Una nuova Pearl Harbour?
Maurizio Blondet
10/11/2007
La portaerei Enterprise
Dal 2 novembre l'ammiraglia della Quinta Flotta, che manovra nel Golfo Persico, è la portaerei Enterprise (CVN-65).
E' una nave molto vecchia, anzi decrepita: si tratta della prima portaerei a propulsione atomica varata dagli USA nel 1961, ed è in lista d'attesa per lo smantellamento, previsto per il 2015.
Ciò ha suscitato nel noto analista strategico Michael E. Salla un tremendo sospetto (1): e se la «Enterprise», con il suo nome potentemente evocatore (si chiama come l'astronave del dottor Spock) fosse stata avviata deliberatamente al sacrificio con i suoi 5 mila uomini, per avere il pretesto di bombardare l'Iran?
«I neoconservatori» stanno «provocando deliberatamente una ritorsione iraniana», scrive, onde «arrivare ad una nuova Pearl Harbour che crei la giusta condizione politica per una guerra totale contro l'Iran e più ampie azioni militari nella regione del Golfo».
A pensare male si fa peccato, ma in casi come questi è meglio esagerare prima.
Tanto più che i sospetti hanno qualche fondamento nel passato.
«Rebuilding American Defense», il famigerato documento che il PNAC (Project for a New American Century) diresse nel 2000 al presidente USA per invitarlo a profittare del vuoto di potere globale per espandere l'impero americano attraverso un riarmo massiccio, riconobbe che l'opinione pubblica non avrebbe accettato l'idea senza «un evento traumatico, come una nuova Pearl Harbour».
Un anno dopo, l'attentato alle Twin Towers concretò la nuova Pearl Harbour auspicata.
E anche i due grattacieli erano molto vecchi (del 1971), e Rudolf Giuliani aveva fatto i passi per smantellarli perché la manutenzione era diventata troppo costosa; come sicuramente è quella della Enterprise.
Insomma c'erano buoni motivi per sacrificarli.
Le credenziali scientifiche del sospettoso Michael Salla, PhD, MA, sono solide (2).
Vale la pena di seguire il suo ragionamento.
La Quinta Flotta, che ha base in Bahrein, comprende oggi due squadre portaerei e due porta-elicotteri.
Nel 2003, durante l'invasione dell'Iraq, arrivò a contare cinque portaerei e sei porta-elicotteri, ciascuno accompagnato dalla relativa squadra di mezzi navali d'appoggio: un affollamento tanto assurdo, in un braccio di mare notoriamente stretto e sovraffollato di petroliere, da esporre le potenti navi da guerra dell'unica superpotenza rimasta a bersagli troppo facili.
La stessa base di Bahrein è a 150 miglia dalla costa iraniana, dunque a portata dei temutissimi missili forniti all'Iran da Mosca.
Si tratta dei Sunburn (velocità Mach 2,5, raggio conosciuto oltre le 130 miglia) e Yakhonts (stessa velocità di 2 mila chilometri l'ora e portata 185 miglia), capaci in più di eseguire nell'ultima fase manovre imprevedibili per sfuggire alle contromisure e ai radar.
Sono armi, ricorda Salla, che l'URSS elaborò quando giunse alla conclusione che non poteva competere con la costosissima spesa militare USA, e si concentrò abilmente nello sviluppo di armi destinate ai punti deboli e vulnerabili della superpotenza.
Sunburn e Yakhonts sono speficicamente progettati per affondare portaerei, ossia le basi galleggianti dell'egemonia americana sui mari.
C'è di più.
Tra il 2000 e il 2002 sono state condotte vaste esercitazioni, sia dal vivo sia con simulazione a computer, per valutare la capacità della US Navy di contrastare questa insidia (ormai 70 nazioni dispongono di missili da crociera antinave), e si scoprì che le flotte americane erano estremamente vulnerabili.
Il più imponente di questi esercizi simulati per «testare nuovi concetti di guerra sviluppati dal Pentagono», si è tenuto nel 2002: chiamato significativamente Millennium Challenge, simulava appunto una battaglia aeronavale contro l'Iran.
Risultato: i «rossi» (gli iraniani nella simulazione), «usando varie tattiche asimmetriche, falsi battelli commerciali, aerei kamikaze, missili da crociera Silkworm, affondarono la maggior parte della Quinta Flotta».
La minaccia posta dai Sunburn e Yakhonts divenne tanto evidente, che nel 2007 l'ufficio competente del Pentagono ha ordinato di interrompere la costruzione di nuove portaerei finchè non si fosse trovata un'efficace contromisura.
E tuttavia, il Pentagono, rivela Salla, ha deciso di svalutare deliberatamente le risultanze del Millennium Challenge.
Al terzo giorno, le 16 navi americane affondate nella simulazione sono state fatte «rinascere» e «vincere» per provare - almeno alla stampa - che i «nuovi concetti bellici» messi a punto avevano funzionato.
«Vuota propaganda», commentò allora un generale di nome Paul Van Riper (3).
Ciò aggrava il sospetto che la flotta venga messa deliberatamente a rischio, in piena coscienza, per costituire il casus belli.
Salla ricorda uno per uno tutti i tentativi occulti o palesi di Bush e di Cheney di «accontentare Israele» provocando la guerra contro l'Iran.
Nel 2006 la Casa Bianca è stata sul punto di autorizzare l'uso di bombe atomiche contro le installazioni nucleari iraniane, che sono tutte sotterrane; come rivelò il giornalista Seymour Hersch, a impedire il colpo fu l'accanita resistenza dei più alti gradi militari, capeggiati dal generale Peter Pace, allora capo degli SM riuniti (4).
