicembre venne aggregato ad un reparto tedesco e mandato all'attacco contro i partigiani di Boves, the si erano arroccati a Vinadio, in Valle Stura. Dopo un giorno e mezzo di duri combattimenti, le SS italiane e i tedeschi ebbero ragione della resistenza dei ribelli the vennero dispersi. Il battaglione delle SS italiane, lamento la perdita di due nomini ed un ferito grave.
                    Il battaglione "Debica" sbarco a Pinerolo (fine febbraio 1944), dopo tre mesi di addestramento, insediandosi nella ex-caserma degli alpini il 12 marzo gli uomini ricevettero nuove uniformi originariamente destinate ai paracadutisti tedeschi.
                    II battaglione era sempre agli ordini del Waffen Sturmbannfuhrer Fortunato, e le tre compagnie di cui era composto erano agli ordini dei Waffen Hauptsturmfuhrer Cantarella, Dal Dosso e Premuda. L'unita venne impegnata subito in azioni contro i ribelli.1121 marzo 1944, il Debica venne inviato nella Val Pellice a sud di Torino, per prendere parte all'operazione anti-partigiana "Sparber", insieme con un battaglione del 15° Reggimento di Polizia SS e alcune units della RSI. Dopo 1'operazione Sparber il Debica rimase in Val Pellice fino al 12 aprile 1944.

