Catania affonda nel mare di debiti
Palazzo degli Elefanti, sede del Comune di Catania
La città deve oltre settecento milioni alle banche. Una girandola di favori e strane consulenze
PAOLO BARONI
CATANIA
Catania sull’orlo della bancarotta. Gli ispettori, inviati nei mesi scorsi dal Tesoro, hanno consegnato il loro rapporto: 700 milioni di euro di debiti con le banche, 95 milioni di spese correnti «non soddisfatte» e 41 milioni di debiti fuori bilancio. Insomma, il Comune è «chiaramente in stato di insolvenza». «È un bilancio disastroso quello della giunta Scapagnini» denuncia Orazio Licandro deputato del Pdci. L’amministrazione di centrodestra guidata dal medico personale di Berlusconi contrattacca («nulla di nuovo, è la situazione nota da tempo») e a sua volta cerca di scaricare una parte di responsabilità sul centrosinistra che ha governato la città dal 1993 al 2000.
Braccio di ferro A Catania il braccio di ferro sindaco-opposizione dura ormai da mesi: il centrosinistra racconta di sprechi e regalie, di clientelismo e cattiva gestione che negli ultimi sette anni avrebbero fatto lievitare a dismisura debiti. «Sono cose da terzo mondo - denuncia l’ex sindaco Enzo Bianco -. Una situazione da bancarotta, paragonabile a quella di Taranto - aggiunge - frutto di entrate sistematicamente sovrastimate e di uscite sottostimate e di una spesa del personale che arriva al 60-65% del bilancio comunale. In pratica quasi tutti i dipendenti hanno beneficiato di uno o anche due scatti di promozione». E per questo ora, conti alla mano, chiede a Scapagnini di presentare subito un’idea per uscire dalla crisi oppure di passare la mano.
Fino ad oggi il primo cittadino e la sua giunta hanno respinto ogni attacco («basta infangare la città») arrivando più volte a minacciare querele. Alcuni fatti, però, parlano da soli: i fornitori del Comune da tempo vengano pagati sempre più in ritardo così come i 4000 dipendenti dell’ente. Ed anche i revisori del Comune, in una relazione inviata l’anno scorso alla Corte dei conti, segnalavano una situazione di continua «tensione finanziaria», di debiti fuori bilancio e spese che non vengono ridotte ma che anzi continuano a correre come in passato. A distanza di un anno anche la magistratura contabile si è mossa dando al Comune 90 giorni di tempo per adottare interventi strutturali per evitare il crack. Licandro, intanto, ha deciso di investire della questione la Procura: «quello degli ispettori del Tesoro è un atto d’accusa durissimo - sostiene - la giunta ha ripetutamente violato in modo formale e sostanziale leggi e principi contabili». Per l’amministrazione invece la situazione «non appare assolutamente catastrofica come invece l’opposizione vorrebbe far credere». E partendo dalle stesse cifre certificate dal Tesoro la giunta avrebbe già messo a punto un piano che sindaco e assessore al Bilancio illustreranno questa sera al consiglio comunale.
Gioielli in vendita Da mesi l’opposizione denuncia le «manovre scorrette» di Scapagnini e c. Al centro delle polemiche c’è la società «Catania Risorse», oggetto di diverse interrogazioni parlamentari e dalla quale lo scorso Capodanno la giunta catanese ha girato la bellezza di 65 milioni di euro di immobili, «da valorizzare». Insomma da vendere. Nell’attesa la società, una srl con un capitale di appena 30 mila euro, presieduta dal segretario comunale, Armando Giacalone, è stata autorizzata a contrarre mutui per un valore pari a quello degli immobili ricevuti in dote. In maniera tale da consentire al Comune di poter contabilizzare in extremis, giusto l’ultimo giorno dell’anno, un’entrata cospicua. Che ha riequilibrato i conti ed evitato il commissariamento. «Hanno fatto tutto in pochissimo tempo - raccontano i bene informati - con le posizioni giurate addirittura fatte in un’unica giornata, neanche fosse la vendita di un tre vani».
La delibera è stata messa in piedi in fretta e furia. Le perizie degli immobili sono state redatte e depositate nel giro di 24 ore a cura di un semplice ragioniere del Comune alla vigilia dell’approvazione del progetto. Passato nonostante il parere contrario del Collegio di difesa. Nella pancia di «Catania Risorse» sono finiti così 14 immobili, tra cui l’ex monastero di Sant’Agata, che ospita uffici comunali ed un centro sociale, gli edifici barocchi di via Crociferi e via di San Giuliano, l’ex Caserma Malerba, l’ex monastero di Santa Chiara, dove Giovanni Verga ambientò la clausura della protagonista di «Storia di una capinera» e dove ora si trovano l’Anagrafe e la sala matrimoni. E poi uffici, biblioteche, l’autoparco comunale e l’ex mercato rionale di Nesima. «Vendita illegittima» sostengono Bianco e gli altri parlamentari catanesi del centrosinistra. «Nessuna intenzione di vendere, ma solo la necessità di utilizzare meglio questi immobili così come consentono le leggi» ribattono dalla Giunta.
