Tanti anni fa, quando iniziai con il BB, mi sono affidato, come molti di noi, ad un attempato, ma molto bravo, istruttore (ex agonista).
Costui mi disse chiaramente, senza mezzi termini, che per avere successo erano necessarie tre doti: a) costanza; b) intelligenza; c) pazienza.
Seguii i suoi ottimi consigli e le sue buone schede per diversi anni e, senza fare troppo la signorina e senza perdermi in discorsoni, raggiunsi, con allenamenti seri ed una dieta seria, ottimi risultati.
Poi un bel giorno, siccome per mia natura sono un secchione, comprai alcuni libri ed un giornale del settore e lì, per mia somma sfortuna, mi imbattei in un articolo del seguente tenore “HIT ed HIV due sistemi da provare”.
E io provai.
Penna alla mano, stilai un bel programmino di allenamento e partii con l’HIV (che non è la nota malattia virale, ma il sistema di allenamento ad altissimo volume dei pro anni ‘80) e cominciai a fare 25/30 serie per gruppo muscolare, tutto ad esaurimento ed oltre.
All’inizio, sebbene spesso avessi conati di vomito dopo lo squat o stentassi a reggermi in piedi dopo le serie di stacco, andai alla grande: le misure aumentavano, il peso pure e mi sentivo bene.
Dopo tre settimane il tracollo (quanto improvviso ed inaspettato ancora non lo so): mal di testa continui, influenze a ripetizione, massa muscolare che spariva come neve al sole, analisi del sangue sballate.
Insomma, un disastro.
Ci volle un mese per rimettermi in piedi.
Forte dell’esperienza (forte come può essere un ragazzone di 20 anni) mi dissi che l’HIV non faceva assolutamente per me: “io sono un Mentzeriano” era il mio motto perchè “la prova l’ho avuta sul campo”.
Mi buttai, quindi, a capofitto sull’HIT.
Due serie, massimo tre, per esercizio e strip, ss, forzate, RP, negative, mezzi colpi, supersolow e chi più ne ha più ne metta.
Anche in questa occasione le prime tre settimane andarono alla grande: avevo ripreso le misure originarie e le avevo superate ero in ottima forma e mi sentivo bene.
Poi, complice il mio nuovo lavoro e d il nuovo stress (prima sconosciuto), di nuovo il tracollo, ma stavolta molto più pesante del primo.
Anemia, CPK alle stelle (davvero a livelli siderali), febbricola continua, mal di testa, valori del sangue sballati a livello davvero preoccupante.
Insomma finii dal mio medico, il quale (essendo un maratoneta esperto) appena vide le analisi del sangue mi disse una sola frase: “sovrallenamento grave ed acuto, sei a rischio ricovero”.
Stop di tre mesi.
Flebo, elettromiografie, ecocardio, ecografie, analisi, punture ecc.
Un inferno, nel vero senso della parola.
Tornato in palestra, il mio istruttore, pacato come al solito, mi disse: “adesso che hai fatto lo stronzo per sei mesi e ti sei catafottuto tutto quello che c’era da distruggere che vuoi fare? Perché se continui così, tu sotto i pesi ci rimani”.
Allora ho ricominciato a fare le cose con calma, senza fretta e, soprattutto, senza esagerare.
Ho iniziato a leggere con attenzione i vari autori ed articoli, chiedendomi sempre fino a che punto il mio fisico avrebbe potuto sostenere il carico allenante proposto.
Ho iniziato a preparare i miei programmi di allenamento con settimane di anticipo perché, come dice ancora oggi il mio maestro nel mio ambito lavorativo, le fesserie più grandi le scopri sempre parecchio tempo dopo che hai finito il lavoro, e, precisamente, quando lo rileggi per caso diversi giorni dopo.
Ho imparato ad ascoltare il mio corpo ed a correggere le schede strada facendo, perché anche la scheda perfetta va adattata al tuo fisico.
Conclusioni?