                    Sturmbrigade der Italienische Freiwilligen Legionen
                    Nel gennaio del 1944, con alcuni elementi dell'unita di comando della Waffen Miliz, venue costituito lo Stato Maggiore delle Legioni Volontari italiani agli ordini di von Elfenau, promosso per l'occasione SS-Standartenfiihrer; questo nuovo organo militare si doveva occupare innanzitutto di organizzare una nuova unità combattente prelevando gli elementi migliori dalla Milizia Armata e reclutando nuovi volontari.
                    Sempre in seno alla Legione SS italiana, venue formato 1'Ispettorato Armi pesanti, the doveva provvedere all'addestramento e alla formazione delle unità di artiglieria. Composto da personale tedesco, fu posto agli ordini dell'SSobersturmbannfiihrer Konstantin Heldman.
                    Furono sottoposti alle dipendenze dell'ispettorato Armi Pesanti un Gruppo d'artiglieria, agli ordini del maggiore Carlo Pace, ed un Gruppo Anticarro agli ordini del maggiore Pietro Mannelli.
                    II 9 febbraio 1944 venne formata la la Brigata d'assalto (1.Sturmbrigade der Italienische Freiwilligen Legionen), agli ordini dell'SS-Brigadefiihrer Hansen.
                    Non era ancora una very units Waffen SS; infatti i volontari ita- liani usavano ancora i gradi della Wehrmacht e portavano sull'uniforme mostrine a sfondo rosso anzichè nero.
                    L'uniforme dei volontari era un mix italio-tedesco. L'equipaggiamento in generale era scarso e vario, frutto delle rimanenze dei magazzini tedeschi e italiani. La giubba era quella italiana, i pantaloni erano di vario tipo, c'erano quelli rotondi (rundbundhosen) dei paracadutisti o quelli del regio esercito; qualche volontario portava il cinturone germanico con aggancio centrale; i gradi e le mostrine erano tedesche, di colore rosso (diventeranno nere solo per i volontari the combatterono in prima linea). Gli elmetti erano quelli del regio esercito con la sigla Belle SS dipinta in vernice bianca.
                    Come gli altri volontari stranieri, sul braccio gli italiani portavano uno scudetto tricolore con la scritta Italia, oppure un aquila con il fascio littorio, per evidenziare la propria nazionalità.
                    La Brigata d'assalto italiana era organizzata su due reggimenti (ognuno con tre battaglioni): Il 1 ° reggimento (I°, II° e III' batt.) fu posto agli ordini del colonnello Peghini. Il 2 ° reggimento era invece agli ordini del colonnello Enzo Celebrano.
                    Il 6 marzo 1944 Himmler stabili the "gli; italiani the avevano prestato giuramento al Fuhrer e combattevano nelle SS o nella Wehrmacht, potevano ricevere tutte le decorazioni come i soldati tedeschi.
                    Dal marzo 1944 entrarono in funzione in tutto il territorio della Repubblica Sociale Italiana, i centri di arruolamento delle SS italiane gestiti dell'ispettorato delle Legioni volontari italiani, al cui vertice c'erano il Waffen GeneralMajor der SS Piero Mannelli e 1'SS-oberfiihrer Erich Tschimpke: 29 uffici principali e 6 secondari. I muri Belle citta italiane vennero invasi dai manifesti che incitavano gio- vani ad arruolarsi nella Waffen SS per 1'onore della patria e per continuare la lotta al fianco dei camerati tedeschi; anche sui giornali apparvero i bandi di arruolamento.
                    Fronte di Anzio e Nettuno
                    Il 17 marzo 1944 i volontari italiani SS parteciparono alla controffensiva tedesca nel settore di Anzio e Nettuno per contrastare le truppe alleate ivi sbarcate. Lo stesso Mussolini in persona, aveva fatto pressione per 1'intervento dei volontari italiani al fronte. Il primo contingente comprendeva il II° battaglione del 1 ° reggimento denominato "Vendetta", forte di 650 uomini, the vennero suddivisi tra i vari reparti tedeschi, nel settore del Canale Mussolini, Borgo Podgora e Borgo Carso.
                    Al comando del battaglione "Vendetta" c'era il primo seniore della Milizia Carlo Federiggo Degli Oddi. Prima dell'8 settembre, aveva partecipato per trenta mesi alla lotta contro i ribelli in Bosnia, Croazia e Dalmazia; dopo si affianco subito ai camerati tedeschi prendendo parte con il proprio battaglione alle operazioni della 114a Divisione Jager.
