L’acrilammide è una sostanza che può formarsi negli alimenti, solitamente nei prodotti amilacei come patatine, patate fritte a bastoncino, pane e fette biscottate, durante la cottura (frittura, cottura al forno e alla griglia) a temperature pari o superiori a 120°C. L’acrilammide è un noto cancerogeno per gli animali da laboratorio; pertanto è opportuno mettere in atto misure per ridurre al minimo l’esposizione derivante da tutte le fonti, compresa la dieta.
Una mole considerevole di ricerche è stata condotta a livello internazionale per approfondire le conoscenze scientifiche sull’acrilammide: come esso si forma negli alimenti, quali sono i rischi per i consumatori e come ridurne il tenore nei cibi. La Commissione europea ha finanziato appositi progetti di ricerca e nel 2002, poco dopo la pubblicazione del primo studio sull’acrilammide negli alimenti, l’ex Comitato scientifico per l’alimentazione umana ha emesso un parere in merito alla sostanza.
Da quando nel 2002 è stata scoperta la presenza di acrilammide negli alimenti, l’industria ha cercato di escogitare modalità per ridurne la formazione negli alimenti. Poiché esso si produce durante i normali processi di cottura dei cibi, è probabile che la popolazione sia stata esposta all’acrilammide tramite l’alimentazione per un periodo di tempo considerevole. Per contribuire a ridurne i livelli di assunzione si possono adottare accorgimenti come seguire una dieta equilibrata e varia, ed evitare cotture eccessive.
Le attività dell’EFSA
Nel maggio del 2009 l’unità dell’EFSA Raccolta dati ed esposizione (DATEX) ha pubblicato una relazione sui tenori di acrilammide in vari alimenti, basandosi su dati forniti dagli Stati membri. Il documento era il primo di tre relazioni riferite rispettivamente al 2007, al 2008 e al 2009. L’Unità DATEX concludeva che sembrava esserci una tendenza verso un abbassamento dei tenori di acrilammide, benché ciò non fosse osservabile in tutti i gruppi di alimenti analizzati. Era inoltre prematuro dare un giudizio sull’efficacia dell’approccio usato dall’ ”acrylamide toolbox” sviluppato dall’industria alimentare per contribuire a ridurre l’esposizione all’acrilammide. La pubblicazione delle altre due relazioni è prevista per il 2010 e per il 2011.
Nel 2005 Il gruppo di esperti scientifici CONTAM dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare ha esaminato una relazione del Comitato congiunto di esperti FAO/OMS sugli additivi alimentari (JECFA). In una dichiarazione, il gruppo scientifico approvava le conclusioni del JECFA secondo le quali l’acrilammide desta timori per la salute umana ed è quindi necessario attivarsi per ridurre l’esposizione a tale sostanza. L’EFSA continua a monitorare gli sviluppi della ricerca scientifica e offre un contributo concreto per migliorare la comprensione del problema della presenza dell’acrilammide negli alimenti. L’EFSA collabora con le autorità nazionali per la sicurezza alimentare degli Stati membri per la creazione di una banca dati a livello europeo sui livelli di prevalenza dell’acrilammide in tutta una serie di alimenti.
Panoramica e cronologia
Nel 2002 ricercatori svedesi scoprirono per la prima volta che l’acrilammide può formarsi in maniera non intenzionale nelle patate e nei prodotti a base di cereali nel corso di comuni metodi di cottura quali la cottura al forno, la frittura e la cottura alla griglia a temperature elevate (superiori ai 120°C). Fino ad allora si sapeva soltanto che l’acrilammide era una sostanza chimica industriale altamente reattiva, presente per esempio a dosi ridotte nel fumo da tabacco. All’epoca la neurotossicità dell’acrilammide nell’uomo era stata rilevata in seguito a un’elevata esposizione occupazionale accidentale, quando l’acrilammide venne utilizzato nei processi industriali per la produzione di plastiche e altri materiali. Studi condotti sugli animali avevano dimostrato che l’acrilammide provoca il cancro e compromette anche la capacità riproduttiva.
L’EFSA continuerà a monitorare gli sviluppi in atto nella ricerca scientifica. Il nesso tra acrilammide e rischio di cancro nell’uomo è ancora incerto: alcuni risultati farebbero pensare a una relazione tra l’esposizione umana e l’insorgenza del cancro, mentre altri sarebbero in contraddizione con tale conclusione.