Anche l'ammiraglio Fallon, oggi capo del Central Command, è chiaramente contrario.
Nella seduta che lo confermava alla carica, febbraio 2007, ha detto: «Un attacco all'Iran non accadrà sotto di me» (on my watch).
Secondo voci non confermate, i comandi USA avrebbero negato a Israele i codici di volo per il sorvolo dell'Iraq, necessari per un blitz aereo sull'Iran (5).
Poi c'è stata, il 6 settembre 2007, la enigmatica incursione di caccia israeliani nello spazio siriano con il bombardamento di una presunta «installazione nucleare» in Siria.
Secondo il Sunday Times, in realtà, «gli israeliani hanno provato di poter penetrare il sistema di difesa aereo siriano, che è più robusto di quello che protegge i siti iraniani».
Difatti, tecnici russi (fornitori del sistema) si sono precipitati in Siria per controllare cosa non aveva funzionato (6).
Il 17 ottobre Bush ha lasciato cadere la frase sulla «terza guerra mondiale» possibile se l'Iran non viene indotto a smettere il suo programma.
Forse è già una preparazione dell'opinione pubblica alla prospettiva di una crisi internazionale.
Contemporaneamente, la Casa Bianca ha cambiato il capo d'accusa contro Teheran: non più (solo) si sta facendo la bomba atomica, ma sostiene il terrorismo in Iraq.
Il 26 settembre il Senato passa l'emendamento Lieberman che dichiara il corpo delle Guardie della Rivoluzione «organizzazione terrorista estera».
Queste mosse danno a Bush la possibilità di attaccare l'Iran senza sentire il Congresso, perché l'operazione può essere presentata come atto di contro-terrorismo, proseguio della guerra in Iraq.
Il generale Petraeus, messo da Bush al comando delle forze in Iraq, ha accusato l'Iran di condurre «una guerra per interposta persona allo stato iracheno e alle forze della coalizione. Nessuno di noi, un anno fa, aveva ancora valutato l'ampiezza del coinvolgimento iraniano in Iraq».
Ora sì, guarda caso.
Né va dimenticato il misterioso volo, del 30 agosto 2007, del B-52 armato con missili a testata atomica, bloccato dal personale militare che, in qualche modo, deve aver segnalato le irregolarità di quel volo e di quell'armamento innescato, in contravvenzione alle procedure e all'insaputa della normale catena di comando.
Il volo era diretto verso il Medio Oriente.
Secondo Wayne Madsen, che ha ascoltato fonti confidenziali, la missione clandestina del B-52 doveva coincidere con l'incursione israeliana in Siria del 6 settembre.
La responsabilità della missione viene attribuita a Dick Cheney.
La presidenza americana si è data la facoltà di ordinare missioni coperte del genere, anche illegali, ciò che rende evidente il rischio di un «false flag», e la volontà di compierlo (7).
Ed eccoci all'oggi.
La vecchia Enterprise, appena mandata nel Golfo insieme alla porta-elicotteri Kearsarge (LDH 3), è stata impegnata in un'esercitazione che simula «la risposta rapida a possibili crisi».
Sono ormai anni che queste esercitazioni avvengono in vista delle coste iraniane e delle loro batterie di missili celate nel terreno montagnoso, e pongono le premesse di un «incidente» tipo Golfo del Tonkino (che fu il pretesto dell'escalation in Vietnam) in un braccio di mare così esiguo da rendere le navi della quinta Flotta dei bersagli immobili.
Ora, come bersaglio, c'è la più decrepita nave atomica degli stati Uniti, la più «spendibile».
Il suo affondamento libererebbe il Pentagono da un costo, e darebbe il pretesto per scatenare la guerra totale contro l'Iran.
Fra i costi ci sarebbero i 5 mila uomini dell'equipaggio.
Ma già il glorificato presidente Roosevelt, nella prima Pearl Harbour, ritenne i costi umani convenienti allo scopo di dichiarare la guerra totale al Giappone.
Allora i morti americani messi lì a fare da bersaglio furono 2.333, cinque le navi affondate, 188 gli aerei abbattuti.
L'affondamento di una grande portaerei a propulsione atomica nell'angusto Golfo sarebbe un altro costo incalcolabile, in vite umane dei popoli rivieraschi, e nel rendere impercorribile, anzi inabitabile, il braccio di mare più importante per il rifornimento energetico del mondo.
Ma il beneficio del barile a 200 dollari può apparire attraente anche a questo prezzo, per i petrolieri che Cheney rappresenta.
Maurizio Blondet
Note
1) Michael E. Salla, «The new Pearl Harbour - the neoconservative agenda to sacrifice the Fifth Fleet», Information Clearing House, 8 novembre 2007.
2) Doctor Michael Salla is an internationally recognized scholar in international politics, conflict resolution, US foreign policy and the new field of «exopolitics». He is author/editor of five books; and held academic appointments in the School of International Service& the Center for Global Peace, American University, Washington DC (1996-2004); the Department of Political Science, Australian National University, Canberra, Australia (1994-96); and the Elliott School of International Affairs, George Washington University, Washington D.C., (2002). He has a Ph.D in Government from the University of Queensland, Australia, and an M.A. in Philosophy from the University of Melbourne, Australia. He has conducted research and fieldwork in the ethnic conflicts in East Timor, Kosovo, Macedonia, and Sri Lanka, and organized peacemaking initiatives involving mid to high level participants from these conflicts.
3) http://www.rense.com/general64/fore.htm
4) http://www.newyorker.com/archive/200.../060710fa_fact
5) http://www.commondreams.org/archive/2007/05/15/1212/
6) «Israelis 'blew apart Syrian nuclear cache'», Timesonline
7) «News of B-52 Nukes Leaked», OpedNews.com
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