lisa germano

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  • Arturo Bandini
    Bodyweb Senior
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    lisa germano

    probabilmente non la conoscete, ma è la più grande songwriter degli ultimi 20 anni. Geek the girl è considerato tra i 10 album migliori di sempre, sopra qualsiasi album dei beatles... Slide è un capolavoro...
    sono rimasto impressionato a leggere che per mantenersi è costretta a lavorare in una libreria, è semi alcolizzata e non ha uno straccio d' uomo...
    fa rabbia pensare che la cicciona che vive accanto a me c'ha famiglia ed è felice nella propria insipenza, e un genio come lisa non ha niente...
    è assurdo pensare che slide ha venduto solo 6000 copie!

    ascoltate questa canzone- è sconvolgente: la sua voce sommessa che intona una cantilena infantile, e in sottofondo la registrazione di una vera telefonata fatta a un numero di emergenza da una donna che stava subendo uno strupro

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    #2
    Lisa Germano

    di Antonello Comunale
    Da John Mellencamp a Michael Gira il passo non è breve. E' un percorso tortuoso che Lisa Germano si è trovata ad affrontare portando con sé canzoni, sogni, paure e visioni. Sempre sul punto di scomparire per sempre, sbarcando il lunario in un bookstore e collaborando con il musicista di turno. Un po' Emily Dickinson, un po' Giovanna d'Arco, un po' dark lady noir, un po' bambina fuori tempo massimo, quello che c'è da sapere su uno dei grandi talenti nascosti dell'America contemporanea.

    Una regina senza regno

    "Una regina senza regno" fu la definizione che Robert Mapplethorpe diede, una volta, di Laura Nyro. Al di là delle differenze anagrafiche, di metodo, di stile, di qualunque cosa, sembra la definizione più pertinente per definire anche Lisa Germano, che forse non a caso si è trovata a coverizzare proprio un brano della Nyro (Eli's Comin nell’antologia tributo Time And Love: The Music of Laura Nyro).
    Originaria di Mishawaka, nell'Indiana, terza di sei figli e dalle radici italiane (siciliane) per parte di padre, Lisa Germano è un piccolo fenomeno musicale degli anni '90. Sfortune produttive, ma soprattutto distributive, ne hanno costantemente minato la carriera. C'è sempre il vessillo di dover raddrizzare un torto storico, quando si parla di un artista sfortunato, ma nel caso della Germano la cosa si enfatizza ulteriormente.
    La fortuna critica della songwriter, nel corso degli anni, è stata un percorso a corrente alternata. E' stata definita "ex multistrumentista di Mellencamp" nonostante i due abbiamo smesso da molto tempo di lavorare insieme, oppure si è sempre sottolineato, in maniera più o meno evidente, la sfortuna discografica e di come fosse sottovalutata da pubblico e critica. Quando, dopo un silenzio di cinque anni, Lullaby For Liquid Pig ha portato di nuovo il nome di Lisa Germano sugli scaffali di dischi, l'80% delle recensioni presentava un cappelletto standard, che recitava più o meno così: "Dopo una carriera di tutto rispetto, e nonostante cinque ottimi dischi, Lisa Germano non è riuscita a ottenere tutto il successo che meritava". Chissà perché. In verità, Lisa Germano andrebbe per lo più ascoltata, nelle parole e nella musica. Bisognerebbe sospendere per un po' il giudizio, abbandonarsi alle melodie così ricercate e oblique, agli arrangiamenti sempre particolari e all'ironia amara e sarcastica dei testi.
    Quello di Lisa Germano è un mondo a sé stante, esattamente come quello di tutti i grandi cantautori. Un qualcosa verso cui muovere e perdersi. Il modo stesso in cui ha cominciato la carriera di musicista è un'anomalia, e quando l'anomalia da contingente diventa strutturale reca disturbo, non la si riesce ad inquadrare e ad inscatolare in formati standard. Non è cosa che capiti a tutti, quella di esordire all'età di 33 anni, di muovere i primi passi come session woman, multistrumentista e in particolare violinista per John Cougar Mellencamp e solo successivamente cominciare a fare dischi solisti (che, per inciso, c'entrano poco o nulla con lo stile del grande autore dell'Indiana). Sono Big Daddy e Lonesome Jubilee i suoi dischi impreziositi dal violino della Germano, con uno stile che si mostra subito versatile, arioso e ricco di spunti melodici. Quello che doveva essere il battesimo di fuoco si rivela, con il senno di poi, solo il primo di un lunghissimo percorso di collaborazioni che ha dell'incredibile. Subito dopo Mellencamp, darà una mano ai Simple Minds, e ancora si registrano collaborazioni con U2, Johnny Marr, Neil Finn, Eels, Michael Brook, Pat Green, Latin Playboys, David Bowie, Iggy Pop, Ed Harcourt, Yann Tiersen, Giant Sand, Indigo Girls, Wendy & Lisa, Sheryl Crow, Tracy Bonham, Craig Ross, Billy Joel, Bellamy Brothers, Harold Budd, Peter Maffay, Bob Seeger, Nancy Wilson... artisti che non potrebbero essere più diversi l'uno dall'altro. Anche a fronte delle collaborazioni avute nel corso del tempo, appare decisamente riduttivo limitare la Germano al rango di semplice "ex violinista per Mellencamp", ma più delle collaborazioni lo testimonia il suo curriculum solista.