                    Sul numero 4 di Avanguardia, il giornale delle SS italiane, dell'8 aprile 1944, comparve il primo articolo relativo all'impegno sul fronte laziale:
                    "Sul fronte di Nettuno, nel corso di azioni di battaglie e di tentativi di infiltrazione del nemico, unità della Legione SS italiana hanno decisamente contrattaccato ristabilendo prontamente la situazione precedente. I volontari della nuova Italia, alla prova del fuoco, hanno dimostrato eccellente spirito combattivo e ottimo morale".
                    I legionari italiani restarono a combattere senza ricevere mai il cambio, in una guerra di posizione accovacciati in buche umide a causa del fondo paludoso del terreno: agguati, imboscate e lotta all'arma bianca si susseguirono per nove settimane su un fronte di cinque chilometri e mezzo.
                    Equipaggiati con il normale armamento di fanteria italiano (moschetto modello '91), e qualche mitra Beretta, contro le forte alleate dotate di armi automatiche e appoggiate dai mezzi corazzati, le SS italiane respinsero tutu gli assalti nemici pagando pero un alto tributo di sangue.
                    Alla fine degli scontri, le SS italiane lamentavano la perdita di 340 uomini, oltre il 50% degli effettivi; ci furono anche dispersi e prigionieri. I superstiti ebbero come ricompensa da parte dei tedeschi 22 Croci di ferro di seconda classe e 52 promozioni sul campo; da parte di Mussolini 10 medaglie d'argento piu la medaglia al gagliardetto del battaglione. Inoltre ai volontari the si erano battuti al fronte, con un ordine che venne ufficializzato solo il 7 settembre 1944, venne concesso di portare le mostrine nere delle SS al posto di quelle rosse e venne introdotta la terminologia dei gradi in uso nelle Waffen SS. L'alto valore dimostrato in combattimento, aveva trasformato agli occhi dei nazisti, i volontari italiani in vere Waffen SS.
                    II 27 aprile 1944 la Brigata d'assalto italiana venne trasformata in Brigata italiana granatieri SS (Waffen Grenadier Brigade der SS) una unità speciale da impiegare nelle zone piu calde del fronte. Per 1'addestramento degli ufficiali e sottufficiali venne ordinato il lore trasferimento nelle scuole delle Waffen SS in Germania e nell'Europa occupata.
                    Nel maggio 1944, la Brigata Granatieri sub! altre trasformazioni. Il 10 maggio giunse al comando del1'unita 1'SS-Oberfiihrer Otto Jungkunz. L'organico dei due reggimenti di fanteria venne ridotto a due soli battaglioni, con 1'aggiunta pero di una compagnia cannoni per ognuno di essi.
                    Scontri con i ribelli
                    Dopo la breve parentesi sul fronte di Anzio, i volontari SS ritornarono alla lotta contro i partigiani. II 12 giugno 1944, truppe nazi-fasciste circondarono i monti del Verbano, vicino al Lago Maggiore, con presidi e posti di blocco sulle strade principali. L'operazione venue condotta da reparti di SS tedesche, Alpenjager, volontari mongoli e georgiani, battaglioni della G.N.R. e reparti di SS italiane. Inoltre c’era l'appoggio delle artiglierie Pesanti, di reparti blindati e dell’aviazione L’attacco iniziò in Val Grande. Il rastrellamento terminò dopo diciotto giorni, il 30 giugno: la metà dei ribelli del Verbano venne eliminata mentre le perdite italo-tedesche furono quasi nulle.
                    Nel giugno i superstiti del “Debica” furono ritirati al nord per essere aggregati al gruppo Goritz, insieme ad alcuni reparti della 162° divisione di fanteria turkestana, combattendo vicino Orbetello e al lago di Bolsena. Una parte del Battaglione venne utilizzata poi contro gli alleati lungo la costa tirrenica, e allo stesso tempo contro le forze partigiane nelle retrovie del fronte.
                    Il 16 luglio 1944, i superstiti del battaglioni, circa 200 uomini, vennero ritirati a Firenze ed aggregati all'Armee Abteilung von Zangen per partecipare alla difesa della Linea Gotica. Da Firenze il Battaglione venne inviato a Forlimpopoli ad est di Bologna.
