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Spiace apprendere questa notizia, dall'adolescenza per me è stato davvero un riferimento, sulle sue musiche e su i suoi testi ci ho fatto affidamento in tante situazioni.
Spiace apprendere questa notizia, dall'adolescenza per me è stato davvero un riferimento, sulle sue musiche e su i suoi testi ci ho fatto affidamento in tante situazioni.
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Non so quanti anni hai, ma anche io (che sono stato adolescente negli '80, nei luccicanti, patinati e musicalmente meravigliosi anni '80) "La voce del padrone" me lo sono consumato tutto, in specie al ginnasio, quando qualche volta si dava buca a scuola e con quelle mattine di libertà mi portavo in cuffia quell'album di Battiato. Al liceo non posso invece dimenticare "Fisiognomica", un album sublime.
Mio zio aveva in casa, ricordo, i suoi primissimi lavori sperimentali (Pollution, Fetus) e quando andavo dai nonni mi capitava di ascoltarli, ma ero troppo piccolo e quegli album troppo avanti.
Invece ho impressa Alice, una delle sue interpreti favorite, perchè il primo Festival di cui ho ricordo è quello dove Alice vinse con "Per Elisa" (1981), un brano firmato da Battiato e Pio. Canzone stupenda, di un Battiato ovviamente più commerciale, tanto da riuscire a restare impressa ad un bambino quale ero io, ma quella musica e quel testo, e la bellissima (e bravissima) Alice, avevano un qualcosa che mi catturava.
Una canzone anche quella con vari livelli di profondità e lettura, che si presta a varie interpretazioni di testo e di senso, come spesso con Battiato, che è poi la sua cifra artistica, dove le sue opere sembrano quasi offrire una immagine che si dà prima davanti e poi dietro al velo.
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Non so quanti anni hai, ma anche io (che sono stato adolescente negli '80, nei luccicanti, patinati e musicalmente meravigliosi anni '80) "La voce del padrone" me lo sono consumato tutto, in specie al ginnasio, quando qualche volta si dava buca a scuola e con quelle mattine di libertà mi portavo in cuffia quell'album di Battiato. Al liceo non posso invece dimenticare "Fisiognomica", un album sublime.
Mio zio aveva in casa, ricordo, i suoi primissimi lavori sperimentali (Pollution, Fetus) e quando andavo dai nonni mi capitava di ascoltarli, ma ero troppo piccolo e quegli album troppo avanti.
Invece ho impressa Alice, una delle sue interpreti favorite, perchè il primo Festival di cui ho ricordo è quello dove Alice vinse con "Per Elisa" (1981), un brano firmato da Battiato e Pio. Canzone stupenda, di un Battiato ovviamente più commerciale, tanto da riuscire a restare impressa ad un bambino quale ero io, ma quella musica e quel testo, e la bellissima (e bravissima) Alice, avevano un qualcosa che mi catturava.
Una canzone anche quella con vari livelli di profondità e lettura, che si presta a varie interpretazioni di testo e di senso, come spesso con Battiato, che è poi la sua cifra artistica, dove le sue opere sembrano quasi offrire una immagine che si dà prima davanti e poi dietro al velo.
Io sono nato nell'84, e questo la dice lunga su quanto fosse molto avanti e su quanto sia immortale la sua produzione, tutt'oggi attualissima.
Nelle serate "disgraziate", quando non riuscivo a prendere sono, ricordo che bastavano le cuffiette e pochi secondi di prospettiva nevski per placare l'animo, come fosse un padre che legge una favola ad un figlio, un timbro unico.
Marcello Veneziani dedica un suo articolo al maestro Battiato, al suo silente ed enigmatico tramonto. Mi sembra questo il 3d dove postarlo. Non metto alcun video perchè le canzoni di Battiati sono notissime, ciascuno ha la sua, si può pescare nella fase della consacrazione (i primi anni '80), in quella dove inizia una forte introspezione (da Fisiognomica in avanti), in quella della collaborazione con Sgalambro. In mezzo le canzoni con e per Alice, Giuni Russo. Il legame con Giusto Pio e tanti altri capitoli musicali e artistici che sono patrimonio italiano.