    Il primo disco On The Way Down From The Moon Palace (Major Bill - Koch, 1991), sgombra subito il campo da dubbi di sorta, da timori revenziali, timidezze da debuttanti. Nonostante sia un album ancora acerbo e grezzo, con l'elemento country-folk e quello classico ancora separati e poco amalgamati, lo stile della Germano mostra subito fattezze gentili, ricercate, inedite. Metà del disco è composto da strumentali agrodolci. Un repertorio da romanza tradizionale, grandi praterie e sogni americani da coltivare. Ouverture è l'unico termine adatto ad etichettare i brani strumentali come la title track che apre il disco, Calling..., Screaming Angels Dancing In Your Garden, Simply Tony e Dark Irie. Veri e propri salti nel buio del suono. Frammenti di concerti per violino che aprono l'orizzonte di piccoli drammi domestici. I brani cantati sono country blues ironici e sarcastici, cantati a mezza voce e suonati quasi tutti in solitario. Blue Monday e Hangin' With A Dead Man narrano storie di relazioni difficili e controverse, il ruolo della donna nelle piccole comunità di provincia, fino all'incubo noir di Riding My Bike ( He followed me home/ He knows where I live/ He knows my name/ He followed me home/ He knows my name) e alla controversa resa con se stessi di Dig My Own Grave. The Other One - tappeto d'organo, ricami di violino e canto lunare - è il brano più originale del disco, quello dove la Germano si allontana definitivamente dal modello di Mellencamp, sebbene quello di Moon Palace sia un country declinato in un modo così femminile ed ironico da mantenere con il modello originario lo stesso rapporto di somiglianza che c'è tra Marylin e le serigrafie di Warhol. C'è sicuramente ancora molto su cui lavorare. Lo stile è ancora in fieri alla ricerca di una veste completamente personale. Eppure è già a fuoco l'idea di una musica aliena, chiusa nelle proprie paure e riflessioni, con una voce che più che cantare è per lo più un sussurro a labbra strette, con il bisogno di esternare qualcosa che si è covato a lungo dentro. (7.2/10)
    Sogni e lettere d'amore di una geek girl


    La sorpresa diventa certezza con Happiness (Capitol, 1993), un disco dove la mutazione si è ormai compiuta definitivamente e il ritratto dell'artista da giovane si completa con una cornice definita unicamente da se stessa. Questa volta, tra l'altro, la produzione più ricca veste a gran festa i brani e le melodie hanno tutto lo spazio per conquistarsi la ribalta insieme agli arrangiamenti. Un disco che, abbandonati i residui di country-folk dell’esordio, si permette sterzate più rock, come in You Make Me Want to Wear Dresses, Happiness, Sycophant, Energy, Puppet, These Boots Were Made For Walking, Everyone's Victim. Happiness rimarrà l’album più energico della discografia e segnerà anche l'inizio di un avvicinamento verso lidi sonori più dreamy, che sembrano discendere direttamente da The Other One e gli altri minuetti preziosi di Moon Palace. Nel lento incidere di Bad Attitude c'è tutta la musica della Germano: chitarre effettate, violino che ricama arie di corredo, drumming cadenzato, voce sussurata che nella strofa si scioglie in un unico sospiro, testi sarcastici ( You wish it was sunny, but it's not...hahaha/ The sun will come out the day after tomorrow..haha [...] You wish you were pretty, but you're not...hahaha/ But your baby loves you, he tells you so all the time). Un capolavoro. Si sprecano i cambi di ritmo e ambientazione. Ogni canzone è un discorso a parte. Sycophant è un'altra efficace scenografia psicologica, con la voce che si sdoppia e si triplica nel finale e gli ostinati di piano a marcare la melodia eterea. Un po' la prima parte di Everyone's Victim, una confessione di sarcastico vittimismo che si appoggia ad un drumming freddo e marziale. Su You Make Me Want to Wear Dresses e Breathe Across Texas la parte del leone la fa il violino, corteggiando arie celtiche nella prima e echi di romanticismo classico nella seconda, in pratica uno strumentale orfano di un posto su Moon Palace. Once Around The World è un girotondo pensieroso che anticipa le atmosfere più childish di Love Circus e la title-track, con quell' intro e il lavorio di chitarra quasi shoegazey sarà un ideale lasciapassare per un approdo a 4AD.


    Proprio il deus ex machina della 4AD, Ivo Watts-Russell, si trova ad assistere ad un concerto di Lisa Germano al Trobadour di Los Angeles, nel tour di supporto ad Happiness, e rimane molto colpito dalla performance di Lisa, al punto di acquistare i diritti del disco dalla Capitol e scritturarla per la propria etichetta. Un'occasione irripetibile: da un lato la label all'epoca si trova a navigare in cattive acque, dall'altro lo status di culto della 4AD era qualcosa di già abbondantemente acquisito nella storia del rock. Fu così che si decise di rimaneggiare Happiness (4AD, 1993) e riconvertirlo all'estetica dell'etichetta inglese. Non solo un nuovo artwork, ma anche un cambiamento nella tracklist e nel missaggio degli arrangiamenti di alcuni brani, ad opera di John Fryer e Ivo Russell stesso. Il disco questa volta si apre con Bad Attitude, che ha una lunga intro di chitarra effettata. Subiscono alcuni cambiamenti anche You Make Me Want to Wear Dresses, che diventa The Dresses Song su un tappeto elettronico che segue meglio il fraseggio del violino; Puppet viene rinvigorita ulteriormente da distorsioni, con un missaggio che rende più corposo il basso e mette la voce in riga con gli altri strumenti. Una cosa ancora più evidente in Happiness e nei brani più dark come Sycophant e Everyone's Victim che acquistando in corposità sembrano diventare ancora più scuri. Vengono depennate dalla tracklist These Boots Are Made For Walking e Breathe Across Texas e aggiunte due canzoni nuove: The Earth e Destroy The Flower. La prima è un'elegia acustica in punta di dita, mentre la seconda è una canzone che lambisce certe cose di Lou Reed, condita dal sapiente uso del piano e con ritmica in crescendo verso il ritornello. (7.5/10)
    "Hi, this is the story of geek the girl, a girl who is confused about stuff like how to be cool and sexual in the world but finds out she isn't cool and gets taken advantage of sexually alot, gets kind of sick and enjoys giving up, but in the end still tries to believe in dreams and beauty and still hopes of loving a man that he might save her from her shit life... ha ha what a geek! ”

