Originariamente Scritto da THE ALEX
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Eccomi qua.
Questo mi sembra il nodo della questione.
Quanti, e mi ci metto io per primo, possono dire di avere, oggi, scelto la vita che fanno? Quanti hanno intrapreso un percorso, lavorativo-ad esempio-, di cui intravedevano un risultato X e che poi si è concretizzato, invece, in un risultato Y diverso ed inferiore alle attese?
Quanti danno la colpa alla sfortuna, alla corruzione del sistema che ti fa passare davanti altri, quanti non prendono atto, qui si che ci vogliono le palle, del proprio fallimento?
Un fallimento non è mai definitivo, può invece essere una base di partenza per una nuova vita, il famoso punto di rottura di cui parlavo all'inizio.
Nel tuo caso mi pare di capire che la meta non fosse certo del tutto ignota, avevi già una certa idea del paese, avevi condotto una vita comunque da "cane sciolto", se mi passi il termine, che ti può aver facilitato nel non farti imprigionare dal complesso dell'inerzia familistico-lavorativa, tutto italiota.
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