Una voce evocativa, una presenza che in fondo misteriosa lo è stata sempre, così lontana anche quando era presente. Ora in quella Sicilia che fu greca ed araba - culture di cui Battiato si è impregnato e dove ha immerso sovente anche le sue musiche ed i testi - che è allo stesso tempo solare e orfica, si va consumando il tempo ultimo di questo grandissimo cantante, compositore, artista.
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Il mistero di Franco Battiato
Ma in quale altro mondo è andato ad abitare Franco Battiato? Di lui non si sa più nulla da anni, ha intrapreso un viaggio in quel paese che gli somiglia tanto, per citare una sua canzone con le parole di Manlio Sgalambro che fanno il verso a Baudelaire. Dopo un paio d’incidenti è entrato in un misterioso nascondiglio, una specie di penombra sacra, forse di oscuramento della mente, che la pietà dei suoi cari proteggono da ogni sguardo curioso. Anche Aldo Nove, che gli ha dedicato ora una bella biografia che è poi un atto d’amore (Franco Battiato, Sperling & Kupfer), pare reticente sul passaggio all’ombra di Battiato, per rispettare il suo silenzio, per non oltraggiare la sua solitudine. O forse neanche lui sa davvero cosa sia successo.
Non è la morbosità di sapere che ci spinge a scrivere di Battiato, ora 75enne: ma è per rendere onore a un cantautore d’eccezione, “un essere speciale”; una voce davvero unica, diversa, nel panorama della canzone. E non sto parlando solo di gusti musicali ma di una rarità assoluta: quello di Battiato è un canto spirituale. So quante ironie ha destato il suo linguaggio e la sua buffa stravaganza, a cominciare dai suoi conterranei, da Fiorello che ne fece gustose parodie all’antico re della tv, Pippo Baudo. Tre cannoni siciliani, anzi catanesi, di provincia.
Ma l’aura delle sue canzoni, il tono della sua voce, l’atmosfera della sua musica, hanno un fascino evocativo, luminoso e arcano, che ti portano in un altrove. Sono esperienze spirituali, alcune si cimentano col mondo reale, con gli amori, la vita, il proprio tempo, i sentimenti e perfino la rabbia e lo sdegno; ma si avverte anche in quelle canzoni una presa di distanza, un passo diverso, come un respiro di altri mondi. A dividere e congiungere il sacro e il profano c’è in Battiato la sottile linea dell’ironia, che si fa talvolta auto-ironia, e stempera il tono ieratico nel tono ludico, si fa beffe dell’avida frenesia e ignoranza dei contemporanei. Sappiamo il retroterra di Battiato: René Guénon e Gurdjieff, i sufi, i dervisci. C’è un suo libretto, Il silenzio e l’ascolto (Castelvecchi), in cui conversa con Raimon Panikkar, Alejandro Jodorowsky, Gabriele Mandel e Claudio Rocchi. Ma altre pubblicazioni recano la sua impronta e accompagnano insieme alla sua pittura, come ali leggere, il suo cammino musicale.
Tra i mondi che abita Battiato c’è pure quello magico della sua Sicilia. Fu proprio il filo della nostalgia per l’infanzia che mi fece conoscere Battiato. Lo seguivo da anni, avevo pubblicato come editoriale su l’Italia settimanale il testo di Povera Patria. Ma fu la sua lettura di un mio libro dedicato alla nostalgia dell’infanzia che mi avvicinò a lui. Venne a presentarlo a Roma insieme a Giorgio Albertazzi e Pupi Avati. Arrivò per ultimo, in volo da Catania, e appena finì il suo intervento riprese il volo. Come se avesse parcheggiato l’aereo ancora rombante fuori dalla sala… Ritrovai poi consonanze d’infanzia e ricordi di controre d’estate al sud nel suo film autobiografico Perdutoamor.
