Vive tra cataste di vecchi scatoloni in una stanza in cui scorrazzano i topi
L'invalido sfrattato tre volte dagli abusivi
Dal '77 aspetta una casa popolare a Pizzo Calabro. Ogni volta beffato da un blitz (con sanatoria)
PIZZO CALABRO (Vibo Valentia) — «Mastro Lino, in memoria di vostra madre un appartamento lo diamo a voi». Così gli dissero, svergognati, gli abusivi che avevano occupato la palazzina scavalcando il corpo della donna uccisa da un infarto per difendere l'alloggio popolare assegnato alla famiglia del figlio invalido. Gli occhi umidi, lui rispose di no: «Nella "mia" casa voglio entrare dalla porta principale». Due anni dopo, abita ancora nell'oscena topaia dove stava. E la «sua» casa, per la terza volta, rischia per sanatoria di finire ad altri.
Siamo a Pizzo Calabro, nel quartiere Castello, a pochi metri dal maniero aragonese in cui fu rinchiuso, processato e fucilato Gioacchino Murat, il marito di Carolina Bonaparte che Napoleone aveva messo sul trono di Napoli. Rione degradato, strade così strette che non ci passi con l'ombrello aperto, case diroccate, tetti sfondati. E odore di miseria. Quell' odore dolciastro di fogne e gasolio, muffa e immondizia che hanno i «bassi» popolari di tutto il pianeta.
Michele Vallone, detto «Mastro Lino», vive qui. Accampato tra cataste di vecchi scatoloni e vecchi vestiti e vecchi giornali e vecchie brande e vecchie poltrone sfondate con la moglie Carmela e tre dei quattro figli. La quarta, meno male, si è sposata e vive da un'altra parte. Una stanza più uno sgabuzzino in comproprietà con una colonia di sorci neri e sfrontati al piano terra. Due stanze stracolme di letti e materiale vario ammassato al piano di sopra, al quale si accede con una microscopica scala a chiocciola inutilizzabile per chi non è smilzo. I soffitti, dice una relazione del comune del 1995, vanno da 2 metri e 26 a 2 metri e 55 centimetri: molto al di sotto del minimo obbligatorio. Le pareti hanno «evidenti infiltrazioni». La casa «non è salubre». Dodici anni dopo la situazione è peggiorata ancora. E la rottura mai riparata della copertura provvisoria dell'antica fogna a cielo aperto rende l'aria pesante quando è freddo, irrespirabile con le prime canicole. Affitto del tugurio: 130 euro al mese. Più della metà di quello che «Mastro Lino» prende come sussidio per l'invalidità al 70 per cento dovuta alla deformazione ossea del petto carenato che dall'infanzia lo fa camminare storto. E che gli consente solo di lavoricchiare a settecento euro al mese come inserviente in una scuola. Facciamola corta: se c'è una famiglia italiana che ha diritto a essere strappata da una stamberga infame per avere una casa popolare è la famiglia sua. Eppure, dopo aver fatto la domanda nel lontano 1977, quando era ancora vivo Charlie Chaplin e a san Pietro c'era Paolo VI, non è ancora riuscito ad avere un appartamento. Di più, glielo hanno fregato sotto il naso per tre volte.
La prima, a metà degli anni 80, glielo soffiarono gli uffici pubblici che stilando le graduatorie gli attribuirono un reddito «indefinito» e dimenticarono di segnare uno dei figli. Protestò: «Ne ho tre e con tre sarei nelle posizioni di testa!» Tutto inutile: «Scusate, Mastro Lino, ma ormai…». La seconda, nel '92, dopo che gli era nato il quarto figlio e gli avevano riconosciuto che viveva in uno stambugio «antigienico» dai soffitti troppo bassi e per di più con lo sfratto esecutivo, fu piazzato al quinto posto tra gli aventi diritto. Ma sul più bello un gruppo di famiglie occupò le palazzine appena costruite. Sperò che gli abusivi fossero buttati fuori e così gli scrisse il Comune di Pizzo, invitandolo a presentarsi alle ore 9 del 22 luglio 1993 in località Sant'Antonio giacché a quell' ora sarebbero stati «eseguiti gli sfratti» e quindi lui avrebbe potuto prendere possesso della sua casa. Macché: la Regione fece una sanatoria, riconoscendo agli abusivi di restare dentro anche con un «reddito doppio» di quello richiesto per le case popolari.