    Nel primo vero disco di Lisa per 4AD, la Everyone's Victim di Happiness diventa qualcosa di più definito. Geek The Girl (1994, 4AD) rimane ancora oggi una testimonianza straordinariamente sincera, cruda e intensa. La sensibilità di una donna che stringe i pugni contro le proprie paure e strofina le nocche fino a farsi sanguinare. Non è un caso che sia proprio questo il suo disco più conosciuto e amato. Geek The Girl ha la stessa intimità e confidenza di certe ballate di John Lennon, quando con pochi accordi sembra raccontarti una vicenda personale. Tutti possono riconoscersi nelle parole, nelle impressioni e nelle paure di questa geek, che altri non è se non un'ironica incarnazione dell'artista.
    Le note di copertina lo dicono chiaramente: questa è la storia di una ragazza che non riesce a rapportarsi con il mondo esterno, vittima delle proprie paure e insicurezze, ma che forse crede ancora nella possibilità che un principe azzurro arrivi a salvarla. Il tema centrale dell'insicurezza, della donna come vittima di un sistema intrecciato di veti, incomprensioni, manie e persecuzioni e la ricerca determinata di una verità più vera a cui aggrapparsi.
    Il frammento di tarantella che apre il disco e torna per altre due volte, al di là dei connotati autobiografici, messo così... tra melodie tanto tristi e dimesse, aumenta il senso di disagio. Una stravaganza dai sinistri contorni morbosi. Così come è morboso lo sprofondare a testa bassa nel proprio disagio. Non è malinconia, ma un passo più giù verso la tristezza. La sua verità segreta (My Secret Reason) è l'accettazione del male (In my secret reason, my secret reasons/ If no one's right and no one's wrong/ In between this we are learning much about evil, it's just evil) e la necessità di superare le proprie paure a qualunque costo (Trouble).
    Il momento più nero del disco è la terrificante ...A Psychopath. Ritmica esangue, un fraseggio greve di violino, poche parole cantate in ipnosi alternate alla registrazione di una telefonata al 911 americano, dove una donna urla la testimonianza del proprio stupro. Tutto il disco sopravvive quasi senza fiato a questo e altri maniacali pugni nello stomaco. Altrove non è la paura, ma la tristezza purissima di una Cry Wolf: un movimento circolare per un carillon acustico, mantrico e ipnotico. O anche la stessa Geek The Girl, un girotondo di lacrime, bassi e delay. Il mood è così sfacciatamente triste e oppresso che la Nostra ha però l'ironia di condire il tutto con il goticismo sfacciato degli arrangiamenti. L'organo transilvano di Phantom Love, il look vampire-chic dei violini di Just Geek e Sexy Little Girl Princess, con quest'ultima che parte da un’intro vagamente à la Cure e poi evapora letteralmente nell'etere, e la voce che diventa un incrocio tra un fantasma e Bette Davis cantando sinistramente: "Run along, little girl unto mommy/ Sexy little girl princess/ Say you loved it".
    E ancora la mortifera auto-ironia di Cancer Of Everything (This is a happy song/ 'Cause I want cancer of everything, yeah right / And if I fall down in a face of scars, I get attention) e la caustica acidità di ...Of Love And Colors (People, all our fucked-up smiles / We quit dreaming long ago and our / Distrust and our addictions and our desire / To kill each other makes all the sense in the world ). Si chiude a metà tra la speranza e il presagio con A Guy Like You e Stars. (8.0/10)
    Geek The Girl è un sudario di musiche tristi e confessioni intimiste che, complice anche la griffe 4AD, riesce a conquistarsi una certa attenzione da parte della stampa specializzata. Rolling Stone chiude la sua recensione con un "unforgettable" e Spin con un profetico "some may find it depressing. But that’s because it’s pushing their buttons- and revealing things they don’t want to see". A dispetto del plebiscito critico, ritardi nella distribuzione compromettono l'effetto commerciale e il disco non vende molto. Il dado è però tratto. Ormai Lisa Germano è stata connotata come una soft dark lady, capace di dischi musicalmente sofisticati e dagli umori minacciosi se non proprio "devastanti". E' su un simile background che il quarto disco si trova ad agire.