«Per otto beni immobili l’atto è nullo» ha fatto sapere a febbraio la Sovrintendente ai beni culturali Grazia Branciforti che ha messo il veto sulla loro cessione giocandosi il posto di lì a qualche settimana tra lo sdegno di mezza città. A suo parere monasteri e conventi, tutti risalenti al XVI e XVIII secolo, sono beni di «eccezionale interesse storico-artistico», «opere mirabili» del periodo tardo-barocco inserite dall’Unesco nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità da tutelare e non si possono cedere. «Si sono comportati come Totò con la Fontana di Trevi» denuncia Saro D’Agata, capogruppo Ds a palazzo degli Elefanti. «Attacchi strumentali» ribattono dallo staff di Scapagnini. Lo stop della Sovrintendenza ha chiaramente messo in difficoltà la Giunta, ma il rimedio è stato trovato rapidamente: a fine aprile la giunta ha deciso di trasferire a «Catania risorse» altri beni per 108 milioni di euro, per lo più impianti sportivi come la «cittadella» ed il campo sportivo di Nesima, il campo da calcio di Zia Luisa ed il Duca d’Aosta.
Sprechi e regalie Secondo l’amministrazione di Catania non esiste un problema-debiti perché il Comune, non solo ha un ricco patrimonio stimato all’incirca 8-900 milioni di euro, ma vanta anche crediti per 220 milioni. L’opposizione invece parla di tutt’altre cifre. Bianco agli 83 milioni di perdite già acclarate aggiunge «40 milioni di euro fuori bilancio, le perdite dell’azienda trasporti Amt, che non vengono mai considerate ma che sono a loro volta ingenti, e quelle che potrebbero emergere dai bilanci del 2005 e del 2006». E Licandro rilancia: «Veniamo da 7 anni di amministrazione allegrissima: mutui da tutte le parti difficilmente giustificabili, ed una quantità impressionante di consulenze, a cominciare dai 24 mila euro spesi per ingaggiare una giovane 22enne, nota per essere stata Miss Eritrea, come “consulente per lo sviluppo industriale della città”. Per non parlare dei rimborsi dell’indennità “cenere lavica” (compresi tra 300 e 1000 euro) erogati a tutti e 4mila i dipendenti del Comune, senza alcuna distinzione, tre giorni prima delle comunali del 2005». Una partita questa già finita all’attenzione della magistratura: il processo a carico di Scapagnini ed 8 assessori è tutt’ora in corso. Le accuse vanno da abuso d’ufficio a violazione della legge elettorale.
Palazzo degli Elefanti, sede del Comune di Catania
La città deve oltre settecento milioni alle banche. Una girandola di favori e strane consulenze
PAOLO BARONI
CATANIA
Catania sull’orlo della bancarotta. Gli ispettori, inviati nei mesi scorsi dal Tesoro, hanno consegnato il loro rapporto: 700 milioni di euro di debiti con le banche, 95 milioni di spese correnti «non soddisfatte» e 41 milioni di debiti fuori bilancio. Insomma, il Comune è «chiaramente in stato di insolvenza». «È un bilancio disastroso quello della giunta Scapagnini» denuncia Orazio Licandro deputato del Pdci. L’amministrazione di centrodestra guidata dal medico personale di Berlusconi contrattacca («nulla di nuovo, è la situazione nota da tempo») e a sua volta cerca di scaricare una parte di responsabilità sul centrosinistra che ha governato la città dal 1993 al 2000.
Braccio di ferro A Catania il braccio di ferro sindaco-opposizione dura ormai da mesi: il centrosinistra racconta di sprechi e regalie, di clientelismo e cattiva gestione che negli ultimi sette anni avrebbero fatto lievitare a dismisura debiti. «Sono cose da terzo mondo - denuncia l’ex sindaco Enzo Bianco -. Una situazione da bancarotta, paragonabile a quella di Taranto - aggiunge - frutto di entrate sistematicamente sovrastimate e di uscite sottostimate e di una spesa del personale che arriva al 60-65% del bilancio comunale. In pratica quasi tutti i dipendenti hanno beneficiato di uno o anche due scatti di promozione». E per questo ora, conti alla mano, chiede a Scapagnini di presentare subito un’idea per uscire dalla crisi oppure di passare la mano.
Fino ad oggi il primo cittadino e la sua giunta hanno respinto ogni attacco («basta infangare la città») arrivando più volte a minacciare querele. Alcuni fatti, però, parlano da soli: i fornitori del Comune da tempo vengano pagati sempre più in ritardo così come i 4000 dipendenti dell’ente. Ed anche i revisori del Comune, in una relazione inviata l’anno scorso alla Corte dei conti, segnalavano una situazione di continua «tensione finanziaria», di debiti fuori bilancio e spese che non vengono ridotte ma che anzi continuano a correre come in passato. A distanza di un anno anche la magistratura contabile si è mossa dando al Comune 90 giorni di tempo per adottare interventi strutturali per evitare il crack. Licandro, intanto, ha deciso di investire della questione la Procura: «quello degli ispettori del Tesoro è un atto d’accusa durissimo - sostiene - la giunta ha ripetutamente violato in modo formale e sostanziale leggi e principi contabili». Per l’amministrazione invece la situazione «non appare assolutamente catastrofica come invece l’opposizione vorrebbe far credere». E partendo dalle stesse cifre certificate dal Tesoro la giunta avrebbe già messo a punto un piano che sindaco e assessore al Bilancio illustreranno questa sera al consiglio comunale.
