Il sapore del grasso.
Perché i cibi light sono di gran lunga meno saporiti di quelli "grassi"? Semplice, perché anche il grasso ha un sapore specifico, del quale però non ci rendiamo conto. Sembra una banalità, ma è una scoperta alla quale gli scienziati andavano appresso dal 1500, cioè cinque secoli fa. Ad arrivarci è stato un gruppo di studio della Purdue University, nell'Indiana, guidato dal professor Richard Matthes, nutrizionista. "Per decenni si è pensato che i sapori base del cibo fossero quattro: dolce, amaro, salato e acido", dice Matthes. "Da qualche anno ci si è aggiunto l'umami, cioè quel sapore che si avverte quando nei cibi è immesso il glutammato. Il grasso, invece, era stato sempre considerato un vettore, cioè un trasportatore, del sapore. Una sostanza che dava struttura al cibo, ma non aveva sapore proprio". E invece il gruppo di Matthes ha identificato il sesto sapore base: quello, appunto, del grasso. "E non è solo una curiosità fisiologica: è invece proprio per questo che i cibi più gr assi ci sembrano più gustosi".
In effetti già nel Cinquecento il medico e filosofo francese Jean Fernell (noto anche per aver coniato il termine "fisiologia") aveva azzardato l'ipotesi che l'uomo fosse in grado di percepire il sapore del grasso, in sé. Ma nessuno gli aveva mai dato molto credito. "Le nostre esperienze con i ratti vanno invece proprio in questa direzione", spiega Matthes. "Ci siamo infatti resi conto che i grassi sono capaci di provocare variazioni nel potenziale elettrico delle cellule del gusto degli animali, e ciò dimostra che esiste un sistema di detection specifico per loro". E i ratti stessi hanno dimostrato anche di preferire i cibi grassi a quelli light.
Restava una questione da risolvere: era il sapore del grasso, a contare o il suo odore? L'equipe di Matthes a questo punto ha lavorato sull'uomo. E come elemento di test ha usato un cracker ricoperto di crema di formaggio. Elemento di riferimento: il fatto che solo assaggiando un cibo grasso il livello di lipidi nel sangue aumenta, in modo riflesso. Ad alcuni è stato dunque consentito di assaggiare e annusare il cracker. Ad altri solo di annusarlo. Ad altri ancora di assaggiarlo, con le narici serrate da una molletta. E c'era infine un gruppo di controllo cui non era consentito di far nulla. "Ebbene, dall'analisi del sangue dei soggetti è emerso che i livelli di grasso nel sangue stesso triplicavano immediatamente negli individui cui era consentito di annusare e assaggiare il prodotto. E in chi lo assaggiava soltanto - avendo dunque le narici serrate - si verificava comunque un aumento del tasso di grasso in circolazione. Ma niente accadeva in chi poteva soltanto annusare, senza assaggiare". Dunque, secondo gli studiosi, è il gusto che fa innalzare il tasso di grasso nel sangue. E cioè è il sapore, e non l'odore, lo stimolo cui il nostro corpo risponde.
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Perché i cibi light sono di gran lunga meno saporiti di quelli "grassi"? Semplice, perché anche il grasso ha un sapore specifico, del quale però non ci rendiamo conto. Sembra una banalità, ma è una scoperta alla quale gli scienziati andavano appresso dal 1500, cioè cinque secoli fa. Ad arrivarci è stato un gruppo di studio della Purdue University, nell'Indiana, guidato dal professor Richard Matthes, nutrizionista. "Per decenni si è pensato che i sapori base del cibo fossero quattro: dolce, amaro, salato e acido", dice Matthes. "Da qualche anno ci si è aggiunto l'umami, cioè quel sapore che si avverte quando nei cibi è immesso il glutammato. Il grasso, invece, era stato sempre considerato un vettore, cioè un trasportatore, del sapore. Una sostanza che dava struttura al cibo, ma non aveva sapore proprio". E invece il gruppo di Matthes ha identificato il sesto sapore base: quello, appunto, del grasso. "E non è solo una curiosità fisiologica: è invece proprio per questo che i cibi più gr assi ci sembrano più gustosi".
In effetti già nel Cinquecento il medico e filosofo francese Jean Fernell (noto anche per aver coniato il termine "fisiologia") aveva azzardato l'ipotesi che l'uomo fosse in grado di percepire il sapore del grasso, in sé. Ma nessuno gli aveva mai dato molto credito. "Le nostre esperienze con i ratti vanno invece proprio in questa direzione", spiega Matthes. "Ci siamo infatti resi conto che i grassi sono capaci di provocare variazioni nel potenziale elettrico delle cellule del gusto degli animali, e ciò dimostra che esiste un sistema di detection specifico per loro". E i ratti stessi hanno dimostrato anche di preferire i cibi grassi a quelli light.
Restava una questione da risolvere: era il sapore del grasso, a contare o il suo odore? L'equipe di Matthes a questo punto ha lavorato sull'uomo. E come elemento di test ha usato un cracker ricoperto di crema di formaggio. Elemento di riferimento: il fatto che solo assaggiando un cibo grasso il livello di lipidi nel sangue aumenta, in modo riflesso. Ad alcuni è stato dunque consentito di assaggiare e annusare il cracker. Ad altri solo di annusarlo. Ad altri ancora di assaggiarlo, con le narici serrate da una molletta. E c'era infine un gruppo di controllo cui non era consentito di far nulla. "Ebbene, dall'analisi del sangue dei soggetti è emerso che i livelli di grasso nel sangue stesso triplicavano immediatamente negli individui cui era consentito di annusare e assaggiare il prodotto. E in chi lo assaggiava soltanto - avendo dunque le narici serrate - si verificava comunque un aumento del tasso di grasso in circolazione. Ma niente accadeva in chi poteva soltanto annusare, senza assaggiare". Dunque, secondo gli studiosi, è il gusto che fa innalzare il tasso di grasso nel sangue. E cioè è il sapore, e non l'odore, lo stimolo cui il nostro corpo risponde.
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