ROSALBA MICELI Da alcuni anni le neuroscienze comportamentali indagano nei territori oscuri della pedofilia. Chi è il pedofilo? Un criminale o un malato mentale con un cervello che lo predispone a determinati comportamenti sessuali? Una ricerca condotta da un team di scienziati tedeschi dell'Università di Duisburg-Essen, pubblicata recentemente sul “Journal of Psychiatric Research”, e ripresa dal “New Scientist”, mostra le immagini in risonanza magnetica del cervello di 18 pedofili conclamati, con un basso punteggio IQ, in carcere per aver abusato ripetutamente di minori di 14 anni. I risultati sembrano significativi: una riduzione di cellule nervose, in particolare dal 2 al 4% in meno di materia grigia nella corteccia orbitofrontale, area coinvolta nei processi decisionali, nel ragionamento e recentemente associata dai ricercatori del Max Planck Institute al controllo degli impulsi (il cosiddetto self-control) e dal 5 al 7% in meno a livello del putamen, una struttura cruciale per un vasto range di funzioni come il movimento e l’apprendimento.
Anomalie simili della materia grigia sono state già riscontrate in soggetti che presentano disturbi del comportamento di tipo compulsivo. Boris Schiffer, autore dello studio, sottolinea l’importanza di un corretto sviluppo della corteccia orbitofrontale nel moderare i comportamenti di “addiction”. Tuttavia, è bene dirlo, altre ricerche presentano un quadro più complesso del fenomeno pedofilia. Nell’aprile 2007 un gruppo di ricercatori dell’Università Otto-von Guericke ha pubblicato una analisi di imaging cerebrale su pedofili che avevano confessato di essere attratti da bambini ed adulti: non erano presenti le anomalie trovate dal gruppo di Schiffer, sebbene fossero evidenti riduzioni della materia grigia in altre aree cerebrali.
La pedofilia lascia tracce profonde, forse indelebili, nella psiche di un bambino. Se il pedofilo ne avesse una pur vaga consapevolezza riuscirebbe a controllare l’impulso sessuale? Spesso l’unica forma di empatia che prova nei confronti delle emozioni degli altri consiste nell’individuare la vittima idonea tra le tante potenziali e manovrarla in modo da favorire le molestie sessuali. E’ possibile aumentare il livello di empatia del pedofilo in modo che eviti le ricadute? O addirittura ne prevenga gli abusi? Alcuni anni fa, William Pithers, psicologo del carcere del Vermont, ha messo a punto un programma di trattamento di soggetti in carcere per abusi sessuali su minori: i molestatori leggono resoconti e filmati di crimini simili ai propri, descritti dal punto di vista della vittima. Poi, durante la drammatizzazione dell’evento nella terapia di gruppo, devono immedesimarsi nel ruolo del bambino violato. Dopo il rilascio coloro che si erano sottoposti al programma ripetevano il crimine in misura dimezzata rispetto a chi non lo aveva seguito. Ma si tratta di un processo di maturazione emotiva lungo e complesso e lo stesso Pithers si è reso conto che spesso si preferisce optare da ambo le parti - paziente e terapeuta - per misure più intrusive di trattamento, come la castrazione chimica, se si vuole che il pedofilo sia messo subito e in modo definitivo in condizione di non nuocere.
Occorreranno ancora anni di ricerche per comprendere i meccanismi neurobiologici che portano alla pedofilia. Di certo sappiamo dalle interviste-confessioni di alcuni pedofili dove e come il pedofilo sceglie la sua vittime: spesso si insinua, per lavoro o per diletto, in ambienti frequentati da bambini (asili, scuole, ambienti ricreativi per l’infanzia, cori di chiese, corsi di musica, di pittura, etc) e predilige gli individui più vulnerabili appartenenti a famiglie disagiate o disgregate, con scarsa protezione sociale. Quindi è in questi luoghi e su questi soggetti che bisogna prestare la massima attenzione con programmi preventivi mirati ad aiutare l’infanzia e le famiglie.
Anomalie simili della materia grigia sono state già riscontrate in soggetti che presentano disturbi del comportamento di tipo compulsivo. Boris Schiffer, autore dello studio, sottolinea l’importanza di un corretto sviluppo della corteccia orbitofrontale nel moderare i comportamenti di “addiction”. Tuttavia, è bene dirlo, altre ricerche presentano un quadro più complesso del fenomeno pedofilia. Nell’aprile 2007 un gruppo di ricercatori dell’Università Otto-von Guericke ha pubblicato una analisi di imaging cerebrale su pedofili che avevano confessato di essere attratti da bambini ed adulti: non erano presenti le anomalie trovate dal gruppo di Schiffer, sebbene fossero evidenti riduzioni della materia grigia in altre aree cerebrali.
La pedofilia lascia tracce profonde, forse indelebili, nella psiche di un bambino. Se il pedofilo ne avesse una pur vaga consapevolezza riuscirebbe a controllare l’impulso sessuale? Spesso l’unica forma di empatia che prova nei confronti delle emozioni degli altri consiste nell’individuare la vittima idonea tra le tante potenziali e manovrarla in modo da favorire le molestie sessuali. E’ possibile aumentare il livello di empatia del pedofilo in modo che eviti le ricadute? O addirittura ne prevenga gli abusi? Alcuni anni fa, William Pithers, psicologo del carcere del Vermont, ha messo a punto un programma di trattamento di soggetti in carcere per abusi sessuali su minori: i molestatori leggono resoconti e filmati di crimini simili ai propri, descritti dal punto di vista della vittima. Poi, durante la drammatizzazione dell’evento nella terapia di gruppo, devono immedesimarsi nel ruolo del bambino violato. Dopo il rilascio coloro che si erano sottoposti al programma ripetevano il crimine in misura dimezzata rispetto a chi non lo aveva seguito. Ma si tratta di un processo di maturazione emotiva lungo e complesso e lo stesso Pithers si è reso conto che spesso si preferisce optare da ambo le parti - paziente e terapeuta - per misure più intrusive di trattamento, come la castrazione chimica, se si vuole che il pedofilo sia messo subito e in modo definitivo in condizione di non nuocere.
Occorreranno ancora anni di ricerche per comprendere i meccanismi neurobiologici che portano alla pedofilia. Di certo sappiamo dalle interviste-confessioni di alcuni pedofili dove e come il pedofilo sceglie la sua vittime: spesso si insinua, per lavoro o per diletto, in ambienti frequentati da bambini (asili, scuole, ambienti ricreativi per l’infanzia, cori di chiese, corsi di musica, di pittura, etc) e predilige gli individui più vulnerabili appartenenti a famiglie disagiate o disgregate, con scarsa protezione sociale. Quindi è in questi luoghi e su questi soggetti che bisogna prestare la massima attenzione con programmi preventivi mirati ad aiutare l’infanzia e le famiglie.
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