Risultato: i furbi vennero premiati e lui restò coi topi. La beffa tragica, però, arrivò due anni fa. Ventotto anni dopo la prima invocazione di un alloggio popolare, Mastro Lino si ritrovò a svettare in testa alla classifica provvisoria dei futuri inquilini di una palazzina a non più di cento metri dalla caserma dei carabinieri. Niente di speciale, ma una casa civile, finalmente. Con l'acqua e la luce e tre camere e un poggiolo. Senza le macchie sui muri. Senza topi. Per mesi e mesi, rimenandosi nel letto, Mastro Lino sognò tutte le notti la sua nuova camera, dove non avrebbe più dovuto dormire insieme con i figli. Ma la pratica burocratica, di ufficio in ufficio, di bollo in bollo, di timbro in timbro, non finiva mai. Da luglio si arrivò a Natale, a Capodanno, all'Epifania. Finché la mattina del 17 gennaio 2005 qualcuno lanciò l'allarme: «Stanno occupando la palazzina vostra!». Ma come: nonostante le serrature di sicurezza? Nonostante il sistema d'allarme istallato dall'«Aterp», l'azienda territoriale per le case popolari?
Nonostante i carabinieri a due passi e i vigili urbani a poche centinaia di metri? La prima ad arrivare sul posto, portata da un nipote, fu la madre di Mastro Lino, la vecchia Teresa. Che si parò nel corridoio della scala di sinistra cercando di impedire il passaggio agli abusivi che andavano su e giù portando poltrone e cassapanche e televisori e letti: «Non potete farlo! Mio figlio aspetta da quasi trent'anni! Non potete farlo!» Forse ricevette qualche spinta, forse qualcuno le urlò di farsi gli affari suoi. Fatto sta che le mancò il cuore. E crollò a terra, in mezzo al corridoio.
«E' morta!», disse qualcuno. Le buttarono sopra una coperta e continuarono ad andare avanti e indietro coi mobili, scansando il cadavere. E i carabinieri? Boh… I vigili urbani? Boh… I poliziotti accorsi con le volanti ? Boh… Tutti sul posto, tutti incapaci di intervenire, tutti ad allargar le braccia davanti agli insulti e alle lacrime di rabbia di Mastro Lino e della sua famiglia. Che avrebbero tappezzato il pese di manifesti: «Vergogna!» Due giorni dopo, mentre il sindaco e l'Aterp e le autorità costituite assicuravano che gli abusivi sarebbero stati subito sgombrati e «bla bla bla», una piccola delegazione di occupanti si presentò alla stamberga di Mastro Lino: «C'è ancora un appartamento, è bello, l'abbiamo tenuto per voi». «Grazie, ma da quando in qua le assegnazioni vengono fatte dagli abusivi, ah? Da quando? A casa mia voglio entrare per la porta con la mia chiave, senza rompere la serratura!» Due anni dopo, i prepotenti sono ancora lì. L'Enel non ha allacciato la luce? E loro, miracolo!, la luce ce l'hanno. Il comune non ha allacciato le condotte di acqua? E loro, miracolo!, l'acqua ce l'hanno. E ad ogni balcone, indecente ed offensiva nei confronti dei poveri veri che vivono in condizioni disperate, c'è un'antenna parabolica per vedere Sky e le tivù satellitari. Uno spettacolo umiliante. Che adesso, secondo l'avvocato Giuseppe Pasquino di Vibo Valentia, potrebbe essere reso insopportabile da una nuova sanatoria regionale.
Magari tra gli applausi di quei pezzi di sinistra (e di destra) che in questi casi, da Sondrio a Capo Passero, invocano da sempre nuovi perdoni per chi occupa le case altrui. Ameno che, per una volta, lo Stato non decida di mostrare finalmente di esistere anche a Pizzo Calabro. E ripristini un minimo di legalità buttando fuori i furbi e restituendo le loro case a Mastro Lino e a quelli come lui.