    Excerpts From A Love Circus (1996, 4AD) è generalmente considerato il lavoro dal taglio più consono alla 4AD. Trattasi infatti di un vero e proprio dreamscape ricolmo di atmosfere infantili e fiabesche, che fa decisamente rima con certe cose di This Mortal Coil e Durutti Column. Dopo un lavoro nerissimo come Geek The Girl Lisa attenua la componente più spigolosa, si ritrae come una bambina nei propri sogni e nelle proprie visioni e tira fuori dal cilindro una serie di pop songs dal fascino arcaico, mesto e onirico. Un lavoro dal grande impatto sonoro, complice anche il sapiente lavoro di Paul Mahern che sottolinea magnificamente il sottotesto musicale. Baby On The Plane apre subito alla sua maniera: un valzer clownesco e brumoso, che si arricchisce piano piano di dettagli ed effetti e su cui le parole volteggiano come in stato di trance. Sulla stessa linea la successiva a Beautiful Schizophrenic, una tristissima giostra onirica, che trasuda le solite confessioni autobiografiche e la bellissima Bruises, che muove da un irresistibile refrain del violino.
    Questi estratti dal circo dell'amore sono i pensieri di storie ed affetti che si rincorrono, si intrecciano e si tradiscono l'un l'altro. Anche il fraseggio testuale si addolcisce. Non ci si martirizza più e si esplorano le mille risorse delle relazioni umane, come l'ironica I Love A Snot (Shaky shaky thoughts/ Each and every one/ When I am with you /Run tubby, run to) o Small Heads (The world revolves around you/ But it revolves around me too/ So how could we see the same one). Certo Lisa Germano non potrà mai essere una indie girl tutta rosa e cuori. I fantasmi interiori e l'acredine verso il mondo circostante tornano anche qui. We Suck è l'eloquente titolo di una confessione di sfiducia verso gli uomini e l'incomunicabilità tra i sessi; il segreto di Victoria, ovvero Victoria's Secret, è il catalogo di costumi da bagno, ricolmo di bellissime donne in bikini, che dalle fotografie stampate salutano Lisa e quante non riescono ad essere così perfette, in un sarcastico e ipotetico dialogo (She says you are ugly I am pretty / Your man wishes you looked like me).
    Se su Geek... il brano chiave era ...A Psychopath, qui tutto sembra girare intorno a Lovesick, un vero e proprio blues su drum machine, che parte con la memorabile strofa (You're not my Yoko Ono / You said those words to me / You say some hurtful things now / None cut so deeply) e nel secondo ritornello vede una Germano - in maniera al quanto inedita per lei - urlare ripetutamente "Lovesick" come ad esorcizzare un incubo. Il trittico finale (Singing to the Birds, Messages from Sophia, Big, Big World) chiude con distacco, su partiture ironicamente altezzose, sopra le righe, come l'apoteosi di archi e cori che sta alla fine della seconda strofa di Messages from Sophia o l'accenno di Jingle Bells... un attimo prima di chiudere.

    Il vero tema di Geek… era la paura. La paura di non farcela, la paura di provarci. Love Circus invece è un lavoro incentrato sulla ricerca di un contatto, sul tentativo di uscire dalla solitudine autoinflitta e rapportarsi all'esterno. L'altro grande protagonista del disco è Miamo-tutti, l'amato gatto di Lisa, che torna a più riprese, con dei brevi intermezzi tra un brano e l'altro, miagolando e facendo le fusa, e restituendo un'immagine ancora più solitaria della protagonista. Ma allora Lisa Germano è solo una gattofila che sta chiusa in casa? (8.0/10) La mossa successiva sembra rispondere a questa domanda con un fermo diniego. Love Circus vende poco (tra le 10 e le 20000 copie) e forse è anche per questo che un nuovo progetto a cui la Nostra si dedica nel 1997 sembra naufragare. Gli OP8 (sigla che sta per Opiate) nascono infatti come una estensione solista. Lisa chiama Howe Gelb, John Convertino e Joey Burns (in pratica Giant Sand e Calexico) per registrare qualcosa insieme. Il feeling è così forte che il quartetto si trova a registrare tre canzoni in un giorno e mezzo. La 4AD scarica definitivamente il progetto e rilascia i diritti, permettendo ai quattro di trasferirsi a Tucson. I soldi non sono molti così decidono di contenere i costi registrando tutto in sei giorni. E' questa la gestazione di Slush (1997, Thirsty Ear), un matrimonio tra terra e cielo che cita Lee Hazlewood e Nancy Sinatra (Sand), Neil Young (Round and Round) e nel mezzo affina doti e caratteristiche di singoli e coppie. If I Think Of Love è la morbida ballad intimista a cui la Nostra ci ha abituati, che si sposa a meraviglia con le ruvidezze desertiche dei Giant Sand, su passo marziale e chitarre acustiche. Ancora, It's A Rainbow classicamente personale e Tom, Dick & Harry, drogata ballata acidula. Questi i pezzi scritti integralmente da Lisa Germano. Ma il repertorio degli OP8 trae il proprio fascino dall'unione degli opposti, dal mood jazz noir per un saloon perso nel deserto, che muove sabbia e polveri in Leather o nella magnifica sinfonia mariachi di Cracklin'Water. Unico disco del progetto dato alle stampe fino ad oggi, Slush mostra una Lisa Germano sicura di sé nei panni della chanteuse d'antan che sposa l'attualità indie. (7.8/10).