                    L'unita fece ritorno poi a Pinerolo, per essere riorganizzata. Qui prese parte all'operazione Nachtingall nelle Valli Chisone e Susa. Il 7 settembre dopo la trasformazione della Brigata d'assalto in Waffen Grenadier-Brigade der SS (Italienische Nr.l), il battaglione Debica venne ridisegnato come Waffen-Fusiliers Bataillon der SS 59, agli ordini dell'Hauptmann der schutzpolizei Friederich Noweck, gia ufficiale di collegamento presso il Battaglione.
                    Il 25 agosto 1944 subentrò al comando della Brigata 1'SS-Standartenfiihrer Konstantin Heldman, gia comandante del Reparto Armi Pesanti della Legione SS italiana. Agli inizi dell'ottobre 1944, Kesserling comandante delle forze armate tedesche in Italia, invio un telex a tutti i comandi militari in Italia e quindi anche alla Brigata SS italiana, per incentivare la ripresa delle operazioni contro le bande partigiane le cui attività andavano sempre più intensificandosi. Vennero dunque organizzate operazioni per eliminare i ribelli dalla Lombardia e dal Piemonte.
                    II Debica venne impegnato nell'operazione Strassburg, aggregato al Kampfgruppe Noweck, e all'operazione Worwarts (dal 9 ottobre fino al 6 novembre) contro le forze partigiane della repubblica della Val d'Ossola. II battaglione Debica, rastrello i paesi e i boschi della Val Vigezzo fino al confine con la Svizzera, insieme a uomini della polizia tedesca, a reparti di fanteria della Wehrmacht, tre battaglioni della GNR e due compagnie della Decima Mas.
                    Quando le altre formazioni rientrarono, le SS italiane continuarono il rastrellamento passando al setaccio la Val Formazza, nell'alta Val D'Ossola.
                    Dopo i rastrellamenti, il grosso della Brigata SS venne trasferita nel Comasco, per partecipare alla preparazione del "ridotto della Valtellina": i tedeschi avevano deciso di fortificarsi in Valtellina per l'ultima difesa sul fronte italiano contro le avanzanti forze alleate. Prima del trasferimento, alcuni reparti effettuarono duri rastrellamenti nelle valli alpine ed in pianura, alla ricerca di partigiani e di depositi di munizioni.
                    La Brigata venne suddivisa in varie località della Brianza, poste a pochi chilometri Tuna dall'altra: il comando generale si installo ad Alzate Brianza.
                    Il Kampfgruppe Binz
                    All'inizio di dicembre del 1944, gli alleati erano ormai a pochi chilometri dalla Valle Padana e da Milano: i tedeschi, the non potevano far altro the ritirarsi, ordinarono un'ennesima operazione di "pulizia" delle retrovie, per mantenere intatte le vie di comunicazione. L'operazione venne affidata ai due battaglioni delle SS italiane the avevano gia combattuto sul fronte laziale: il Debica e il Vendetta. I due battaglioni vennero riuniti in un kampfgruppe (gruppo di combattimento) che venne denominato Binz, dal nome del comandante tedesco che lo guidava: 1'Obersturmbannfnhrer Franz Binz. Vennero incorporate nell'unita anche una colonna di autocarri, una Batteria di cannoni 75/40, un plotone servizi, un plotone pionieri e un plotone collegamenti. Binz installò il comando a Piacenza, dislocando i due battaglioni (giunti dal comasco in treno e in autocarro) lungo i due corsi d'acqua che scendono dall'appennino: il Debica nella valle del torrente Nure e il Vendetta in quella del fiume Trebbia.
                    I tedeschi avevano suddiviso 1'Italia settentrionale in varie zone operative: 1'Armata della Liguria (Armee Ligurien), nella quale erano comprese anche i reparti delle SS italiane, era responsabile dell'area ligure-piemontese-lombarda, comprese le alpi occidentali. Malgrado il clima di sfacelo imminente di tutto il fronte il 9 marzo 1945, la Brigata SS italiana venne trasformata in una nuova divisione SS, diventando ufficialmente la 29a Waffen-Grenadier Division der SS (italienische nr.1). Il numero 29 era stato gia assegnato ad un'altra unità SS formata da volontari russi, the era stata disciolta (La Brigata Kaminski).