Difficile dire a quale canzone di Battiato si è più legati… Il centro di gravità permanente, Il vuoto, L’ombra della luce, l’Oceano di silenzio, Lode all’Inviolato, Pasqua etiope, E ti vengo a cercare, Le nostre anime, l’incanto multiplo dei Fleurs… E la più bella canzone d’amore che io conosca, La Cura, che commuove alle lacrime Aldo Nove, e non solo lui. Poi le voci straordinarie che a lui si accompagnano, di Giuni Russo, di Alice, di Antonella Ruggero. Se Lucio Battisti esprime l’incanto perenne dell’adolescenza e Mina evoca la potenza struggente degli amori sfioriti, Franco Battiato canta la grazia dell’altrove, in una visione oltre la vita. “Via via via da queste sponde/ portami lontano sulle onde”.
Mi pento di aver ironizzato anni fa su un suo intervento sconcertante in tv dalla Gruber nella sua breve parabola di assessore alla cultura della regione siciliana; un dialogo dada, per non dire demenziale, con pause e malintesi imbarazzanti che forse era la spia di uno stato mentale che stava alterandosi. Il suo impegno in politica fu un errore e non perché abbia scelto quel versante. La via dei canti di Battiato è al di là della destra o della sinistra, e succedanei.
A spiegare la sparizione di Battiato ci soccorre Sgalambro che scriveva in Teoria della Sicilia, premessa al libretto dell’opera di Battiato Il cavaliere dell’intelletto: “La volontà di sparire è l’essenza esoterica della Sicilia. Poiché ogni isolano non avrebbe voluto nascere, egli vive come chi non vorrebbe vivere; la storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori”. La notazione di Sgalambro forse non vale per tutti i siciliani, in cui la tendenza a sparire gareggia con la tendenza teatrale a ostentare, anche il dolore e la magnificenza. Ma certo vale per lui e per Battiato. Forse fu quella la molla del loro incontro tra siciliani “a latere”. Un cantautore che frequentava altri orienti, in sintonia col mistico coautore Giusto Pio, s’incontra col filosofo più nichilista ed empio dei nostri tempi. “Mi capitò tra i piedi Battiato – raccontava Sgalambro da Lentini – ed è stato uno di quegli incontri che ti portano fuori strada”. Me li ricordo insieme a cena dopo un suo strepitoso concerto a Segesta. Erano le tre di notte, eravamo sul mare a San Vito Lo Capo, ero a tavola di fronte a lui e Sgalambro che fingevano di mangiare, entrambi con lenti nere e silenzi tombali. Alle tre di notte.
Di recente è arrivato dal suo iperuranio un corpo celeste in forma di canzone, dal titolo evocativo e l’atmosfera struggente, Torneremo ancora, che allude all’Eterno ritorno, alla reincarnazione, al tempo circolare e alla potenza evocativa del tornare. Ritorni presto l’era del Cinghiale Bianco.
Non so quanti anni hai, ma anche io (che sono stato adolescente negli '80, nei luccicanti, patinati e musicalmente meravigliosi anni '80) "La voce del padrone" me lo sono consumato tutto, in specie al ginnasio, quando qualche volta si dava buca a scuola e con quelle mattine di libertà mi portavo in cuffia quell'album di Battiato. Al liceo non posso invece dimenticare "Fisiognomica", un album sublime.
Mio zio aveva in casa, ricordo, i suoi primissimi lavori sperimentali (Pollution, Fetus) e quando andavo dai nonni mi capitava di ascoltarli, ma ero troppo piccolo e quegli album troppo avanti.
Invece ho impressa Alice, una delle sue interpreti favorite, perchè il primo Festival di cui ho ricordo è quello dove Alice vinse con "Per Elisa" (1981), un brano firmato da Battiato e Pio. Canzone stupenda, di un Battiato ovviamente più commerciale, tanto da riuscire a restare impressa ad un bambino quale ero io, ma quella musica e quel testo, e la bellissima (e bravissima) Alice, avevano un qualcosa che mi catturava.
Una canzone anche quella con vari livelli di profondità e lettura, che si presta a varie interpretazioni di testo e di senso, come spesso con Battiato, che è poi la sua cifra artistica, dove le sue opere sembrano quasi offrire una immagine che si dà prima davanti e poi dietro al velo.
