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Considerazioni sul Fascismo (astenersi dalle frasi fatte e motivare!)
Italia pluri-etnica, pluri-religiosa, pluri-culturale, i tre comandamenti guida dell'Occidente disvaloriale e anti-identitario, dell'Occidente delle plutocrazie, delle banche, del denaro come unico dio, della finanza tosa pecore, dell'uomo come prodotto, del mercimonio di coscienze e idealità, della fatal-democrazia eterodiretta, che lo sta strangolando, l'Occidente di tutto ma non della gente, che non conta più nulla, il sogno messianico che gli amanti del patto atlantico e di Sion non possono non applaudire, e che trova ora, in Italia, quel Fini che la kippà è da un pezzo che l'ha indossata, quel Fini che è stato allevato per questo;
se preghiamo perchè la cancrena dell'Occidente e dell'Italia esploda, finalmente, e rovini su se stessa.
Come spesso accade, non posso che farti i complimenti e quotare quanto hai scritto.
Pull me under Pull me under
Pull me under I’m not afraid
All that I feel is honor and spite
All I can do is set it right
Gli ebrei d'Italia:
vietate il raduno delle destre
Forza Nuova rilancia con due nuove iniziative
MILANO — Da mezza Europa arriveranno i gruppi dell'estrema destra neofascista. E dall'Europa, ieri, è giunta la più decisa protesta contro il raduno organizzato da Forza Nuova a Milano. Cinquantacinque europarlamentari hanno aderito all'appello dell'Associazione partigiani affinché la riunione di domani sia vietata. Cinquantacinque firme che hanno un peso specifico importante tra le oltre 20 mila già raccolte. Ancor più dura la posizione delle Comunità ebraiche italiane: quell'incontro «è una sfida contro i fondamenti democratici dello Stato italiano». Forza Nuova però rilancia: oltre al convegno «Popoli e tradizione contro banche e poteri forti», ha annunciato, sempre per domani a Milano, altre due iniziative. Una davanti alla basilica di Sant'Ambrogio, l'altra in piazza Affari. Manifestazioni non autorizzate (anche perché non è stato chiesto alcun permesso). Ma che l'area antagonista legge come «l'ennesima, intollerabile provocazione».
Il rischio di tensione resta alto, tanto che il dispositivo di ordine pubblico
prevede l'impiego di oltre 1.300 uomini tra polizia e carabinieri. Dovranno isolare l'hotel Dei Cavalieri, in piazza Missori, che ospita il raduno di Forza Nuova, e sorvegliare l'intero centro di Milano per evitare contatti con i gruppi che protesteranno (previsto l'arrivo di 2-4 mila persone). L'Anpi ha invitato la città a «commemorare le vittime del nazifascismo». Ad aprire la protesta in piazza sarà proprio l'associazione partigiani, la stessa con cui sfilò l'allora candidato sindaco Letizia Moratti il 25 Aprile 2006, accompagnando in corteo il padre, medaglia d'argento della Resistenza. Sul raduno di Forza Nuova, il sindaco ha spiegato: «Sono manifestazioni di idee, e salvo che non ci sia un problema di ordine pubblico non mi sento di intervenire».
Il presidente delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, chiede però un intervento delle istituzioni contro «un evento pericoloso sul piano ideologico e politico, del quale non viene negata l'ispirazione razzista. I principi della Costituzione, oltre che declamati, devono essere applicati senza incertezze o valutazioni di opportunità». Per evitare la presenza a Milano di Front national, British national party e Proti grammi (cipriota), hanno firmato 55 eurodeputati appartenenti a 5 gruppi parlamentari sui 7 presenti a Bruxelles: «Un messaggio — spiega Vittorio Agnoletto, Prc/Sinistra europea — che testimonia come il sentimento antifascista sia patrimonio comune del continente».
Ieri studenti e centri sociali hanno manifestato davanti alla prefettura, chiedendo che «il convegno eurofascista non abbia spazio». Domani saranno in piazza della Scala con un «happening culturale». E ieri, all'Hotel Dei Cavalieri che affitterà la sala a Forza Nuova, sono arrivate le prime telefonate di disapprovazione. Rispondono all'appello «al boicottaggio» lanciato in Internet.
04/04/2009 - Forza Nuova rilancia con due nuove iniziative
Poi, quando avrò un pò di tempo e raccolto del materiale, vorrei scrivere due righe sugli ebrei in Italia sotto il Fascismo, perchè credo sia una fase storica che andrebbe affrontata, in questo Thread.