Gioielli in vendita Da mesi l’opposizione denuncia le «manovre scorrette» di Scapagnini e c. Al centro delle polemiche c’è la società «Catania Risorse», oggetto di diverse interrogazioni parlamentari e dalla quale lo scorso Capodanno la giunta catanese ha girato la bellezza di 65 milioni di euro di immobili, «da valorizzare». Insomma da vendere. Nell’attesa la società, una srl con un capitale di appena 30 mila euro, presieduta dal segretario comunale, Armando Giacalone, è stata autorizzata a contrarre mutui per un valore pari a quello degli immobili ricevuti in dote. In maniera tale da consentire al Comune di poter contabilizzare in extremis, giusto l’ultimo giorno dell’anno, un’entrata cospicua. Che ha riequilibrato i conti ed evitato il commissariamento. «Hanno fatto tutto in pochissimo tempo - raccontano i bene informati - con le posizioni giurate addirittura fatte in un’unica giornata, neanche fosse la vendita di un tre vani».
La delibera è stata messa in piedi in fretta e furia. Le perizie degli immobili sono state redatte e depositate nel giro di 24 ore a cura di un semplice ragioniere del Comune alla vigilia dell’approvazione del progetto. Passato nonostante il parere contrario del Collegio di difesa. Nella pancia di «Catania Risorse» sono finiti così 14 immobili, tra cui l’ex monastero di Sant’Agata, che ospita uffici comunali ed un centro sociale, gli edifici barocchi di via Crociferi e via di San Giuliano, l’ex Caserma Malerba, l’ex monastero di Santa Chiara, dove Giovanni Verga ambientò la clausura della protagonista di «Storia di una capinera» e dove ora si trovano l’Anagrafe e la sala matrimoni. E poi uffici, biblioteche, l’autoparco comunale e l’ex mercato rionale di Nesima. «Vendita illegittima» sostengono Bianco e gli altri parlamentari catanesi del centrosinistra. «Nessuna intenzione di vendere, ma solo la necessità di utilizzare meglio questi immobili così come consentono le leggi» ribattono dalla Giunta.
«Per otto beni immobili l’atto è nullo» ha fatto sapere a febbraio la Sovrintendente ai beni culturali Grazia Branciforti che ha messo il veto sulla loro cessione giocandosi il posto di lì a qualche settimana tra lo sdegno di mezza città. A suo parere monasteri e conventi, tutti risalenti al XVI e XVIII secolo, sono beni di «eccezionale interesse storico-artistico», «opere mirabili» del periodo tardo-barocco inserite dall’Unesco nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità da tutelare e non si possono cedere. «Si sono comportati come Totò con la Fontana di Trevi» denuncia Saro D’Agata, capogruppo Ds a palazzo degli Elefanti. «Attacchi strumentali» ribattono dallo staff di Scapagnini. Lo stop della Sovrintendenza ha chiaramente messo in difficoltà la Giunta, ma il rimedio è stato trovato rapidamente: a fine aprile la giunta ha deciso di trasferire a «Catania risorse» altri beni per 108 milioni di euro, per lo più impianti sportivi come la «cittadella» ed il campo sportivo di Nesima, il campo da calcio di Zia Luisa ed il Duca d’Aosta.
Sprechi e regalie Secondo l’amministrazione di Catania non esiste un problema-debiti perché il Comune, non solo ha un ricco patrimonio stimato all’incirca 8-900 milioni di euro, ma vanta anche crediti per 220 milioni. L’opposizione invece parla di tutt’altre cifre. Bianco agli 83 milioni di perdite già acclarate aggiunge «40 milioni di euro fuori bilancio, le perdite dell’azienda trasporti Amt, che non vengono mai considerate ma che sono a loro volta ingenti, e quelle che potrebbero emergere dai bilanci del 2005 e del 2006». E Licandro rilancia: «Veniamo da 7 anni di amministrazione allegrissima: mutui da tutte le parti difficilmente giustificabili, ed una quantità impressionante di consulenze, a cominciare dai 24 mila euro spesi per ingaggiare una giovane 22enne, nota per essere stata Miss Eritrea, come “consulente per lo sviluppo industriale della città”. Per non parlare dei rimborsi dell’indennità “cenere lavica” (compresi tra 300 e 1000 euro) erogati a tutti e 4mila i dipendenti del Comune, senza alcuna distinzione, tre giorni prima delle comunali del 2005». Una partita questa già finita all’attenzione della magistratura: il processo a carico di Scapagnini ed 8 assessori è tutt’ora in corso. Le accuse vanno da abuso d’ufficio a violazione della legge elettorale.
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