                    La divisione comprendeva i seguenti reparti (tra parentesi i comandanti):
                    • Stab. Kompanie (compagnia comando)
                    • 8I.Waffen Grenadier Regiment der SS (colonnello Carlo Federigo degli Oddi)
                    • Compagnia comando reggimentale
                    • Compagnia cannon
                    • I Battaglione Debica, (capitano Cantarella)
                    • II Battaglione Nettuno (maggiore Remo Buldrini)
                    • 82.Waffen Grenadier Regiment der SS (colonnello Enzo Celebrano)
                    • I Battaglione (maggiore Sergio Bianchi)
                    • II Battaglione (tenente colonnello Armando Giorleo)
                    • 29.Waffen Artillerie Regiment der SS (maggiore Carlo Pace) Batteria Comando
                    • I° Gruppo (2 batterie con 4 pezzi da montagna 75/18)
                    • II° Gruppo (2 batterie con 4 pezzi da montagna 75/18)
                    • 29.Waffen Panzerjager Abteilung<o></o>
                    • der SS (maggiore Pietro Martinelli)
                    • 1a batteria Anticarro (6 PAK tedeschi da 75mm)
                    • 2a batteria Anticarro (6 pezzi da 47mm)
                    • 3a batteria Anticarro (6 pezzi da 47mm)
                    • 4a Compagnia Antiaerea (6 mitragliatrici da 20mm)
                    • 5a Compagnia Antiaerea (6 mitragliatrici da 20mm)
                    • 29.Waffen Fusiliers Bataillon der SS (maggiore Paolo Comelli)
                    • 29. Waffen Feldersatz Kompanie der SS -compagnia complementi (capitano Fausto Catasta). 29.Waffen Pionier Kompanie der SS -Compagnia Genio Pionieri, (SSHauptsturmfiihrer Rolf Lochmiiller).
                    • 29.Waffen Nachrichten Kompanie der SS -Compagnia Trasmissioni,(capitano Giovanni Moioli). 29.Waffen Sanitats Kompanie der SS -compagnia di sanita (capitano Roberto Offner).
                    • 29.Waffen Veterindr Kompanie der SS -compagnia veterinari, (capitano Aldo Guidi).
                    • 29.Waffen Versorungs Regiment der SS -Reggimento di supporto, (maggiore Giovanni Frattini). 29.Waffen Offizier Ausbildungs Bataillon der SS -Reggimento addestramento, Ufficiali, (tenente colonnello Bedotti).
                    • All'inizio di aprile del 45, il I° battaglione dell'82° reggimento venne sciolto. Al suo posto doveva subentrare il battaglione in addestramento a Rodengo-Saiano, ma la fine della guerra colse 1'unita ancora in addestramento e gli uomini vennero aggregati al kampfgruppe "Thaler".
                    Il II battaglione dell'81° Reggimento assunse la denominazione "Nettuno", dopo la consegna della medaglia d'argento al gagliardetto del battaglione i12 3 novembre 1944.
                    Con 1'avanzata delle truppe alleate, i legionari SS continuarono la loro lotta ai ribelli per difendere le retrovie alle forze tedesche. Dalla Germania iniziarono ad arrivare altri reparti di volontari SS di ritorno dai campi di addestramento: alcuni vennero concentrati in Piemonte, a Barengo e nelle frazioni vicine. Venuti a contatto con la realta della guerra civile, la maggior parte dei nuovi volontari preferi disertare, ritenendo ormai inutile continuare a combattere.
                    Il battaglione Debica si trovava in Val d'Arda, una zona sulla quale incombeva 1'offensiva alleata e dove 1'attività partigiana si faceva sempre più intensa. Il battaglione aveva piazzato molti presidi nei piccoli paesini di collina per sorvegliare le strade; durante i rastrellamenti 1'unita subì ed inflisse perdite. Anche il Vendetta si impegno in duri rastrellamenti nell'area the andava dalla bassa piacentina fino al Passo Pence, riportando notevoli perdite.
                    II battaglione delle SS italiane del maggiore Pace, di stanza a Lecco, venne spostato nella zona di Sondrio per congiungersi con i miliziani francesi di Darnand (fuggiti dalla Francis dopo la liberazione) e alle altre unità fasciste.
                    Il 20 aprile, il "Debica" era ancora attestato nella valle del Nure: i legionari avevano scavato trincee, piazzato cannoni, creato sbarramenti per frenare gli alleati che erano già giunti a Parma. Il "Vendetta" invece, era attestato a Rivergaro, venti chilometri a sud di Piacenza con il compito di impedire ai partigiani di scendere a valle.
                    Nel comasco tutte le unità vennero messe in allarme: il colonnello Celebrano, comandante del 2° reggimento della 29a divisione SS italiana, aveva inviato pattuglie in tutta la Brianza e su tutte le strade che portavano a Lecco, Como e Milano.
                    La fine
                    Il 25 aprile, Franz Binz ordino la ritirata ai suoi legionari, nello stesso momento in cui Mussolini stava andando a Milano a trattare, tramite il cardinale Schuster, con il Comitato di Liberazione Nazionale.
                    Durante la ritirata, gli uomini del Binz, a Santo Stefano attaccarono un gruppo partigiano che teneva prigionieri 350 fascisti e si impossessarono di dodici autocarri per poi proseguire verso Somaglia. Sempre nella giornata del 25 aprile, a Vighizzolo di Cantu, nel comasco, i partigiani attaccarono un reparto del genio delle SS italiane, composto da circa 80 uomini: dopo un breve ma intenso combattimento i legionari si arresero. In loro aiuto giunsero da Alzate e da Brenna due autocarri con SS italiane e tedesche e dopo un'altra sparatoria con morti e feriti da entrambe le parti, i partigiani ebbero la meglio.
                    Ad Alzate Brianza il Colonello Celebrano firmo la resa del suo presidio, e dopo di lui ad uno ad uno tutti i vari presidi della Brianza e del Lecchese si arresero.
                    Il Kampfgruppe Binz, giunto a Somaglia, bersagliato dall'aviazione alleata, tentò di raggiungere la Brianza, ma il giorno 30 a Gorgonzola, i carri armati americani gli sbarrarono la strada: Franz Binz si arrese con quasi tutti i ranghi del battaglione "Debica".