    Il mancato patrocinio della 4AD per Slush testimonia l'incrinatura di un rapporto che, seppure costante sul piano artistico, vacilla su quello economico. I dischi della Germano vendono troppo poco. Slide (1998, 4AD) allora è l'ultimo lavoro per l'etichetta che viste le ridicole vendite (6000 copie) scarica l'artista. Un peccato doppio, anche perché Slide è un altro viaggio erudito e pregevole nel mondo fatato della songwriter. Impreziosite dalla produzione di Tchad Blake, le canzoni vivono contemporaneamente in un corpo opaco e cristallino, che risalta le melodie. I tipici arrangiamenti eccentrici diventano un tutt'uno con gli effetti da studio. Un esempio perfetto è la ballata acustica No Color Here, che parte con il ventre vuoto e si riempie cammin facendo di effetti e suoni. Una sorta di digitalizzazione della psichedelia dei '60, che trova i suoi apici in oniriche ballate d'avanguardia. Un esempio magnifico è Electrified che dopo una sinfonia di liriche partiture di violino e stellari suoni in reverse sfuma in un tristissimo valzer ovattato o anche l'iniziale Way Below The Radio che saltella su ritmiche elaborate al pro tool e le più movimentate Tomorrowing e Turning Into The Betty, obliqui capolavori melodici.
    La Germano triste e contrita, che si lecca le ferite e inveisce a mezza voce torna con le ballad per piano più classiche del suo repertorio: Slide, Wood Floors e soprattutto Guillotine. Slide, ancora oggi, rimane uno dei dischi con il suono migliore e la produzione più intelligentemente amica degli arrangiamenti. Il duo Germano/Blake non tornerà ed è un peccato, perché entrambi nei rispettivi successivi progetti tenteranno di riprodurre la particolare alchimia di questo disco. Blake, soprattutto, si troverà a ripeterne alcune soluzioni nella produzione di Trust dei Low, espressamente voluto da Alan Sparhawk proprio dopo aver sentito Slide, ma non riuscirà ad ottenerne la stessa chimica sonora.(8.0/10)
    Dopo essere stata scaricata dalla 4AD Lisa mediterà a lungo il ritiro, alternandosi tra il lavoro in libreria e le collaborazioni che continua a fare un po' per bisogno artistico, un po' per necessità alimentari. Tra queste si segnalano, in particolare, due brani cantati su L'Absente di Yann Tiersen, un tour con gli Eels (e più di una mano su Shootenanny!) e ancora un tour con Latin Playboys e uno con Neil Finn. Insomma, non rimane certo con le mani in mano, ma il periodo non è comunque dei migliori e la Nostra cade in una profonda depressione, a cui sembra dare il colpo di grazia la morte dell'amato Miamo-tutti. E' in questo contesto, con l'unico sollievo della bottiglia, a cui si aggrappa sempre di più, che si sviluppano le canzoni di Lullaby For Liquid Pig (2003, Ineffable/I Music).

    Ninne-nanne per cuori solitari


    Lisa concepisce tutte le canzoni in solitaria a casa, e una volta completate la registrazioni, spedisce i provini a cinque/sei persone di fiducia, alla ricerca di un modo per distribuire l'album (solo molto dopo si scoprirà che tra questi cinque/sei c'è anche Michael Gira). Il primo a rispondere all'appello è Tony Berg, un amico conosciuto nel bookstore dove lei lavora, che sta cercando un disco per far partire una nuova label, chiamata Ineffable. I suoi mezzi sono però ancora abbastanza limitati, così è la stessa Lisa a consigliare Berg di mettersi in contatto con Marc Geiger dell'ARTISTdirect e fare una sorta di joint venture distributiva. E' così che va alla fine.
    Dopo cinque anni di silenzio, Lisa Germano torna finalmente a far parlare di sé con un disco abbastanza diverso da quello a cui ci aveva abituati. L'approccio è sempre quello di un personale colloquio fra sé e la Luna fatto di sussurri e malinconie, ma questa volta si torna nel mood più nero di Geek The Girl. Dal punto di vista sonoro, invece, si prosegue lungo le coordinate tracciate da Slide e il sound si riallaccia soprattutto alle piano ballads di quel disco, sempre disturbate ai margini da rumori, effetti e suoni. Sono austere elegie di solitudine e malinconia come l'iniziale Nobody's Playing e Pearls a tracciare i contorni di un diario personale intimo e contrito.
    L'amara autoironia che la contraddistingue emerge evidente in Liquid Pig, un nomignolo che era solita affibbiarsi quando esagerava con l'alcool o nel country giocattolo che sentenzia ironico It's Party Time, con tanto di chitarrina slide, decisamente sopra le righe. L'invito centrale del disco è quello di tornare con i piedi per terra ed evitare l'oblio facile e la regressione nella solitudine. Un invito a sé stessa come quando in Lullaby For Liquid Pig sentenzia inequivocabile: "I need a fix / A little one / And then it's over [...] I probably won't (stop)/ Without you here/ Without your love" o come quando in Dream Glasses off ci si appoggia a qualunque cosa, anche a persone e cose sbagliate, pur di colmare un vuoto implacabile (Hey again / I thought that you were my friend / Take the dream glasses off / And see again) o il bisogno fisico e psichico di un amore a cui affidarsi per trovare un equilibrio interiore (There is love / To be found / With the gods all gone and the souls making sound).

    Lullaby For Liquid Pig è un emozionante matrimonio di suoni e parole. Un ritorno in grande stile alla densità di Geek e Love Circus. Quello che si perde sul piano melodico lo si acquista in scenografia e passionalità. Il disco è certamente "intenso e monocromo" come ebbe a definirlo Beppe Colli, senza quei salti di registro tra un brano e l'altro, caratteristica dei dischi precedenti, ma il gusto per l'arrangiamento fantasioso è evidente anche in un lavoro così omogeneo. Saltano fuori arpeggi acustici a rianimare l'esangue Paper Doll; la fauna onirica da cui prende l'abbrivio Liquid Pig, con voce distorta e basso cavernoso o ancora i mandolini della title track, l'ovattato e opaco pro tool sound su cui volteggia All The Pretty Lies e il refrain da belle epoque che anima Into The Night. (7.8/10) Dopo questo disco la Ineffable fallisce inesorabilmente. Va da sé che i commenti sul disco, sono mediamente ottimi con punte entusiaste (Pitchfork), ma ancora una volta le vendite sono quello che sono. Lisa Germano si ritrova di nuovo senza etichetta e sembra sparire di nuovo per sempre fino a quando non si viene a conoscenza che c'è un nuovo disco e che per di più vede la luce su Young God Records, l'etichetta dell'ex Swans Michael Gira, uno che come minimo ha un ottimo gusto musicale (Devendra Banhart, Akron Family, Calla, Ulan Bator, Windsor for the Derby, Angels of Light, Mi & L'Au) e come massimo ha qualcosa di geniale (Filth, Cop, Children of God, i cosidetti "Bunny Records" degli Swans e ancora le cose con Angels of Light).