Gian Antonio Stella
L'invalido sfrattato tre volte dagli abusivi
Dal '77 aspetta una casa popolare a Pizzo Calabro. Ogni volta beffato da un blitz (con sanatoria)
PIZZO CALABRO (Vibo Valentia) — «Mastro Lino, in memoria di vostra madre un appartamento lo diamo a voi». Così gli dissero, svergognati, gli abusivi che avevano occupato la palazzina scavalcando il corpo della donna uccisa da un infarto per difendere l'alloggio popolare assegnato alla famiglia del figlio invalido. Gli occhi umidi, lui rispose di no: «Nella "mia" casa voglio entrare dalla porta principale». Due anni dopo, abita ancora nell'oscena topaia dove stava. E la «sua» casa, per la terza volta, rischia per sanatoria di finire ad altri.
Siamo a Pizzo Calabro, nel quartiere Castello, a pochi metri dal maniero aragonese in cui fu rinchiuso, processato e fucilato Gioacchino Murat, il marito di Carolina Bonaparte che Napoleone aveva messo sul trono di Napoli. Rione degradato, strade così strette che non ci passi con l'ombrello aperto, case diroccate, tetti sfondati. E odore di miseria. Quell' odore dolciastro di fogne e gasolio, muffa e immondizia che hanno i «bassi» popolari di tutto il pianeta.
Michele Vallone, detto «Mastro Lino», vive qui. Accampato tra cataste di vecchi scatoloni e vecchi vestiti e vecchi giornali e vecchie brande e vecchie poltrone sfondate con la moglie Carmela e tre dei quattro figli. La quarta, meno male, si è sposata e vive da un'altra parte. Una stanza più uno sgabuzzino in comproprietà con una colonia di sorci neri e sfrontati al piano terra. Due stanze stracolme di letti e materiale vario ammassato al piano di sopra, al quale si accede con una microscopica scala a chiocciola inutilizzabile per chi non è smilzo. I soffitti, dice una relazione del comune del 1995, vanno da 2 metri e 26 a 2 metri e 55 centimetri: molto al di sotto del minimo obbligatorio. Le pareti hanno «evidenti infiltrazioni». La casa «non è salubre». Dodici anni dopo la situazione è peggiorata ancora. E la rottura mai riparata della copertura provvisoria dell'antica fogna a cielo aperto rende l'aria pesante quando è freddo, irrespirabile con le prime canicole. Affitto del tugurio: 130 euro al mese. Più della metà di quello che «Mastro Lino» prende come sussidio per l'invalidità al 70 per cento dovuta alla deformazione ossea del petto carenato che dall'infanzia lo fa camminare storto. E che gli consente solo di lavoricchiare a settecento euro al mese come inserviente in una scuola. Facciamola corta: se c'è una famiglia italiana che ha diritto a essere strappata da una stamberga infame per avere una casa popolare è la famiglia sua. Eppure, dopo aver fatto la domanda nel lontano 1977, quando era ancora vivo Charlie Chaplin e a san Pietro c'era Paolo VI, non è ancora riuscito ad avere un appartamento. Di più, glielo hanno fregato sotto il naso per tre volte.
La prima, a metà degli anni 80, glielo soffiarono gli uffici pubblici che stilando le graduatorie gli attribuirono un reddito «indefinito» e dimenticarono di segnare uno dei figli. Protestò: «Ne ho tre e con tre sarei nelle posizioni di testa!» Tutto inutile: «Scusate, Mastro Lino, ma ormai…». La seconda, nel '92, dopo che gli era nato il quarto figlio e gli avevano riconosciuto che viveva in uno stambugio «antigienico» dai soffitti troppo bassi e per di più con lo sfratto esecutivo, fu piazzato al quinto posto tra gli aventi diritto. Ma sul più bello un gruppo di famiglie occupò le palazzine appena costruite. Sperò che gli abusivi fossero buttati fuori e così gli scrisse il Comune di Pizzo, invitandolo a presentarsi alle ore 9 del 22 luglio 1993 in località Sant'Antonio giacché a quell' ora sarebbero stati «eseguiti gli sfratti» e quindi lui avrebbe potuto prendere possesso della sua casa. Macché: la Regione fece una sanatoria, riconoscendo agli abusivi di restare dentro anche con un «reddito doppio» di quello richiesto per le case popolari.