Io mi ricordo quell'estate dell'81 (avevo 6 anni) ad ascoltare quel disco di mio padre. "Summer on a solitary beach" la più rappresentativa di me che ascoltavo, al tempo, che fantasticavo di essere portato via... "via via via da queste sponde".... "portami lontano sulle onde".... "mare mare mare fammi annegare".... che secondo me fa un po' il verso all'Infinito di Leopardi. "Gli Uccelli" la biù bella, senza ombra di dubbio, che incarna proprio quel confine tra l'umano e la perfezione dell'assoluto.
E a proposito di brani più commerciali... "Cuccuruccucù" è pop, ma è l'archetipo del pop, è pop ad un livello di qualità che è oltre, che trascende se stesso. Battiato è così ecclettico da poter affrontare ogni genere e farlo meglio.
Con Battiato non si sbaglia. Un amico restò disperso durante una spedizione alpinistica sulle alpi una manciata di anni fa; lo trovarono in primavera in un unico blocco di ghiaccio con addosso gli scarponi. Quando (in inverno) fu certo come la storia sarebbe finita, gli dedicai questa:
Sempre per sottolineare i vari livelli di lettura dei quali parli.
Io mi ricordo quell'estate dell'81 (avevo 6 anni) ad ascoltare quel disco di mio padre. "Summer on a solitary beach" la più rappresentativa di me che ascoltavo, al tempo, che fantasticavo di essere portato via... "via via via da queste sponde".... "portami lontano sulle onde".... "mare mare mare fammi annegare".... che secondo me fa un po' il verso all'Infinito di Leopardi. "Gli Uccelli" la biù bella, senza ombra di dubbio, che incarna proprio quel confine tra l'umano e la perfezione dell'assoluto.
E a proposito di brani più commerciali... "Cuccuruccucù" è pop, ma è l'archetipo del pop, è pop ad un livello di qualità che è oltre, che trascende se stesso. Battiato è così ecclettico da poter affrontare ogni genere e farlo meglio.
Con Battiato non si sbaglia. Un amico restò disperso durante una spedizione alpinistica sulle alpi una manciata di anni fa; lo trovarono in primavera in un unico blocco di ghiaccio con addosso gli scarponi. Quando (in inverno) fu certo come la storia sarebbe finita, gli dedicai questa:
Sempre per sottolineare i vari livelli di lettura dei quali parli.
Non poteva esserci dedica più adatta e più bella, in specie in questa evocativa versione di Battiato del noto (lo diciamo per chi non lo sapesse) brano di De Andrè, il quale confeziona un testo quanto mai poetico. Qui si sottolinea ancor più come Battiato sia non solo il grandissimo autore che tutti conosciamo ma anche un grande interprete, con quella sua vocalità tutta particolare, colorata di quel mistero di cui bene ci racconta Veneziani nel suo articolo.
Sul resto sono d'accordo, Battiato all'alba degli anni '80 decide di fare un album commerciale, un album da un milione di copie, per imporsi all'attenzione del grande pubblico: uscirà fuori appunto "La voce del padrone", con dentro le canzoni che citi e altre notissime (è un album di hit praticamente). Contemporaneamente fa decollare in modo clamoroso la carriera di Alice (con la vittoria a Sanremo con l'ambigua "Per Elisa") e poi scriverà per Giuni Russo: in un paio di anni Battiato si impone come il nuovo re Mida della canzone italiana.
E' un pop commerciale ma appunto alto. Canzoni piene di rimandi, connessioni, vari piani letterali e di significato. Perchè anche il commerciale va distinto: "centro di gravità permanente" è canzone orecchiabile, ma ha uno spessore che quelle coeve dei Righeira, per dire, non hanno.
Il pop di Battiato è un pop che intende fare scuola, cioè dire qualcosa a chi ascolta, trasportarlo comunque su lidi altri, ammantanto, issato su di una sorta di musicale tappeto volante dove, veicolato dalle note, dalla voce, dai testi di Battiato (e collaboratori), viaggia su mondi poetici e al tempo stesso così reali, perchè interiori, radicati in ciascuno di noi.
...ma di noi
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