Commission Recommendation 2007/331/EC on the monitoring of acrylamide levels in food of 3 May 2007 requires the Member States to perform annually in 2007, 2008 and 2009 the monitoring of acrylamide levels in certain foodstuffs. These data have to be transmitted directly to EFSA by 1 June each year.
Member States were invited to sample altogether approximately 2000 foods in the following food categories: ‘French fries’, ‘potato crisps’, ‘potato products for home cooking’, ‘bread’, ‘breakfast cereals’, ‘biscuits’, ‘roasted coffee’, ‘jarred baby foods’, ‘processed cereal-based baby foods’ and ‘other products’. Results reported for foods sampled in 2007 have been collected and evaluated.
A total of 21 Member States and Norway submitted results for acrylamide content in foodstuffs. There were 2715 results reported for foods sampled in 2007, with a minimum of 76 reported for ‘processed cereal-based baby foods’ and a maximum of 854 reported for ‘other products’. The arithmetic mean acrylamide content ranged from 44 µg/kg for ‘jarred baby foods’ to 628 µg/kg for ‘potato crisps’ with the equivalent geometric mean of 31 µg/kg and 366 µg/kg. The highest 95th percentile value was reported for ‘potato crisps’ at 1690 µg/kg and the highest maximum for ‘other products’ at 4700 µg/kg.
The 2007 results were compared with results collected by the European Commission Joint Research Centre’s Institute for Reference Materials and Measurements in the years 2003 to 2006. There were 9311 results reported for foods sampled in 2003-2006. There were only eight results reported for the food category ‘jarred baby foods’ and they were not included in the comparison. The arithmetic mean acrylamide content ranged from 55 µg/kg for ‘cereal-based baby foods’ to 678 µg/kg for ‘potato crisps’ with the equivalent geometric mean of 35 µg/kg and 514 µg/kg. The highest 95th percentile value was reported for ‘potato crisps’ at 1718 µg/kg and the highest maximum for ‘other products’ at 7834 µg/kg.
There were some statistically significant differences between the two sampling occasions. Thus the product categories ‘biscuits’, ‘breakfast cereals’, ‘French fries’ and ‘potato products for home cooking’ showed higher contents of acrylamide in 2007 compared to 2003-2006, while on the other hand ‘coffee’, ‘bread’, ‘potato crisps’ and ‘other products’ showed lower contents. There was no statistically significant difference in acrylamide content for ‘cereal-based baby foods’. Lower acrylamide content in the product categories ‘bread’ and ‘coffee’ contributed most to an approximately 30% decrease in acrylamide exposure based on detailed consumption data from two countries.
The food industry has developed voluntary measures, such as the so-called ‘toolbox’ approach, which provides guidance to help producers and processors identify ways to lower acrylamide in their respective products. After evaluating the data, there seems to be a trend towards lower exposure. This trend is not uniform across food groups and therefore it is not yet clear if the acrylamide toolbox had its desired effects. However, the acrylamide levels in particular for potato crisps and bread seemed to have decreased over time from an arithmetic mean of 678 to 628 µg/kg (514 to 366 µg/kg for the geometric mean) and from 274 to 136 µg/kg (122 µg/kg to 66 µg/kg for the geometric mean), respectively. The latter decrease may in part be due to changes in crispbread processing implemented by industry. A decrease from 427 to 253 µg/kg (327 to 177 µg/kg for the geometric mean) in the acrylamide content in coffee might have been caused by an initial overestimation, because there are no suitable mitigation measures for coffee so far.
Una mole considerevole di ricerche è stata condotta a livello internazionale per approfondire le conoscenze scientifiche sull’acrilammide: come esso si forma negli alimenti, quali sono i rischi per i consumatori e come ridurne il tenore nei cibi. La Commissione europea ha finanziato appositi progetti di ricerca e nel 2002, poco dopo la pubblicazione del primo studio sull’acrilammide negli alimenti, l’ex Comitato scientifico per l’alimentazione umana ha emesso un parere in merito alla sostanza.
Da quando nel 2002 è stata scoperta la presenza di acrilammide negli alimenti, l’industria ha cercato di escogitare modalità per ridurne la formazione negli alimenti. Poiché esso si produce durante i normali processi di cottura dei cibi, è probabile che la popolazione sia stata esposta all’acrilammide tramite l’alimentazione per un periodo di tempo considerevole. Per contribuire a ridurne i livelli di assunzione si possono adottare accorgimenti come seguire una dieta equilibrata e varia, ed evitare cotture eccessive.