Risultato: i furbi vennero premiati e lui restò coi topi. La beffa tragica, però, arrivò due anni fa. Ventotto anni dopo la prima invocazione di un alloggio popolare, Mastro Lino si ritrovò a svettare in testa alla classifica provvisoria dei futuri inquilini di una palazzina a non più di cento metri dalla caserma dei carabinieri. Niente di speciale, ma una casa civile, finalmente. Con l'acqua e la luce e tre camere e un poggiolo. Senza le macchie sui muri. Senza topi. Per mesi e mesi, rimenandosi nel letto, Mastro Lino sognò tutte le notti la sua nuova camera, dove non avrebbe più dovuto dormire insieme con i figli. Ma la pratica burocratica, di ufficio in ufficio, di bollo in bollo, di timbro in timbro, non finiva mai. Da luglio si arrivò a Natale, a Capodanno, all'Epifania. Finché la mattina del 17 gennaio 2005 qualcuno lanciò l'allarme: «Stanno occupando la palazzina vostra!». Ma come: nonostante le serrature di sicurezza? Nonostante il sistema d'allarme istallato dall'«Aterp», l'azienda territoriale per le case popolari?
Nonostante i carabinieri a due passi e i vigili urbani a poche centinaia di metri? La prima ad arrivare sul posto, portata da un nipote, fu la madre di Mastro Lino, la vecchia Teresa. Che si parò nel corridoio della scala di sinistra cercando di impedire il passaggio agli abusivi che andavano su e giù portando poltrone e cassapanche e televisori e letti: «Non potete farlo! Mio figlio aspetta da quasi trent'anni! Non potete farlo!» Forse ricevette qualche spinta, forse qualcuno le urlò di farsi gli affari suoi. Fatto sta che le mancò il cuore. E crollò a terra, in mezzo al corridoio.
«E' morta!», disse qualcuno. Le buttarono sopra una coperta e continuarono ad andare avanti e indietro coi mobili, scansando il cadavere. E i carabinieri? Boh… I vigili urbani? Boh… I poliziotti accorsi con le volanti ? Boh… Tutti sul posto, tutti incapaci di intervenire, tutti ad allargar le braccia davanti agli insulti e alle lacrime di rabbia di Mastro Lino e della sua famiglia. Che avrebbero tappezzato il pese di manifesti: «Vergogna!» Due giorni dopo, mentre il sindaco e l'Aterp e le autorità costituite assicuravano che gli abusivi sarebbero stati subito sgombrati e «bla bla bla», una piccola delegazione di occupanti si presentò alla stamberga di Mastro Lino: «C'è ancora un appartamento, è bello, l'abbiamo tenuto per voi». «Grazie, ma da quando in qua le assegnazioni vengono fatte dagli abusivi, ah? Da quando? A casa mia voglio entrare per la porta con la mia chiave, senza rompere la serratura!» Due anni dopo, i prepotenti sono ancora lì. L'Enel non ha allacciato la luce? E loro, miracolo!, la luce ce l'hanno. Il comune non ha allacciato le condotte di acqua? E loro, miracolo!, l'acqua ce l'hanno. E ad ogni balcone, indecente ed offensiva nei confronti dei poveri veri che vivono in condizioni disperate, c'è un'antenna parabolica per vedere Sky e le tivù satellitari. Uno spettacolo umiliante. Che adesso, secondo l'avvocato Giuseppe Pasquino di Vibo Valentia, potrebbe essere reso insopportabile da una nuova sanatoria regionale.
Magari tra gli applausi di quei pezzi di sinistra (e di destra) che in questi casi, da Sondrio a Capo Passero, invocano da sempre nuovi perdoni per chi occupa le case altrui. Ameno che, per una volta, lo Stato non decida di mostrare finalmente di esistere anche a Pizzo Calabro. E ripristini un minimo di legalità buttando fuori i furbi e restituendo le loro case a Mastro Lino e a quelli come lui.
Gian Antonio Stella
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