                    Bibliografia
                    • D. LittleJohn, Foreign Legion of the Third Reich, Bender Publ. - F. Duprat, Storia delle SS, Ritter editrice
                    • E. Zucconi, SS italiane, Novantico editrice
                    • S. Corbatti e M. Nava, Sentire-pensare-volere. Storia della

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                    • ma_75
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                      Alla conclusione del libro, devo dire che l'immagine che mi rimarrà più impressa è quella del bombardamento di Tokyo. Non diverasmente dai raid sulle città tedesche, sul finire della guerra, al solo scopo di seminare il terrore, essi avevano un obiettivo dichiaratamente civile. Non impianti industriali, non centri di potere, ma solo vittime: il maggior numero possibile, nel modo più atroce. Il panico, unico obiettivo. Gli USA sono i maestri della doppia morale, ma, su questa vicenda, hanno ammesso candidamente che

                      "Se avessimo perso saremmo stati perseguiti come criminali di guerra"

                      (gen. LeMay, ideatore della campagna di bombardamento strategico sul Giappone)




                      Un singolo bombardamento, tra il 9 e il 10 marzo del 1945, contro un nemico ormai imbelle, al punto che le mitrgliatrici dei B29 furono smontate per lasciare spazio ad un maggior numero di bombe. Bombardieri armati di bombe al fosforo bianco, cluster incendiarie, al magnesio. 100.000 morti in un singolo bombardamento. Una città costruita in legno, praticamente distrutta. L'odore della carne bruciata che arrivava in alto, nella cabina degli aerei.

                      Questa la testimonianza di un giornalista francese

                      "Iniziarono a bombardare nuovamente, seminando il cielo di tracce di fuoco. Scoppi di luce balenarono dappertutto nell'oscurità come alberi di Natale, alzando le fiamma alte nella notte per poi precipitare di nuovo a terra in una tempesta di scintille. Tre quarti d'ora dopo le prime incursioni, il fuoco, frustato dal vento cominciò a far divampare quella città di legno come un falò. Le scintille precipitando lungo i tetti come una rugiada in fiamme, appiccavano il fuoco a tutto ciò che incontravano sul loro cammino. Era la prima comparsa del napalm. Crollarono, sotto l'impatto delle bombe, le fragili case fatte di legno e di carta, illuminate dall'interno come lanterne colorate."
                      In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                      ma_75@bodyweb.com

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                      • Sean
                        Csar
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                        • In piedi tra le rovine
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                        Immagini e parole agghiaccianti, neppure mitigate, nella loro portata, dalla candida ammissione di quel generale.
                        D'altra parte gli americani ci hanno abituato a tenere in spregio ogni simbolo di civiltà, il più alto della quale è Roma, ma neppure la capitale fu risparmiata, e non per colpire chissà quali postazioni militari o strategiche, ma quartieri residenziali e chiese, tra cui l'anitichissima basilica di San Lorenzo (tremila morti, in quel 19 Luglio del '43).
                        Lo stesso Vaticano rischiò la distruzione (alcune bombe sfiorarono la confessione di San Pietro, mandando in frantumi i vetri e rovinando appena dietro l'abside michelangiolesca), nonostante il papa ebbe ad ammonire che chi avesse osato colpire Roma si sarebbe macchiato di "matricidio".
                        Si fa molto parlare dei "barbari" nazisti, ma guarda caso furono gli unici a lasciare intatta l'Urbe alla loro partenza, neppure un ponte fu toccato, quando ancora oggi la propaganda favoleggia di chissà quali piani di distruzione.
                        La propaganda e le sue fole da un parte, mentre dall'altra abbiamo l'orrore perfettamente compiuto da quelle genti senza alcun senso dell'umanità e della storia.
                        ...ma di noi
                        sopra una sola teca di cristallo
                        popoli studiosi scriveranno
                        forse, tra mille inverni
                        «nessun vincolo univa questi morti
                        nella necropoli deserta»

