di MARCO MENSURATI e WALTER GALBIATI
ROMA - Il calcio deve agli italiani 754,4 milioni di euro. Sono le tasse che le varie società non hanno mai pagato. In epoca di leggi finanziarie tutte lacrime e sangue, di bisticci governativi sul reperimento di fondi, di campioni finiti nella polvere per non aver pagato le tasse, i numeri divulgati ieri dall'Agenzia delle entrate suonano drammatici e insieme beffardi. Anche perché dalla fotografia scattata dagli specialisti del tesoro emerge anche un'altra verità amara: buona parte di quel debito non verrà mai pagato da nessuno. Perché, in molti casi particolarmente critici, nuove società hanno preso il posto di vecchie spa ormai decotte, e non si sono accollate il loro debito erariale, che è dunque rimasto ben sigillato dentro scatole destinate a non essere mai più aperte, una sorta di metafora tributaria dell'oblio.
Giusto per fare un esempio: la nuova Acf Fiorentina spa (quella dei Della Valle) non deve nulla al fisco avendo sempre regolarmente pagato quanto dovuto, mentre la vecchia Ac Fiorentina Spa ha un debito di 43,3 milioni. E lo stesso vale per Torino, Parma e altre ancora. Un meccanismo che assume dimensioni enormi se valutato nella sua entità: dal totale di 376 milioni di euro di debiti accumulati tra il 2001 e il 2005 dalla serie A italiana, 210,2 milioni fanno capo a queste società dismesse.
Secondo l'agenzia delle entrate, in tutto sono 193 i club italiani non in regola con il fisco. Di questi, ad avere gli arretrati più consistenti sono, per ovvi motivi quelli di serie A. Il record assoluto è detenuto dalla Lazio di Claudio Lotito che si ritrova sprofondata in un suo personale oceano di debiti: 129,1 milioni di euro (quelli che furono oggetto del famoso accordo spalmadebiti stipulato tra la nuova proprietà e lo Stato per evitare il fallimento).
A fronte di questa situazione preapocalittica, però, la stessa Lazio - insieme con Roma e Juventus - è riuscita a strappare una sorta di complimento indiretto ai dipendenti del ministero dell'Economia. Essendo società quotata in borsa ha infatti l'obbligo di "redigere i propri conti consolidati e i bilanci individuali in conformità ai principi contabili internazionali ("International Financial Reporting Standards"). E per questo motivo "la qualità dell'informazione finanziaria fornita è stata ulteriormente migliorata".
I dati forniti dall'agenzia delle Entrate (relativi, come detto agli anni 2001-2005) vengono ulteriormente aggravati da una semplice lettura degli ultimi bilanci delle società di serie A. La somma del debito complessivo per l'anno corrente è di 21,5 milioni di euro per quanto riguarda l'Irap e di 51,4 milioni di euro di Irpef. Numeri che di per sé non sarebbero nemmeno tanto clamorosi non fosse per un retroscena che, da solo, spiega in maniera molto chiara la vera origine di tutte le controversie legate al tema "pallone e tasse". Dopo gli scandali sportivo-finanziari del 2003-2004 la Figc, come di consueto sull'onda dell'emergenza, varò delle regole molto rigide in materia di iscrizioni al campionato. Per effetto di queste regole, una società che non potesse dimostrare di non aver alcun debito con lo Stato, non poteva partecipare al torneo. Passati poco più di due anni, con l'emergenza ormai alle spalle e con nuovi scandali a distrarre l'opinione pubblica, questa estate la Figc ha pensato bene di porre fine al regime di tolleranza zero, permettendo alle società di iscriversi al campionato indipendentemente dall'avvenuto pagamento delle tasse. E la voce "debito" dei bilanci del calcio italiano ha ricominciato a crescere.
(7 dicembre 2007)
E questi stronzi per correre dietro ad un pallone si prendono 20 milioni di euro l'anno.Stronzi pure noi che glieli diamo.
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