Le attività dell’EFSA
Nel maggio del 2009 l’unità dell’EFSA Raccolta dati ed esposizione (DATEX) ha pubblicato una relazione sui tenori di acrilammide in vari alimenti, basandosi su dati forniti dagli Stati membri. Il documento era il primo di tre relazioni riferite rispettivamente al 2007, al 2008 e al 2009. L’Unità DATEX concludeva che sembrava esserci una tendenza verso un abbassamento dei tenori di acrilammide, benché ciò non fosse osservabile in tutti i gruppi di alimenti analizzati. Era inoltre prematuro dare un giudizio sull’efficacia dell’approccio usato dall’ ”acrylamide toolbox” sviluppato dall’industria alimentare per contribuire a ridurre l’esposizione all’acrilammide. La pubblicazione delle altre due relazioni è prevista per il 2010 e per il 2011.
Nel 2005 Il gruppo di esperti scientifici CONTAM dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare ha esaminato una relazione del Comitato congiunto di esperti FAO/OMS sugli additivi alimentari (JECFA). In una dichiarazione, il gruppo scientifico approvava le conclusioni del JECFA secondo le quali l’acrilammide desta timori per la salute umana ed è quindi necessario attivarsi per ridurre l’esposizione a tale sostanza. L’EFSA continua a monitorare gli sviluppi della ricerca scientifica e offre un contributo concreto per migliorare la comprensione del problema della presenza dell’acrilammide negli alimenti. L’EFSA collabora con le autorità nazionali per la sicurezza alimentare degli Stati membri per la creazione di una banca dati a livello europeo sui livelli di prevalenza dell’acrilammide in tutta una serie di alimenti.
Panoramica e cronologia
Nel 2002 ricercatori svedesi scoprirono per la prima volta che l’acrilammide può formarsi in maniera non intenzionale nelle patate e nei prodotti a base di cereali nel corso di comuni metodi di cottura quali la cottura al forno, la frittura e la cottura alla griglia a temperature elevate (superiori ai 120°C). Fino ad allora si sapeva soltanto che l’acrilammide era una sostanza chimica industriale altamente reattiva, presente per esempio a dosi ridotte nel fumo da tabacco. All’epoca la neurotossicità dell’acrilammide nell’uomo era stata rilevata in seguito a un’elevata esposizione occupazionale accidentale, quando l’acrilammide venne utilizzato nei processi industriali per la produzione di plastiche e altri materiali. Studi condotti sugli animali avevano dimostrato che l’acrilammide provoca il cancro e compromette anche la capacità riproduttiva.
- Nel febbraio del 2005, il comitato congiunto di esperti FAO/OMS sugli additivi alimentari (JECFA) ha condotto una valutazione della sicurezza dell’acrilammide negli alimenti, concludendo che la questione suscita preoccupazioni per la salute umana. Tale conclusione era in linea con un parere pubblicato nel 2002 dal Comitato scientifico per l’alimentazione umana (SCF). Per le incertezze che ancora permanevano, il JECFA ha stabilito che la sicurezza dell’acrilammide avrebbe dovuto essere nuovamente esaminata alla luce di ulteriori ricerche e che si rendeva necessario uno sforzo per ridurre i livelli di acrilammide negli alimenti. Nell’aprile del 2005 il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) si è detto concorde con le principali conclusioni e raccomandazioni della valutazione del JECFA.
- I dati sull’esposizione necessari per valutare il collegamento tra acrilammide e cancro sono molto limitati. Nel 2002 la Commissione europea ha iniziato a raccogliere dati sull’incidenza di livelli elevati di acrilammide negli alimenti. Nel 2006 questo incarico è stato assunto dall’EFSA, in collaborazione con gli Stati membri.
- Un’ampia gamma di soggetti tra cui le autorità nazionali per la sicurezza alimentare degli Stati membri dell’UE, le università e le industrie alimentari hanno cercato di comprendere meglio il problema e di ridurre il tenore dell’acrilammide negli alimenti. Molti Paesi continuano a contribuire al corpus sempre più consistente di studi scientifici e alla raccolta di dati. Nel 2003 l’EFSA e nel 2006 la Commissione europea, in collaborazione con la Confederazione europea delle industrie agroalimentari (CIAA), hanno organizzato dei workshop su questo tema. Diversi sforzi sono stati profusi dai produttori alimentari per modificare le ricette e i processi di lavorazione onde ridurre la prevalenza dell’acrilammide in alimenti come patate fritte a bastoncino, snacks e patatine. La CIAA ha pubblicato linee guida sull’acrilammide chiamate “Acrylamide Toolbox” che si fondano sulle conoscenze attuali a disposizione dell’industria alimentare e che vengono regolarmente aggiornate. La Commissione europea ha finanziato una serie di progetti di ricerca tra cui il progetto HEATOX per esaminare le sostanze nocive che si formano nel corso dei processi di cottura, in particolare l’acrilammide, concentrandosi sull’identificazione, la caratterizzazione e la riduzione al minimo dei rischi.
