Piero Pompili è un fotografo che immortala volti e corpi di chi ancora oggi frequenta palestre dove ci si allena per combattere, luoghi che si trovano nelle periferie di Roma o di Napoli, luoghi così lontani dai beuty-center contemporanei così come le vite che passano in quell'obiettivo sono lontane da una rassicurante tranquillità.
Volti e corpi che non sono lì per costruire una estetica da fotomodelli, ma, al contrario, un corpo che sia quanto più possibile pronto a ricevere e a dare colpi, il corpo del pugile, il corpo del lottatore, quei corpi che plasticamente rimandano ai destini dove sovente l'unico alloro è la sofferenza che non smette concluse le riprese, ma che si prolunga nelle vite di questi giovani, come quei volti, ritratti in bianco e nero, paiono volerci dire.
Quanta verità in questo chiaroscuro, antichissima e presente oggi ancora, ancora qui tra noi che facciamo di tutto, assetati di evasione, per disconoscerla, quando la mistica di una parte fondante dell'uomo, il combattere, respira ancora in quei santuari di periferia, di nuovo e sempre entro quei volti e quei corpi, e in quelle parole di gente che non ha studiato, non ha lauree nè raffinate psicologie per l'uomo d'oggi da offrire, ma parole essenziali e naturali, che vengono e rimandano al cuore, ad una radice di sapienza educata alla palestra della vita, tutto ciò che ci deve interessare e che non è mai passato e che mai muore...
...Là dentro c'era una logica, là dentro nessuno poteva scappare, nè te nè gli altri, e sapevi contro chi combattevi, e pesava quanto te, e se ti batteva voleva dire che era più bravo, o aveva più esperienza, e in entrambi i casi dalla sconfitta non avevi che da imparare. Sembra assurdo, ma finisce che vai in quel posto dove tutti menano le mani perchè ti senti più sicuro. (Piero Grossi, "Pugni").
Lo spazio della boxe è uno spazio sacro che precede la civiltà.
O, per usare una espressione di D.H Lawrence, prima che Dio fosse amore. (Joyce Carol Oates,"Sulla Boxe").
Conoscete l'odore greve, fatto di penoso silenzio e di dolore, come un presagio di carne che muore? Simile assai - meno dolciastro, più asprigno - è quello della fatica, delle speranze, dei testardi puntigli sudati nelle palestre dove ragazzi della periferia, lasciata l'officina, vengono ogni sera a portarvi l'odore casto della povertà. (Luigi Gianoli, "Ritagli Rosa")
I campioni non si fanno nelle palestre.
I campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo:
Un desiderio, un sogno, una visione. (Muhammad Alì).
Di solito, attraverso il combattimento, l'odio si attenua, come se l'intensità dello sforzo procurasse una specie di anestesia; molto spesso, battendosi, liberando il proprio istinto, l'essere umano si acquieta. ( Alexis Philonenko, "Storia Della Boxe").
Non c'è impresa migliore che quella realizzata con le proprie mani. E i pugili concordano con questa frase di Omero. La boxe è rabbia disciplinata, forza strutturata, sudore organizzato, sfida di testa e muscoli. Sul ring o fai di tutto per restare in piedi oppure dai fondo alle tue energie e metti in conto di andare giù. In ogni caso combatti, uno contro uno. Non ci sono altre possibilità e nessun'altra mediazione(...)
(...)"La forza è l'ultima cosa. La prima è la mente. È centrale, Robbè. I veri pugili non nascono come attaccabrighe, anzi spesso si va in palestra per sviluppare aggressività e solo poi per dominarla. Prima cosa: non bisogna prenderle. Poi la seconda è darle" (Roberto Saviano e Clemente Russo, "Tatanka").
Bisogna provare, sentire. Aver boxato, mentito. Aver sperimentato tutto, magari non a fondo, ma abbastanza per capire. (George Simenon, "Da una lettera ad André Gide").
Volti e corpi che non sono lì per costruire una estetica da fotomodelli, ma, al contrario, un corpo che sia quanto più possibile pronto a ricevere e a dare colpi, il corpo del pugile, il corpo del lottatore, quei corpi che plasticamente rimandano ai destini dove sovente l'unico alloro è la sofferenza che non smette concluse le riprese, ma che si prolunga nelle vite di questi giovani, come quei volti, ritratti in bianco e nero, paiono volerci dire.
Quanta verità in questo chiaroscuro, antichissima e presente oggi ancora, ancora qui tra noi che facciamo di tutto, assetati di evasione, per disconoscerla, quando la mistica di una parte fondante dell'uomo, il combattere, respira ancora in quei santuari di periferia, di nuovo e sempre entro quei volti e quei corpi, e in quelle parole di gente che non ha studiato, non ha lauree nè raffinate psicologie per l'uomo d'oggi da offrire, ma parole essenziali e naturali, che vengono e rimandano al cuore, ad una radice di sapienza educata alla palestra della vita, tutto ciò che ci deve interessare e che non è mai passato e che mai muore...
...Là dentro c'era una logica, là dentro nessuno poteva scappare, nè te nè gli altri, e sapevi contro chi combattevi, e pesava quanto te, e se ti batteva voleva dire che era più bravo, o aveva più esperienza, e in entrambi i casi dalla sconfitta non avevi che da imparare. Sembra assurdo, ma finisce che vai in quel posto dove tutti menano le mani perchè ti senti più sicuro. (Piero Grossi, "Pugni").
Lo spazio della boxe è uno spazio sacro che precede la civiltà.
O, per usare una espressione di D.H Lawrence, prima che Dio fosse amore. (Joyce Carol Oates,"Sulla Boxe").
Conoscete l'odore greve, fatto di penoso silenzio e di dolore, come un presagio di carne che muore? Simile assai - meno dolciastro, più asprigno - è quello della fatica, delle speranze, dei testardi puntigli sudati nelle palestre dove ragazzi della periferia, lasciata l'officina, vengono ogni sera a portarvi l'odore casto della povertà. (Luigi Gianoli, "Ritagli Rosa")
I campioni non si fanno nelle palestre.
I campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo:
Un desiderio, un sogno, una visione. (Muhammad Alì).
Di solito, attraverso il combattimento, l'odio si attenua, come se l'intensità dello sforzo procurasse una specie di anestesia; molto spesso, battendosi, liberando il proprio istinto, l'essere umano si acquieta. ( Alexis Philonenko, "Storia Della Boxe").
Non c'è impresa migliore che quella realizzata con le proprie mani. E i pugili concordano con questa frase di Omero. La boxe è rabbia disciplinata, forza strutturata, sudore organizzato, sfida di testa e muscoli. Sul ring o fai di tutto per restare in piedi oppure dai fondo alle tue energie e metti in conto di andare giù. In ogni caso combatti, uno contro uno. Non ci sono altre possibilità e nessun'altra mediazione(...)
(...)"La forza è l'ultima cosa. La prima è la mente. È centrale, Robbè. I veri pugili non nascono come attaccabrighe, anzi spesso si va in palestra per sviluppare aggressività e solo poi per dominarla. Prima cosa: non bisogna prenderle. Poi la seconda è darle" (Roberto Saviano e Clemente Russo, "Tatanka").
Bisogna provare, sentire. Aver boxato, mentito. Aver sperimentato tutto, magari non a fondo, ma abbastanza per capire. (George Simenon, "Da una lettera ad André Gide").
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