Intanto osservo come la tonante voce che "invita" ad applicare senza sconti la costituzione sia non quella di Napolitano, custode della stessa, ma quella del cittadino Gattegna, presidente di una "comunità ebraica" che, a rigor di logica, dovrebbe avere lo stesso peso del presidente del circolo della pesca, sul sovrano suolo dello Stato italiano che deve rendere conto solo ed esclusivamente agli italiani, di cui anche FN ne rappresenta una piccola parte:
Ma non dovrebbero essere proprio le democrazie a tutelate le minoranze?
Nihil sub sole novi.
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Solo un riferimento che non conoscevo, su un tema che a me sta molto a cuore, "Fascismo e rivoluzione francese". Un articolo del Corsera di qualche anno fa, che segnala un articolo di grande interesse
Robespierre in camicia nera, tentazione fascista
La sinistra del regime criticò la Rivoluzione Francese, salvando il Terrore
«Regime reazionario di massa»: la famosa definizione che Togliatti diede del fascismo sintetizza bene un' idea che resta ancor oggi diffusa: la convinzione che il regime di Mussolini si collocasse nel solco di quanti, da Joseph de Maistre in poi, si erano opposti alla rivoluzione francese e ai suoi principi, e avesse dunque una natura essenzialmente reazionaria. Ora un saggio di Antonino De Francesco (incluso nel volume Mito e storiografia della «Grande rivoluzione», Guida, pagine 375, 26,80) non solo conferma ulteriormente quanto una tesi del genere sia infondata, ma porta alla luce un fenomeno quasi del tutto sconosciuto. Mostra cioè come vari intellettuali fascisti criticassero, sì, la rivoluzione francese, ma «da sinistra»: attingendo cioè ampiamente al bagaglio (appunto, di sinistra) delle critiche all' 89 come rivoluzione della borghesia, che aveva subito escluso i ceti popolari dalla libertà e dall' eguaglianza appena conquistate. Erano soprattutto gli intellettuali riconducibili a un fascismo di sinistra e «sociale», spesso essi stessi ex sindacalisti rivoluzionari, ad insistere sulla critica all' 89 come rivoluzione borghese; e a dichiararsi convinti che proprio il regime mussoliniano, grazie alla Carta del lavoro e al corporativismo, rappresentasse lo strumento per una rivincita del «proletariato» dopo il «sopruso di classe» consumatosi a partire dall' 89. Il fascismo, così, veniva presentato come una originale forma di rivoluzione che definiva se stessa sulla base del confronto con quella francese. Si trattava di un' interpretazione strettamente legata a quel mito del corporativismo come nuova soluzione ai problemi del lavoro che esercitò un' influenza grandissima, soprattutto sui giovani intellettuali formatisi negli anni del regime: tra l' altro, alcuni di loro approdarono dopo il 1945 al partito di Togliatti pensando appunto di condurre in porto, attraverso il Pci, una «rivoluzione proletaria» che all' inizio avevano sperato potesse essere guidata (come più d' uno aveva scritto) da Mussolini. L' aspetto più originale del saggio di De Francesco consiste nel documentare come alcuni studiosi e ideologi del regime, mentre criticavano l' 89, guardassero invece positivamente al ' 93, cioè al Terrore giacobino, in quanto tentativo di forzare i limiti borghesi della rivoluzione. Su questa strada c' era chi esplicitamente si ispirava proprio alla storiografia di sinistra sulla rivoluzione, ai lavori di Jean Jaurès e soprattutto di Albert Mathiez, uno degli artefici di quello che François Furet definì il «catechismo rivoluzionario», cioè di una lettura giacobino-comunista della rivoluzione francese destinata a esercitare una grande influenza per molto tempo. Che questa influenza potesse comprendere anche esponenti fascisti non deve in fondo sorprendere. Di quella storiografia francese fortemente orientata a sinistra essi potevano ben condividere l' interpretazione del 1789 come avvio di uno scontro di classe che avrebbe portato infine alla liquidazione del capitalismo: anche se poi affidavano la realizzazione di questo obiettivo non al comunismo ma al nuovo ordine corporativo. Naturalmente, se per Mathiez l' erede di Robespierre era Lenin, per certi intellettuali fascisti l' erede veniva ad essere invece Mussolini. «Robespierre rappresenta l' unico principio di