    • The Day
    • Too Much Space
    • Moon in Hell
    • Golden Cities
    • Into Oblivion
    • In the Land of Fairies
    • Wire
    • In the Maybe World
    • Red Thread
    • Seed
    • Except for the Ghosts
    • After Monday

    In The Maybe World (Young God Records / Goodfellas, 18 luglio 2006)

    di Antonello Comunale
    Che Michael Gira avesse un fiuto infallibile e una predilezione per certe sonorità rétro e arcaiche era cosa già ampiamente dimostrata dall'exploit di Mr. Devendra Banhart, ma che addirittura la sua maniacale dedizione per la musica lo spingesse a salvare dall'oblio una Lisa Germano certo non di primo pelo e per di più fuori dal trend contemporaneo delle riscoperte (che allo stato attuale sembrano ancora non interessare i '90), assomiglia proprio ad una delle storie melanconiche su cui la cantautrice ha costruito la sua poetica.

    Il feeling tra i due era iniziato con Lullaby For Liquid Pig, con un Gira che aveva tentato fino all'ultimo di poter pubblicare il disco su Young God. Riesce quindi ad averla vinta con questo In The Maybe World e a scritturare finalmente Lisa Germano sulla propria etichetta. Ma come si spiegano un simile attaccamento e un entusiasmo decisamente sopra le righe? Ce lo dice lui stesso: "Sono stato un fan della musica di Lisa per anni. Le sue canzoni sono incredibilmente vive e spesso straziantemente belle. E' una grande autrice di testi e cantante ma anche una multi strumentista estremamente talentuosa".

    Ok. Sta sostanzialmente cercando di vendere un suo prodotto, ma certi toni entusiastici si commentano semplicemente per quello che sono: sincere attestazioni di stima. E allora il nuovo disco ripaga con la merce di cui sono fatti i sogni... della Germano, qualcosa che è sempre pronto a mutarsi in tragedia o viceversa a scherzare ironicamente sui lati bui della vita. Che il disco in questione abbia come tema dominante "la morte e la sua accettazione" si ricollega direttamente a vicende personali. In The Maybe World è il disco del "risveglio" dopo l'abisso depressivo in cui la Nostra era sprofondata con Liquid Pig. Il disco è stato prodotto nuovamente in solitaria, tra le mura della propria casa e solo successivamente rinvigorito con gli effetti architettati insieme a Jamie Candiloro e ai contribuiti di Johnny Marr, Sebastian Steinberg e Joey Waronker. La tonalità è la stessa del disco precedente, ma le melodie sono più pronunciate e meno abbandonate nell'etere. Lo dice subito la classicissima Too Much Space, che muove lenta e avvolgente fino alla chiusura finale con voce espansa. Tutta la prima parte del disco ha il cuore rivolto al passato ed è sostanzialmente omogenea. La sinistra ballata In The Land of Fairies spezza l'idillio e comincia ad agitare le acque. Il dispiego dell'armonia è di rara eleganza, fino al riverbero della seconda strofa che altera il suono.
    Questo disco e Lullaby For Liquid Pig sono lavori in qualche modo gemelli, sebbene dagli umori opposti, e condividono un approccio alla produzione forzatamente solitario, quasi lo fi. Questa volta, la pesantezza minimale degli arrangiamenti toglie parecchi punti alle melodie. Un maggior dispiego di mezzi in sede produttiva avrebbe senz'altro giovato a brani come Moon In Hell e Into The Oblivion. Per il resto, certe cose sono così personali e autografe, che sarebbe impossibile immaginarle da parte di chiunque altro: il carnevale onirico della title-track che chiude sui toni gotico burtoniani di un Danny Elfman; la coda folk di Into Oblivion, quella lunare in punta di carillion di Moon In Hell o il cinguettio che accompagna Golden Cities ("una canzone scritta da Miamo-tutti", il gatto che cantava su Excerpts From A Love Circus); il valzer che trafigge al cuore di Red Thread (una love song delle sue: " Go to hell, fuck you, I love you") e l'austera e struggente ode a Jeff Buckley di Except For The Ghosts.
    Fa una certa tenerezza notare come ormai giunta al settimo disco ufficiale, e dopo averne passate di tutti i colori con la distribuzione e il mondo del music business, Lisa Germano non abbia ancora capito come fare a confezionare un disco - anche solo vagamente - ruffiano. In The Maybe World è un altro lavoro che si concede lentamente, lontano dalla fretta attuale e che sedimenterà negli anni, come tutta l'opera dell'artista. (7.5/10)


    Rarità, stranezze e brutte canzoni


    Lisa Germano è un'artista che si è sempre concentrata sul formato dell'album standard, ma nell'epoca dell'iperproduttività e del presenzialismo nei mercati, nemmeno una old style come lei è riuscita ad evitare il formato Ep. La Nostra prende confidenza con questo formato contestualmente all'ingresso in 4AD. E' infatti con un mini intitolato Inconsiderate Bitch che si fa conoscere sull'etichetta; è in pratica la prova generale del remissaggio di Happiness, contenente cinque brani tratti dalla versione Capitol del disco. Qualcosa comincia già a cambiare, come testimonia il vuoto etereo in cui viene lanciata Sycophant e la prima versione rinnovata di The Dresses Song, che qui è (late night) Dresses. La grafica del disco è affidata al grande Vaughen Olivier, che si occuperà anche del nuovo artwork di Happiness.