- Nella primavera del 2008 l’EFSA ha organizzato un workshop scientifico con tutte le parti interessate, compreso il JECFA e membri del progetto HEATOX, per discutere di come l’EFSA contribuirà con la sua consulenza scientifica alla comprensione dell’acrilammide e del suo rapporto con la salute.
L’EFSA continuerà a monitorare gli sviluppi in atto nella ricerca scientifica. Il nesso tra acrilammide e rischio di cancro nell’uomo è ancora incerto: alcuni risultati farebbero pensare a una relazione tra l’esposizione umana e l’insorgenza del cancro, mentre altri sarebbero in contraddizione con tale conclusione.
Commission Recommendation 2007/331/EC on the monitoring of acrylamide levels in food of 3 May 2007 requires the Member States to perform annually in 2007, 2008 and 2009 the monitoring of acrylamide levels in certain foodstuffs. These data have to be transmitted directly to EFSA by 1 June each year.
Member States were invited to sample altogether approximately 2000 foods in the following food categories: ‘French fries’, ‘potato crisps’, ‘potato products for home cooking’, ‘bread’, ‘breakfast cereals’, ‘biscuits’, ‘roasted coffee’, ‘jarred baby foods’, ‘processed cereal-based baby foods’ and ‘other products’. Results reported for foods sampled in 2007 have been collected and evaluated.
A total of 21 Member States and Norway submitted results for acrylamide content in foodstuffs. There were 2715 results reported for foods sampled in 2007, with a minimum of 76 reported for ‘processed cereal-based baby foods’ and a maximum of 854 reported for ‘other products’. The arithmetic mean acrylamide content ranged from 44 µg/kg for ‘jarred baby foods’ to 628 µg/kg for ‘potato crisps’ with the equivalent geometric mean of 31 µg/kg and 366 µg/kg. The highest 95th percentile value was reported for ‘potato crisps’ at 1690 µg/kg and the highest maximum for ‘other products’ at 4700 µg/kg.
The 2007 results were compared with results collected by the European Commission Joint Research Centre’s Institute for Reference Materials and Measurements in the years 2003 to 2006. There were 9311 results reported for foods sampled in 2003-2006. There were only eight results reported for the food category ‘jarred baby foods’ and they were not included in the comparison. The arithmetic mean acrylamide content ranged from 55 µg/kg for ‘cereal-based baby foods’ to 678 µg/kg for ‘potato crisps’ with the equivalent geometric mean of 35 µg/kg and 514 µg/kg. The highest 95th percentile value was reported for ‘potato crisps’ at 1718 µg/kg and the highest maximum for ‘other products’ at 7834 µg/kg.
There were some statistically significant differences between the two sampling occasions. Thus the product categories ‘biscuits’, ‘breakfast cereals’, ‘French fries’ and ‘potato products for home cooking’ showed higher contents of acrylamide in 2007 compared to 2003-2006, while on the other hand ‘coffee’, ‘bread’, ‘potato crisps’ and ‘other products’ showed lower contents. There was no statistically significant difference in acrylamide content for ‘cereal-based baby foods’. Lower acrylamide content in the product categories ‘bread’ and ‘coffee’ contributed most to an approximately 30% decrease in acrylamide exposure based on detailed consumption data from two countries.
The food industry has developed voluntary measures, such as the so-called ‘toolbox’ approach, which provides guidance to help producers and processors identify ways to lower acrylamide in their respective products. After evaluating the data, there seems to be a trend towards lower exposure. This trend is not uniform across food groups and therefore it is not yet clear if the acrylamide toolbox had its desired effects. However, the acrylamide levels in particular for potato crisps and bread seemed to have decreased over time from an arithmetic mean of 678 to 628 µg/kg (514 to 366 µg/kg for the geometric mean) and from 274 to 136 µg/kg (122 µg/kg to 66 µg/kg for the geometric mean), respectively. The latter decrease may in part be due to changes in crispbread processing implemented by industry. A decrease from 427 to 253 µg/kg (327 to 177 µg/kg for the geometric mean) in the acrylamide content in coffee might have been caused by an initial overestimation, because there are no suitable mitigation measures for coffee so far.
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