vita nella rivoluzione», scriveva Raffaele Di Lauro (un ex mazziniano che era stato tra i primi ad aderire al fascismo); e un intellettuale della cerchia di Bottai, Bruno Spampanato, osservava: «questo Robespierre puro, onesto, semplice, freneticamente fedele alla rivoluzione (...) piace immensamente a noi fascisti». Che non si trattasse (solo) di lavori abborracciati, di pamphlettistica di terz' ordine lo dimostrano le pagine che De Francesco dedica a Giuseppe Maranini. Grande studioso di storia delle istituzioni e di politologia, Maranini pubblicò nel 1935 un libro su Classe e Stato nella rivoluzione francese che è tra le cose migliori che la cultura italiana abbia mai prodotto sull' argomento; ma che si inseriva anche, a pieno titolo, in quel complesso di idee, di suggestioni, di miti «in camicia nera» sull' 89 di cui si è appena detto. Maranini nella premessa del suo volume, pubblicato in una collana della «Facoltà fascista di scienze politiche» di Perugia, dichiarava che il fatto stesso di vivere in uno Stato riformato alla radice dalla «nuova gloriosa rivoluzione» fascista rappresentava «una condizione di privilegio per poter considerare i problemi della rivoluzione francese»: una rivoluzione, quest' ultima, in cui con Robespierre c' era stato un primo tentativo di reagire al «dominio di classe, appena instaurato, della borghesia». Alleggerito soltanto della dedica al «duce» e di alcune pagine introduttive in cui si lodava lo Stato corporativo, il libro di Maranini sarebbe stato ripubblicato immutato nel 1952 e nel 1964. Ciò che ne fa anche, nota De Francesco, un piccolo ma significativo documento di certe sotterranee continuità culturali che avrebbero caratterizzato il passaggio dal regime fascista all' Italia repubblicana.
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. ma_75@bodyweb.com
Le cosiddette "frasi fatte" esprimono in alcuni casi grandissime baggianate in ambito di politica mussoliniana (molte altre invece, verità inconfutabili).
Sebbene il fascismo rappresenti una pesantissima croce per il passato e la reputazione storica dell'Italia, se ne parla troppo spesso male, anche per ciò che concerne i suoi inopinabili punti a favore.
Vorrei iniziare quest'argomentazione considerano il cinema italiano:
<<ma dai! Il cinema??>>. Ebbene si, è un fenomeno molto più rilevante di quanto si possa pensare, e in seguito a questi punti cercherò di spiegarne le ragioni: 1) Ci furono ingenti finanziamenti al mezzo cinematografico per la creazione di opere registiche nostrane, e alta tolleranza per ciò che concerne la censura (basti pensare al filone dei "telefoni bianchi" e al cinema finzionale americano, visti con simpatia dal fascismo) che ha tralasciato modelli cinematografici del tutto divergenti, se non opposti, alla visione ruralista della dittatura. 2) I cinegiornali contenevano molto meno contributo propagandistico al regime di quanto in genere si pensi, e questo è molto comprensibile data la forte esperienza in campo giornalistico di Mussolini: egli stesso era cosciente di quanto il pubblico non provasse interesse nei confronti dei contenuti divulgativi di parte, affermando che si sarebbe inevitabilmente annoiato. 3) Sempre per quel che riguarda la propaganda fascista: i registi dell'epoca che giravano film propagandistici lo facevano quasi sempre come opera di iniziativa personale o per scambio di favori con il regime. Nessuno di loro (dalle fonti rinvenute) è stato picchiato e/o maltrattato per non aver esaltato i valori dell'epoca.
Altra piccola cosa: si è parlato di questi tempi (in seguito alla disastrosa riforma dell'istruzione, e agli ingenti tagli effettuati) di "fascistizzazione dell'istruzione"... lasciatemi dire: MAGARI! L'istruzione dell'epoca di regime ha creato classi dirigenti-imprenditoriali nel panorama italiano del dopoguerra.
Cerco per ora di non uscire fuori dall'argomentazione, di ritornare ai punti dati in precedenza e spiegare il motivo per cui prenda tanto a cuore il destino del cinema italiano, partendo da una piccola nota di demerito nei confronti della politica americana nei confronti del nostro paese: LIBERATORI (non si può negare), ma... anche un po' bastardi (non preoccupatevi, non me ne uscirò con la solita storia delle donne stuprate!)