    Un altro Ep targato 4AD è un estensione del singolo di Cry Wolf. Quattro i brani, tra cui un'inedita The Mirror is Gone che dal pigno country deve essere avanzata dall'epoca di Moon Palace. Si segnalano poi due remix abbastanza inutili, uno di Cancer of Everything e uno di Sexy Little Girl Princess. Segue Small Heads, che viaggia insieme a Excerpts from a Love Circus. Un pezzo inedito, Fun, Fun for Everyone e una prima versione di Tom, Dick and Harry. Nel successivo singolo di I Love A Snot c'è una prima collaborazione con Tchad Blake che remixa proprio questa canzone, mentre l'arte del remix, molto in voga all'epoca, produce un singolo totalmente elettronico di Lovesick, con la song di Love Circus remixata da Underdog.
    Infine c'è da segnalare che anche Lisa Germano ha i suoi best of e raccolte di outtakes. Nel buco nero temporale che va da Slide a Lullaby for Liquid Pig, la Nostra apre finalmente il proprio sito e decide di usarlo per vendere due dischi autocompilati, uno con il meglio dei suoi dischi e un altro che raccoglie versioni inedite, outtakes e b sides. I due dischi in questione sono Concentrated e Rare, Unusual or Just Bad Songs. Il primo è appunto una sorta di "Greatest Hits", ma più che questo, visto che di grandi hits non è propriamente corretto parlare, Concentrated è proprio quello che dice la parola: un bignami della carriera, tutto concentrato in un disco. Una selezione avvincente, ma tra i due il lavoro più interessante è per forza di cose Rare, Unusual or Just Bad Songs. Oh...Just A Melody che apre il disco, è probabilmente un abbozzo di valzer che sta tra gli avanzi di Love Circus e Slide, mentre Starfish e una ballata dell'epoca di Happiness. Seguono stranezze come una versione strumentale di I Love A Snot, un frammento di ...Breathe Across Texas e una versione grunge di Fun Fun For Everyone!. Ma sono gli inediti il vero fascino di questa compilation, come le misteriose Cat Mask And Cowboy Hat, Dreamland, Ice Cream Truck, Offering, Guardian At The Exit Gate. Tutte rimaste poco più che provini, chiuse per sempre nel limbo dei lati B.

    Fin dove si spingono i nostri forse - Due chiacchiere con Lisa

    Beh, prima di tutto, mi piacerebbe sapere qualcosa sul tuo incontro con Michael Gira e su come quest’ultimo sia riuscito a convincerti ad incidere per la sua Young God. Conoscevi già gli Swans?

    Ho sentito parlare per la prima volta degli Swans, dal mio batterista Thor nel tour di Happiness. Non foss’altro che per il fatto che ascoltava gli Swans per TUTTO il tempo, era in qualche modo ossessionato, così qualche anno più tardi mi chiamò tutto eccitato, perché aveva finalmente incontrato Michael Gira. Stava formando una nuova band chiamata Angels of Light, e chiese a lui di suonare sul disco. Non so se allora Thor introdusse Michael alla mia musica…ma credo di sì. Dopo di che abbiamo cominciato a comunicare quando stavo lavorando a Lullaby For Liquid Pig e nonostante mi sentissi a mio agio con lui e con lo scambio che stavamo avendo, decisi di fare uscire il disco per una label di qui in L. A [NdR: la Ineffable]. Ad ogni modo decidemmo di rimanere in contatto. Ho poi avuto molti problemi con la distribuzione… l’etichetta chiuse non molto dopo aver fatto uscire il mio disco etc… ma ho sempre apprezzato il tempo e la dedizione che hanno messo a disposizione per me, così come faccio ora con Young God. Quando stavo cercando di capire se lavorare o meno su queste nuove canzoni, la prima persona a cui le ho mandate è stata Michael ed è stato lui a convincermi a finirle… sono veramente contenta di averlo fatto con il suo aiuto e mi sento onorata di essere sulla sua etichetta. Credo nella sua estetica, con tutti i dischi che ha fatto uscire… ognuno con una sua unica personalità e caratteristica e questo lo si vede anche dagli artwork.
    A proposito di artwork, dopo la cover di Lullaby For Liquid Pig, il dipinto di Francesca Sundsten si mantiene sugli stessi toni allegri… hai scelto tu le immagini?

    Michael mi ha mandato i dipinti di Francesca Sundsten e li ho subito adorati, e tra di essi abbiamo poi scelto la cover. E’ un’immagine triste, ma ha un qualcosa di bello dentro e credo che centri perfettamente il tema di questo disco… che è l’accettazione della morte… guardare ad essa con tristezza ma anche con la bellezza che può avere una porta aperta attraverso cui poter guardare diversamente… ad esempio non c’è sangue che fuoriesce dalla testa del coniglio, è lui che sta abbadonando se stesso o i piccioni a beccarlo per svegliarlo. Tutte le canzoni del disco hanno in qualche modo a che fare con questo sentimento del “risveglio”.
    Quello che dici mi fa venire in mente Miamo-tutti, il tuo gatto diventato una superstar (tra i fan) dopo le performance canore su Excerpts from the Love Circus. Quando morì, ti ritirasti in te stessa e mettesti anche un messaggio sul sito. Questo episodio è in qualche modo connesso al nuovo album?

    Quando Miamo-tutti morì, fu un colpo al cuore per me, ma anche un momento davvero magico in cui mi sentivo vitale e pienamente cosciente del mio bisogno di apprezzare qualunque cosa fosse viva. Come la canzone Golden Cities. Miamo-tutti... deve averla scritta lui perché ho cominciato a cantargliela, mentre lo abbracciavo prima di morire [NdR. Nei credits del disco si legge infatti: “actually written by miamo-tutti”] Lui ancora viene a visitarmi in spirito così…. perché la morte deve essere così orribile, quando lui è ancora qui a volte?
    Di cosa parla la canzone che dà il titolo al disco? Cos’è questo Mondo del Forse?

