bel mezzo!
Artega GT, il nome della creatura di 4 metri che lo veste sopra un telaio d'alluminio.
Artega GT, il nome della creatura di 4 metri che lo veste sopra un telaio d'alluminio.
Poco più di 1.200 kg e un motore 3.6 aspirato d'origine Volkswagen da 300 cv. Tutto questo dà un rapporto peso/potenza di 4.3 cv/kg, roba da supercar vera, a un prezzo da berlina, circa 70.000 euro. Esperienza di gomma a parte, l'Artega GT mi piace. E molto.
Gli incroci delle linee morbide e fluide mi ricordano la perfezione di certe Aston. E il designer è proprio un ex della Casa inglese, Henrik Fisker. Il resto è opera di Peter Müller, ex Porsche. La GT, opera prima di una factory tedesca che ora è di proprietà della Tresaria Capital, la stessa che possiede la birra Corona, per capirci, ha le carte in regola. Per cosa?
Per provare ad essere la prima piccola che insidia quelle grandi. Le supercar. Lo capisci ancora prima di partire. L'abitacolo è curatissimo. Con finiture del cruscotto che richiamano quelle della plancia e delle portiere. Non come sulle Lotus in cui il navigatore non c'entra niente con il quadro strumenti e le bocchette.
Qui c'è attenzione anche per questi particolari. Sa sempre un po' troppo di provenienza Volkswagen, ma va bene. Nella consolle centrale uno schermo LCD con tasti a sfioramento LED consente di comandare radio e clima. Trovata geniale. E meno costosa di altre interfacce. Posizione di guida raccolta, volante con quel filo di scamosciato che ti mette a tuo agio.
Una, due, tre curve e senti la rigidità e la compattezza del telaio. Ma alla prima sconnessione le vibrazioni mi salgono dalle ruote alla testa su per la colonna vertebrale alla velocità di un Frecciarossa senza controllo. Il set-up delle sospensioni è davvero al limite. Il cambio è doppia frizione a sei rapporti, DSG. Lo puoi usare anche manualmente, come sequenziale. E funziona bene, si sa.
Ok, via l'ESP, che si può fare. La GT è tutta mia ora. La coppia arriva forte e il sovrasterzo ti sorprende solo la prima volta perché niente ti dà un preavviso. È un pezzo unico, compatto quest'Artega. E tu ti senti al centro esatto con un volante in mano forse più leggero di quanto vorresti.
Ma ne devi essere cosciente. Niente di brutale, comunque, tutto molto fluido, corretto e preciso come ci si aspetta da qualcosa che è targato Germania. Faccio su e giù per una manciata di tornanti trovati per caso. L'Artega mi diverte, i freni Brembo non mi abbandonano.
Quando la smetto d'usarla come fosse una Lotus, ma non ha quel mix di telaio-sterzo-sospensioni che ti fanno tanto amare la auto della Casa di Hethel, me ne torno sui mie passi. In piazza la guardano tutti. C'è pure chi la scambia per l'ultima sconosciuta Ferrari... Sorrido. L'Artega non ti fa vergognare neppure all'ora dell'aperitivo. È proprio una piccola supercar.
Gli incroci delle linee morbide e fluide mi ricordano la perfezione di certe Aston. E il designer è proprio un ex della Casa inglese, Henrik Fisker. Il resto è opera di Peter Müller, ex Porsche. La GT, opera prima di una factory tedesca che ora è di proprietà della Tresaria Capital, la stessa che possiede la birra Corona, per capirci, ha le carte in regola. Per cosa?
Per provare ad essere la prima piccola che insidia quelle grandi. Le supercar. Lo capisci ancora prima di partire. L'abitacolo è curatissimo. Con finiture del cruscotto che richiamano quelle della plancia e delle portiere. Non come sulle Lotus in cui il navigatore non c'entra niente con il quadro strumenti e le bocchette.
Qui c'è attenzione anche per questi particolari. Sa sempre un po' troppo di provenienza Volkswagen, ma va bene. Nella consolle centrale uno schermo LCD con tasti a sfioramento LED consente di comandare radio e clima. Trovata geniale. E meno costosa di altre interfacce. Posizione di guida raccolta, volante con quel filo di scamosciato che ti mette a tuo agio.
Una, due, tre curve e senti la rigidità e la compattezza del telaio. Ma alla prima sconnessione le vibrazioni mi salgono dalle ruote alla testa su per la colonna vertebrale alla velocità di un Frecciarossa senza controllo. Il set-up delle sospensioni è davvero al limite. Il cambio è doppia frizione a sei rapporti, DSG. Lo puoi usare anche manualmente, come sequenziale. E funziona bene, si sa.
Ok, via l'ESP, che si può fare. La GT è tutta mia ora. La coppia arriva forte e il sovrasterzo ti sorprende solo la prima volta perché niente ti dà un preavviso. È un pezzo unico, compatto quest'Artega. E tu ti senti al centro esatto con un volante in mano forse più leggero di quanto vorresti.
Ma ne devi essere cosciente. Niente di brutale, comunque, tutto molto fluido, corretto e preciso come ci si aspetta da qualcosa che è targato Germania. Faccio su e giù per una manciata di tornanti trovati per caso. L'Artega mi diverte, i freni Brembo non mi abbandonano.
Quando la smetto d'usarla come fosse una Lotus, ma non ha quel mix di telaio-sterzo-sospensioni che ti fanno tanto amare la auto della Casa di Hethel, me ne torno sui mie passi. In piazza la guardano tutti. C'è pure chi la scambia per l'ultima sconosciuta Ferrari... Sorrido. L'Artega non ti fa vergognare neppure all'ora dell'aperitivo. È proprio una piccola supercar.
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