Obbiettivo dei soldati americani, una volta arrivati a Roma, era quello di chiudere Cinecittà in quanto minaccia al monopolio cinematografico statunitense. Così furono rubate e/o rotte tutte le attrezzature e fu adibita a CAMPO PROFUGHI. Scattarono in seguito numerosi contrattazioni per la sospensione degli investimenti al cinema in Italia. Non so come, il Governo provvisorio rifiutò, in un futuro privo di mezzi e di speranza.
Ma l'Italia ritrovò la sua umanità tra le ceneri e la povertà, e nacque il fenomeno del Neorealismo, ecco allora De Sica, Zavattini, Rossellini (che per quanto incredibile, in passato aveva girato un trittico di propaganda fascista gli anni prima, e nonostante in queste opere si trasudasse tutta la sua immensa umanità, non gli fu perdonato subito) che mentre conoscono i pareri discordi di una critica nazionale ormai spaesata e priva di criterio, vengono eletti dal pubblico internazionale (americano e francese, soprattutto) come i nuovi padri del cinema italiano.
Cerco di concludere brevemente: mi rendo conto! Può sembrare che tutto questo non c'entri molto con la discussione, ma solo perchè devo fare una piccola precisazione.
Non tutti sanno che è SOPRATTUTTO grazie al cinema che tutt'oggi il made in italy è visto come sinonimo di genuinità, design, stile, ricercatezza per quanto concerne la cucina, l'architettura moderna, la moda e le forme d'arte più moderne. E mi viene da pensare...
pensare a quanto sia curioso il fatto che una politica d'oppressione abbia difeso con tanta forza e sacrificio tutto questo, mentre una liberale, liberatrice e democratica abbia cercato di polverizzarlo.
Ringrazio tutti coloro che sono riusciti a leggere almeno un quarto di ciò che ho scritto. E anche nel caso in cui non l'abbia fatto nessuno, beh fa niente... dovevo fare qualcosa per farmi venire un po' di sonno stanotte
"The flesh covers the bone, and they put a mind in there...
...and sometimes a soul"
Visto che l'argomento l'abbiamo affrontato anche qui, in passato, mi sembra la discussione giusta in cui postarlo
Carlos «assolve» Mambro e Fioravanti
Strage di Bologna, è stato interrogato per la prima volta a Parigi
DAL NOSTRO INVIATO PARIGI — Carlos lo sciacallo, per la prima volta davanti a un magistrato italiano, detta la risposta in lingua francese: «La strage del 2 agosto, a Bologna, non è opera dei fascisti». Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, così come Luigi Ciavardini, i neofascisti condannati per la bomba alla stazione coi suoi 85 morti e i duecento feriti, non avrebbero nulla a che fare con la terribile esplosione al tritolo che nell'estate del 1980 sbriciolò la sala d'aspetto di seconda classe e investì il treno Ancona-Chiasso in sosta sul primo binario. Ascoltato per rogatoria dal pubblico ministero bolognese Enrico Cieri, entrato alle nove di venerdì col funzionario della Digos Marotta nell'austero Palazzo di Giustizia parigino che guarda in faccia le punte della cattedrale di Notre Dame e taglia in due la Senna, il terrorista internazionale di origini venezuelane non batte ciglio e ripete: «A mettere la bomba a Bologna non sono stati né i rivoluzionari né i fascisti...». Allora chi è stato, insiste il magistrato aggiustandosi gli occhiali sul naso. Ma Carlos, in camicia rossa, ben sistemato nei suoi sessant'anni in arrivo il prossimo 12 ottobre, va per i fatti suoi: «Io voglio parlare davanti a una commissione ministeriale, non a un magistrato... comunque quella è roba della Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene. Il guaio è che l'Italia è una semicolonia degli Stati Uniti, ragion per cui nel vostro Paese non si possono risolvere i tanti misteri... L'Italia dal 1943 è metà pizzeria e metà bordello degli americani, per questo non si risolve nulla... e lo stesso vale per la Germania, semicolonia americana dal 1945». Carlos, il cui vero nome è Ilich Ramirez Sanchez, detenuto nel carcere francese di Poissy e famoso per l'assalto al quartier generale dell'Opec nel 1975, spiega anche perché «non possono essere stati i neofascisti» a mettere la bomba alla stazione di Bologna. «In