                        C. Campo - Moriremo Lontani


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                        • ma_75
                          Super Moderator
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                          Sono finalmente riuscito a leggere Cuori neri. Un testo veramente molto ben scritto, storicamente accurato e umanamente partecipe. Non un freddo resoconto, ma una presa diretta di quegli anni formidabili.
                          Tanti gli spunti di riflessione. Per ora mi preme sottolineare quello delle singolari traiettorie da allora ad oggi dei tanti reduci, di quelli che si definiscono sopravvissuti. Traiettorie, talvolta, regolari, talatra incredibilmente curve, fino a divenire quasi dei cerchi chiusi su sè stessi.
                          Da Gasparri e La Russa, le cui vite sfilano affianco a Recchioni ad Acca Larentia, a Fini, già allora distaccato e freddo, al punto da finire insieme a Urso nella lista nera di Fioravanti e di cui Morsello poteva dire che "già allora non era fascista e si vedeva".
                          E poi quello che non ti aspetti, Pecorella, ex avvocato di Berlusconi che difende quelli di Potere Operaio e legittima le uccisioni di giovani neri, perchè uccidere un fascista non è reato. A Spazzali, avvocato dei socialisti di Tangentopoli e allora esagitato di LC, per non parlare di Panella che da LC ora confeziona untuosi servizietti berlusconiani su Studio Aperto.
                          A tale proposito trovo molto stimolanti le riflessioni di Fiorvaanti, quando dice che è contrario a questo culto dei martiri, perchè esso finisce per essere il culto di chi non c'è più, come se questo stesso fatto, da solo, nobilitasse un animo che, magari, nel tempo, si sarebbe evoluto diversamente.
                          Insomma, se allora fose morto, al posto di Recchioni o di Mantakas o di Ramelli, Gasparri, ora avremmo lui come martire e uno degli altri come lacchè di Berlusconi?
                          Una domanda senza risposta.
                          In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                          ma_75@bodyweb.com

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                          • THE ALEX
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                            Originariamente Scritto da ma_75 Visualizza Messaggio
                            Sono finalmente riuscito a leggere Cuori neri. Un testo veramente molto ben scritto, storicamente accurato e umanamente partecipe. Non un freddo resoconto, ma una presa diretta di quegli anni formidabili.
                            Tanti gli spunti di riflessione. Per ora mi preme sottolineare quello delle singolari traiettorie da allora ad oggi dei tanti reduci, di quelli che si definiscono sopravvissuti. Traiettorie, talvolta, regolari, talatra incredibilmente curve, fino a divenire quasi dei cerchi chiusi su sè stessi.
                            Da Gasparri e La Russa, le cui vite sfilano affianco a Recchioni ad Acca Larentia, a Fini, già allora distaccato e freddo, al punto da finire insieme a Urso nella lista nera di Fioravanti e di cui Morsello poteva dire che "già allora non era fascista e si vedeva".
                            E poi quello che non ti aspetti, Pecorella, ex avvocato di Berlusconi che difende quelli di Potere Operaio e legittima le uccisioni di giovani neri, perchè uccidere un fascista non è reato. A Spazzali, avvocato dei socialisti di Tangentopoli e allora esagitato di LC, per non parlare di Panella che da LC ora confeziona untuosi servizietti berlusconiani su Studio Aperto.
                            A tale proposito trovo molto stimolanti le riflessioni di Fiorvaanti, quando dice che è contrario a questo culto dei martiri, perchè esso finisce per essere il culto di chi non c'è più, come se questo stesso fatto, da solo, nobilitasse un animo che, magari, nel tempo, si sarebbe evoluto diversamente.
                            Insomma, se allora fose morto, al posto di Recchioni o di Mantakas o di Ramelli, Gasparri, ora avremmo lui come martire e uno degli altri come lacchè di Berlusconi?
                            Una domanda senza risposta.
                            Troppe cose da dire e troppo poco tempo a disposizione.....spero di trovare una decina di minuti nel pomeriggio per rispondere anche alla domanda senza risposta
                            « Success is my only mothafuckin' option,failure's not.... »