    Ho scritto la canzone In The Maybe World quando i gatti cominciavano a portarmi uccelli dal tetto per poi ucciderli… era una cosa che mi rendeva così triste, ma dovevo guardarla in un modo del tutto differente, perché loro sono solo gatti e stavano veramente portando a ME questi uccelli…una specie di dono. Adesso ho due gatti, Lou e Vian, ma non li lascio andare più sul tetto. Ad ogni modo, la maggior parte delle canzoni hanno questo argomento, la morte e la sua accettazione e di come noi non possiamo conoscere quello che accade… nel mondo del forse.

    Non ci sono solo gatti e uccelli in questo disco, anche persone, nella fattispecie appaiono tra le pieghe dei testi, tuo padre e anche Jeff Buckley...

    Si. Too Much Space è una canzone che scrissi immaginando come mi sarei sentita se mio padre fosse morto. Doveva avere un’operazione chirurgica ed ero terrorizzata…. Ma tutto andò come si deve e lui adesso sta bene. Except For The Ghosts è una canzone che scrissi molti anni fa quando Jeff Buckley annegò. Stavo immaginando come ci si deve sentire mentre si annega… accettare le onde e ad un certo punto arrendersi alla morte… forse bisognerebbe ricordare le cose belle invece che la paura…. solo una speranza che lui abbia sentito questo.
    Per venire all’aspetto produttivo del disco, sembra che anche questa volta, come per Lullaby for Liquid Pig, sia stata una tua avventura solitaria. In quell’occasione i contributi di Johnny Marr e Neil Finn furono registrati a parte e sovraincisi in un secondo momento. Come hai lavorato questa volta e quanto è stato importante il contributo di Jamie Candiloro?

    Questo disco e Lullaby sono stati registrati originariamente da me, qui a casa, e così…con la mia esperienza e strumentazione limitate, hanno un suono molto simile. Ho il bisogno di registrare le canzoni qui, prima per me, e vedere se mi convincono, quando finalmente ci riescono posso portarle da un’altra parte per finirle. Jamie Candiloro è stato veramente importante nell’aiutarmi a finire l’album e nel cercare di far suonare le canzoni meglio delle versioni demo. Lui ha trasferito le tracce sul suo protools e allora abbiamo aggiunto alcuni dei miei amici, Sebastian Steinberg, Johnny Marr e Joey Waronker, che hanno messo un po’ di profondità. Mi piace quello che hanno fatto e in generale amo lavorare con altri artisti… ci sono programmi in vista, ma recentemente ho scritto una canzone con Michael Brook che è sul suo nuovo disco, chiamato Rock Paper Scissors e che esce il 18 luglio.
    Sembri essere la musicista preferita dagli altri musicisti…Neil Finn, Eels, Calexico, Yann Tiersen, ecc… Alan Sparhawk dei Low disse che Slide era uno dei suoi dischi preferiti… come ti spieghi che presso gli addetti ai lavori hai un credito considerevole, mentre il pubblico fa sistematicamente fatica a creditarti lo stesso tributo di una Tori Amos, tanto per fare un esempio?

    Non so perché la mia musica non vende più di quanto fa o perché Tori Amos sì e io no, ma è solo la mia sfida a crescere sempre e a superare tutto. Le lettere che ricevo dalla gente mi aiutano molto a capire che la mia musica riesce a raggiungere qualcuno… ringrazio queste persone per avermi fatto capire.
    Questo mi fa in qualche modo intendere che non ritieni il mood melanconico delle tue canzoni un motivo di allontanamento dal grande pubblico, come qualcuno afferma.

    Non penso che la mia musica sia così dark e depressa come certe persone dicono. Metto un po’ di humour nelle canzoni così come nell’opera… quando c’è tanta tragedia, c’è anche tanto divertimento… questo mi aiuta a mantenermi distante dai drammi e a guardare alle cose con occhi differenti. Devi avere senso dello humour in questo business, così non prendi le cose duramente quando non vanno bene… come lavorare con degli stronzi o non vendere dischi che sono due cose che possono accadere di sicuro.
    Come senti di essere cambiata dai tempi di Mellencamp e qual è la collaborazione artistica che ricordi con più piacere? In particolare, il mondo sta aspettando un secondo disco degli OP8. Che preghiera dobbiamo pregare per vederlo realizzato?

    Sono stata veramente fortunata a poter lavorare con artisti cosi diversi, da Mellencamp ai Giant Sand, da Bowie ai Latin Playboys, forse perché mi piacciono tutte le forme di musica. C’è un posto per tutte loro, da qualche parte nei tuoi stati d’animo. Ho tentato di poter realizzare un altro disco degli OP8, ma è difficile perché Joey è veramente impegnato con i Calexico e lui e Howe non parlano da molto tempo… forse… un domani… lo spero.
    Voglio chiudere nella maniera più banale possibile, e farti la classica domanda sull’Italia, non foss’altro che c’è un agguerrito, seppure piccolo, gruppo di tuoi fan che vorrebbero vederti dal vivo. Quindi, quando pensi che ci verrai a trovare?

    E’ ormai tempo di venire in Italia per suonare e per trovare marito… ha ha ha, probabilmente no… ma forse… grazie e ci vedremo allora.

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    • Arturo Bandini
      Bodyweb Senior
      • Aug 2003
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      #3
      cancer of everything

      http://www.youtube.com/watch?v=fpNBJ...related&search=

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