quegli anni — detta — il traffico di armi ed esplosivi attraverso l'Italia era cosa soltanto nostra. Col beneplacito dei servizi italiani, coi quali noi rivoluzionari trattavamo personalmente, i compagni potevano attraversare l'Italia, così come la Grecia, con tutte le armi in arrivo da Saddam Hussein. Per questo posso certamente dire che in quei giorni mai ci sarebbe potuto sfuggire un carico di T4 grande come quello fatto esplodere a Bologna. Non sarebbe sfuggito a noi e di certo non lo potevano avere in mano i neofascisti italiani. Quel tritolo viene dai militari... Tra i rivoluzionari palestinesi e l'Ori (l'Organizzazione dei rivoluzionari internazionali, quella di Carlos, ndr) — puntualizza il terrorista — i patti con i servizi segreti italiani erano chiari: in Italia traffico di armi sì, attentati no... E noi abbiamo mantenuto la parola». Quindi Carlos demolisce anche la tesi di Cossiga, quella dello scoppio accidentale dell'esplosivo in transito: «Conosco bene quel tritolo, non suda, non si muove... per farlo saltare serve per forza l'innesco». A fianco di Carlos, portato in tutta sicurezza al primo piano del tribunale circondato dalla Gendarmeria, ci sono gli avvocati Sandro Clementi e Isabelle Coutant. Con loro l'interprete Sophie Blanco. Davanti al terrorista, a far domande, stanno seduti il giudice istruttore Yves Jannier (che ha sostituito Brughier) e il pm Cieri, l'ufficiale di collegamento italiano in Francia, Forcella, e il magistrato italiano di collegamento a Parigi, Camelieri. Prima di iniziare «lo sciacallo» li fissa negli occhi uno per uno, prende carta e penna e chiede a ognuno di loro nome e cognome. Non tutti rispondono. A un tratto il magistrato bolognese tira fuori un album fotografico e chiede a Carlos se conosce Abu Saleh Anzeh, rappresentante in Italia del Fronte popolare per la liberazione della palestina (Fplp). Sorride, «lo sciacallo».
Prima di diventare segretario a Damasco di George Abbash, Anzeh era il suo uomo delegato ai rapporti con i servizi segreti militari. «Del resto noi eravamo organizzati militarmente — spiega Carlos — per questo subito dopo lo scoppio a Bologna ho ricevuto un rapporto scritto. Noi, prima di tutti, volevamo capire cosa fosse accaduto». A inviarlo, dice ancora, è stata Magdalena Cecilia Kop, nel 1980 una semplice militante poi diventata sua moglie, oggi ripudiata perché starebbe collaborando con il Bka, la polizia politica tedesca. «Andate a chiederlo a lei cosa c'era scritto... I servizi sapevano bene che a Bologna quel giorno c'era Thomas Kram e farlo saltare in aria con la stazione sarebbe stato come mettere la firma dei palestinesi sull'eccidio... Così l'Italia si sarebbe staccata dai palestinesi e avvicinata agli israeliani. Ma Kram (già interrogato dal pm Cieri, ndr) si è salvato e l'operazione è fallita. Thomas era braccato passo passo dagli 007... In realtà era diretto a Perugia. Perché non tutti lo sanno, ma il '68 non è nato a Parigi, è nato a Perugia nel 1967».
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quanti dubbi su questa vicenda.....alcune prove circostanziali sembrano incolparli...eppure due personaggi che ammettono chiaramente di esser stati membri attivi dello spontaneismo armato non so perkè dovrebbero aver paura ad ammettere la strage
Originariamente Scritto da SPANATEMELA
parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
Originariamente Scritto da GoodBoy!
ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?
anche perché non aggiunge nulla di nuovo e cmq nessuno vuole sentire.
Quella strage fù fascista .
Nemmeno il comitato delle vittime della strage,ha interesse/voglia di scavare oltre...Giusva e Francesca,sono per fortuna fuori e l'unico imbecille che continua a prenderlo nel didietro è Luigi.bah....
Come in tutte le stragi italiane degli anni di piombo, come in tutti i fatti oscuri della nostra storia da 60 anni ad oggi, c'è sempre un nome solo che ritorna, mai approfondito, mai indagato: CIA. E, dietro di essa, il burattinaio americano da cui ci siamo fatti guidare, colonia d'oltremare, e di cui, ancora oggi, siamo lo scendiletto.
