...Ci sono tre segnali per riconoscere un vero combattente.
Non sono quello che si può pensare: niente a che vedere con quanto sia grosso il tizio, o con le dimensioni dei suoi pugni.
I tre indizi sono:
Una calma, quasi torpore, negli occhi.
La sua insistenza a volerti stringere la mano senza sforzarsi di stritolartela.
Quando chiede scusa per quello che succederà dopo.
Da "Fighter", di Craig Davidson.
Questo passaggio tratto dal bel romanzo di Davidson ci riporta all'essenza stessa della natura del combattente, di chi affronta armato delle sue sole forze fisiche, e del suo carattere, un avversario.
Ho spesso letto in questa bella sezione di quali siano le migliori tecniche per esprimere la propria potenza, di come affrontare un combattimento sul ring o una rissa da strada, di come si "costruisce" un lottatore;
Ma c'è dell'altro, c'è la Natura di chi si ha davanti, e la propria, con cui fare i conti, c'è l'abitudine alla lotta, e non parlo solo di quella che si esprime su di un ring o per la strada, ma l'abitudine alla lotta che dalla nascita la vita ci mette davanti, quella da combattere con la propria ombra, come fanno i pugili quando si allenano...
Ancora Davidson:
...Ogni organismo, in natura, non cerca il modo più semplice per sopravvivere?
Cosa succede se quell'organismo abita un ambiente privo di ostacoli e predatori, e ogni suo bisogno viene soddisfatto?
In alcune religioni era peccato per l'uomo morire senza conoscere il livello di dolore che poteva sopportare.
Chi ha custodito in sè il fuoco primigenio della lotta, lo spirito arcaico della volontà e della sfida, chi ancora sente che la modernità e le sue leggi fittizie altro non sono che un paravento che vuol renderci tutti uguali, sradicati dal cuore stesso della Natura, che al contrario pretende da noi che ci si formi in quell'agone, meraviglioso e terribile come un dio, chiamato Vita, chi ha conservato questo è il vero lottatore, colui che ne ha appreso l'antichissima arte, colui che ha consapevolmente accettato la sfida di conoscere se stesso, di non voler lasciare insoluta la domanda che sempre assilla colui che aspetta l'inizio di ogni incontro: "Quanto valgo io?".
A che serve altrimenti oggi, combattere?
Se poi, capito tutto questo, se poi anche si finisce a terra, non si è perduto, ma si è vinto comunque, pechè l'Uomo ritrovato non lo si misurerà più dalle battaglie vinte o perse, ma da quello che di antico c'è nei suoi occhi, e che cercherà ovunque negli occhi dei suoi simili...
...Gli altri lottatori si rilassano sulle panche, o si muovono senza tregua.
Mio padre una volta mi disse di non fidarmi mai della parola di un uomo il cui corpo non fosse un pò rovinato.
Se questo è vero, allora mi trovo tra gli uomini più affidabili del pianeta.
Ecco, ci si ritrova tra uomini, ci si sente finalmente, abbandonato ogni inganno, a casa propria.
Non sono quello che si può pensare: niente a che vedere con quanto sia grosso il tizio, o con le dimensioni dei suoi pugni.
I tre indizi sono:
Una calma, quasi torpore, negli occhi.
La sua insistenza a volerti stringere la mano senza sforzarsi di stritolartela.
Quando chiede scusa per quello che succederà dopo.
Da "Fighter", di Craig Davidson.
Questo passaggio tratto dal bel romanzo di Davidson ci riporta all'essenza stessa della natura del combattente, di chi affronta armato delle sue sole forze fisiche, e del suo carattere, un avversario.
Ho spesso letto in questa bella sezione di quali siano le migliori tecniche per esprimere la propria potenza, di come affrontare un combattimento sul ring o una rissa da strada, di come si "costruisce" un lottatore;
Ma c'è dell'altro, c'è la Natura di chi si ha davanti, e la propria, con cui fare i conti, c'è l'abitudine alla lotta, e non parlo solo di quella che si esprime su di un ring o per la strada, ma l'abitudine alla lotta che dalla nascita la vita ci mette davanti, quella da combattere con la propria ombra, come fanno i pugili quando si allenano...
Ancora Davidson:
...Ogni organismo, in natura, non cerca il modo più semplice per sopravvivere?
Cosa succede se quell'organismo abita un ambiente privo di ostacoli e predatori, e ogni suo bisogno viene soddisfatto?
In alcune religioni era peccato per l'uomo morire senza conoscere il livello di dolore che poteva sopportare.
Chi ha custodito in sè il fuoco primigenio della lotta, lo spirito arcaico della volontà e della sfida, chi ancora sente che la modernità e le sue leggi fittizie altro non sono che un paravento che vuol renderci tutti uguali, sradicati dal cuore stesso della Natura, che al contrario pretende da noi che ci si formi in quell'agone, meraviglioso e terribile come un dio, chiamato Vita, chi ha conservato questo è il vero lottatore, colui che ne ha appreso l'antichissima arte, colui che ha consapevolmente accettato la sfida di conoscere se stesso, di non voler lasciare insoluta la domanda che sempre assilla colui che aspetta l'inizio di ogni incontro: "Quanto valgo io?".
A che serve altrimenti oggi, combattere?
Se poi, capito tutto questo, se poi anche si finisce a terra, non si è perduto, ma si è vinto comunque, pechè l'Uomo ritrovato non lo si misurerà più dalle battaglie vinte o perse, ma da quello che di antico c'è nei suoi occhi, e che cercherà ovunque negli occhi dei suoi simili...
...Gli altri lottatori si rilassano sulle panche, o si muovono senza tregua.
Mio padre una volta mi disse di non fidarmi mai della parola di un uomo il cui corpo non fosse un pò rovinato.
Se questo è vero, allora mi trovo tra gli uomini più affidabili del pianeta.
Ecco, ci si ritrova tra uomini, ci si sente finalmente, abbandonato ogni inganno, a casa propria.
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