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                              Originariamente Scritto da ma_75 Visualizza Messaggio
                              Sono finalmente riuscito a leggere Cuori neri. Un testo veramente molto ben scritto, storicamente accurato e umanamente partecipe. Non un freddo resoconto, ma una presa diretta di quegli anni formidabili.
                              Tanti gli spunti di riflessione. Per ora mi preme sottolineare quello delle singolari traiettorie da allora ad oggi dei tanti reduci, di quelli che si definiscono sopravvissuti. Traiettorie, talvolta, regolari, talatra incredibilmente curve, fino a divenire quasi dei cerchi chiusi su sè stessi.
                              Da Gasparri e La Russa, le cui vite sfilano affianco a Recchioni ad Acca Larentia, a Fini, già allora distaccato e freddo, al punto da finire insieme a Urso nella lista nera di Fioravanti e di cui Morsello poteva dire che "già allora non era fascista e si vedeva".
                              E poi quello che non ti aspetti, Pecorella, ex avvocato di Berlusconi che difende quelli di Potere Operaio e legittima le uccisioni di giovani neri, perchè uccidere un fascista non è reato. A Spazzali, avvocato dei socialisti di Tangentopoli e allora esagitato di LC, per non parlare di Panella che da LC ora confeziona untuosi servizietti berlusconiani su Studio Aperto.
                              A tale proposito trovo molto stimolanti le riflessioni di Fiorvaanti, quando dice che è contrario a questo culto dei martiri, perchè esso finisce per essere il culto di chi non c'è più, come se questo stesso fatto, da solo, nobilitasse un animo che, magari, nel tempo, si sarebbe evoluto diversamente.
                              Insomma, se allora fose morto, al posto di Recchioni o di Mantakas o di Ramelli, Gasparri, ora avremmo lui come martire e uno degli altri come lacchè di Berlusconi?
                              Una domanda senza risposta.

                              forse ce la faccio a rispondere adesso....

                              Allora....che il libro meritasse veramente,te l'avevo detto mesi fa,così come avevo detto che è un libro "pericoloso",forse proprio per il modo in cui è stato scritto.

                              "Percorsi"...ce ne sono alcuni che non mi sorprendono.Fini gasparri & co.sono sempre rimasti "coerenti".Erano politici pragmatici all'inizio quando tutti erano idealisti romantici e lo sono rimasti nel tempo.Diverso invece il percorso di Gianni Alemanno che ancora oggi,porta al collo la celtica di Paolo.

                              Per quanto riguarda il discorso di Giusva,sono in totale disaccordo.E' vero,noi "parliamo con i morti",abbiamo il culto dei martiri ma proprio grazie a questo,è un culto di "chi c'è ancora",non di chi non c'è più.E' anche e soprattutto grazie al sangue dei fratelli se oggi,NOI esistiamo ancora,ed il minimo che si possa fare,è ricordarli e farli essere presenti.

                              La risposta alla domanda senza risposta la trovi all'inizio....se a morire sono stati Stefano,Paolo,Sergio e non i vari fini e gasparri,non è casuale.Loro non sono "sopravvissuti",i sopravvissuti ci sono ma sono altri e sicuramente non li trovi a fare i lacchè di berlusconi.
                              « Success is my only mothafuckin' option,failure's not.... »

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                              • ma_75
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                                Ecco questo è un aspetto che nel libro emerge poco. Credo, anche per una precisa volontà degli intervistati e mi riferisco ai vari Gasparri, La Russa..., si tenda ad appiattire quella generazione in un tutto indistinto in cui tutti facevano le stesse cose, correvano gli stessi rischi, in cui i destini individuali fossero intercambiabili al punto che, al posto di un morto, ci sarebbe potuto essere uno qualunque dei sopravvissuti. E' possibile che sia un modo, per chi è uscito imborghesito da quegli anni, per potere far propria una memoria, per proporsi come erede di certi ideali. Ma credo che le lotte interne al movimento, già allora, tra MSI e fuoriusciti, tra TP e Nar, dimostrino quanto diverse fossero le anime della destra. Chi è rimasto è, forse, proprio chi ha scelto un basso profilo, chi ha evitato di andare in prima linea. Allora appare piuttosto speculatorio l'atteggiamento di chi avoca a sè una contintuità, quel dire "c'ero anche io, sarei potuto essere al suo posto".
                                In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                                ma_75@bodyweb.com

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