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Camerati! La mia visita alla Germania e al suo Führer, il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi, costituiscono un avvenimento importante nella vita dei nostri due popoli e anche nella mia. Le manifestazioni con le quali sono stato accolto mi hanno profondamente commosso. La mia visita non deve essere giudicata alla stregua delle visite politico-diplomatiche normali e il fatto che io sia venuto in Germania non significa che domani andrò altrove. Non soltanto nella mia qualità di Capo del Governo italiano sono venuto fra voi, ma è soprattutto nella mia qualità di Capo di una Rivoluzione nazionale che ho voluto dare una prova di solidarietà aperta e netta alla vostra Rivoluzione. E, quantunque il corso delle due Rivoluzioni non sia stato uguale, l'obiettivo che entrambe volevano raggiungere, e hanno raggiunto, è identico: l'unità e la grandezza del popolo. Fascismo e Nazismo sono due manifestazioni di quel parallelismo di posizioni storiche che accomunano la vita delle nostre Nazioni, risorte a unità nello stesso secolo e con la stessa azione. Come è stato detto, il mio viaggio in Germania non ha scopi reconditi. Qui non si trama nulla per dividere l'Europa già abbastanza divisa. La riaffermazione solenne dell'esistenza e della solidità dell'Asse Roma-Berlino non è diretta contro altri Stati, poiché noi, nazisti e fascisti, vogliamo la pace e siamo sempre pronti a lavorare per la pace, per la pace vera e feconda, che non ignora, ma risolve i problemi della convivenza fra i popoli. Alla gente che, ansiosa, in tutto il mondo si domanda che cosa può uscire dall'incontro di Berlino - guerra o pace - il Führer e io possiamo rispondere insieme a voce alta: la pace. Come quindici anni di Fascismo hanno dato un nuovo volto materiale e spirituale all'Italia, così la vostra Rivoluzione ha dato un nuovo volto alla Germania: nuovo anche se poggia, come accade in Italia, sulle tradizioni più nobili e imperiture che si possono conciliare con le necessità della vita moderna. È questo volto della nuova Germania che ho voluto vedere; e, vedendolo, mi sono ancora di più convinto che questa nuova Germania - forte, legittimamente fiera, pacifica - è elemento fondamentale della vita europea. Io credo che la causa di molti malintesi e sospetti fra i popoli sia l'ignoranza, da parte dei responsabili, delle realtà nuove che si formano. La vita dei popoli, come quella degli individui, non è statica, ma è un continuo travaglio di trasformazione. Giudicare un popolo coi dati e con le cognizioni o la letteratura di cinquanta o vent'anni fa, è un errore che può essere fatale. È questo un errore che si commette frequentemente nei confronti dell'Italia. Se le Rivoluzioni nazionali di Germania e d'Italia fossero meglio conosciute, molte prevenzioni cadrebbero, molti motivi di polemica non avrebbero più ragione d'essere. Nazismo e Fascismo hanno in comune molte concezioni della vita e della storia. Entrambi credono nella volontà come forza determinante la vita dei popoli, come motore della loro storia, e quindi respingono le dottrine del cosiddetto materialismo storico e dei suoi sottoprodotti politici e filosofici. Entrambi noi esaltiamo il lavoro - nelle sue innumerevoli manifestazioni - come il segno di nobiltà dell'uomo; entrambi contiamo sulla giovinezza, alla quale additiamo le virtù della disciplina, del coraggio, della tenacia, dell'amor di patria, del disprezzo della vita comoda. Il risorto Impero di Roma, è la creazione di questo nuovo spirito dell'Italia. La rinascita tedesca è ugualmente la creazione dello spirito, cioè della fede in una idea nella quale prima credette uno solo, poi un gruppo di pionieri e di martiri, poi una minoranza e finalmente un popolo intero. Germania e Italia seguono lo stesso indirizzo anche nel campo dell'autarchia economica: senza l'indipendenza economica la stessa autonomia politica della Nazione è compromessa e un popolo di alte capacità militari può essere piegato dal blocco economico. Noi abbiamo sentito il pericolo in tutta la sua immediatezza quando cinquantadue Stati congregati a Ginevra votarono le criminali sanzioni economiche contro l'Italia, sanzioni che furono rigorosamente applicate, ma non ottennero lo scopo, anzi diedero all'Italia fascista l'occasione di mostrare al mondo la sua tempra. La Germania - per quanto sollecitata - non aderì alle sanzioni. Non lo dimenticheremo. Qui apparve per la prima volta in maniera chiarissima l'esistenza di una necessaria solidarietà fra la nazista Germania e l'Italia fascista. Quello che è ormai conosciuto nel mondo come l'Asse Berlino-Roma, nacque nell'autunno del 1935 e ha in questi due anni magnificamente funzionato per un sempre maggiore riavvicinamento fra i nostri due popoli e per una più effettiva politica di pace europea.
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