1) periodozzare e ciclizzare sempre tutto, anche gli scarichi, anche a costo di sembrare ossessivi, senza mai sposare fino alla testardaggine una tesi, per quanto autorevole sia. Non esiste la scheda perfetta: esiste solo una buona preparazione;
2) è un bene avere la capacità intellettuale di essere sempre essere aperti a nuove esperienze ed ai consigli altrui, ma è dimostrazione di pari capacità quello di recepire con massima attenzione e rielaborare quello che si riceve;
3) uno sa (perché, in fondo in fondo, lo sa sempre, di questo oggi sono certo) quello che è in grado di fare; superare i propri limiti è stimolante, ma molto, molto pericoloso, specie se non si hanno più 18 anni, si lavora e si ha famiglia;
4) massima attenzione ai feedback perché se si ha il cervello offuscato dalla “passione”, il corpo non mente mai.
Saluti.
Costui mi disse chiaramente, senza mezzi termini, che per avere successo erano necessarie tre doti: a) costanza; b) intelligenza; c) pazienza.
Seguii i suoi ottimi consigli e le sue buone schede per diversi anni e, senza fare troppo la signorina e senza perdermi in discorsoni, raggiunsi, con allenamenti seri ed una dieta seria, ottimi risultati.
Poi un bel giorno, siccome per mia natura sono un secchione, comprai alcuni libri ed un giornale del settore e lì, per mia somma sfortuna, mi imbattei in un articolo del seguente tenore “HIT ed HIV due sistemi da provare”.
E io provai.
Penna alla mano, stilai un bel programmino di allenamento e partii con l’HIV (che non è la nota malattia virale, ma il sistema di allenamento ad altissimo volume dei pro anni ‘80) e cominciai a fare 25/30 serie per gruppo muscolare, tutto ad esaurimento ed oltre.
All’inizio, sebbene spesso avessi conati di vomito dopo lo squat o stentassi a reggermi in piedi dopo le serie di stacco, andai alla grande: le misure aumentavano, il peso pure e mi sentivo bene.
Dopo tre settimane il tracollo (quanto improvviso ed inaspettato ancora non lo so): mal di testa continui, influenze a ripetizione, massa muscolare che spariva come neve al sole, analisi del sangue sballate.
Insomma, un disastro.
Ci volle un mese per rimettermi in piedi.
Forte dell’esperienza (forte come può essere un ragazzone di 20 anni) mi dissi che l’HIV non faceva assolutamente per me: “io sono un Mentzeriano” era il mio motto perchè “la prova l’ho avuta sul campo”.
Mi buttai, quindi, a capofitto sull’HIT.
Due serie, massimo tre, per esercizio e strip, ss, forzate, RP, negative, mezzi colpi, supersolow e chi più ne ha più ne metta.
Anche in questa occasione le prime tre settimane andarono alla grande: avevo ripreso le misure originarie e le avevo superate ero in ottima forma e mi sentivo bene.
Poi, complice il mio nuovo lavoro e d il nuovo stress (prima sconosciuto), di nuovo il tracollo, ma stavolta molto più pesante del primo.
Anemia, CPK alle stelle (davvero a livelli siderali), febbricola continua, mal di testa, valori del sangue sballati a livello davvero preoccupante.
Insomma finii dal mio medico, il quale (essendo un maratoneta esperto) appena vide le analisi del sangue mi disse una sola frase: “sovrallenamento grave ed acuto, sei a rischio ricovero”.
Stop di tre mesi.
Flebo, elettromiografie, ecocardio, ecografie, analisi, punture ecc.
Un inferno, nel vero senso della parola.
Tornato in palestra, il mio istruttore, pacato come al solito, mi disse: “adesso che hai fatto lo stronzo per sei mesi e ti sei catafottuto tutto quello che c’era da distruggere che vuoi fare? Perché se continui così, tu sotto i pesi ci rimani”.
Allora ho ricominciato a fare le cose con calma, senza fretta e, soprattutto, senza esagerare.
Ho iniziato a leggere con attenzione i vari autori ed articoli, chiedendomi sempre fino a che punto il mio fisico avrebbe potuto sostenere il carico allenante proposto.
Ho iniziato a preparare i miei programmi di allenamento con settimane di anticipo perché, come dice ancora oggi il mio maestro nel mio ambito lavorativo, le fesserie più grandi le scopri sempre parecchio tempo dopo che hai finito il lavoro, e, precisamente, quando lo rileggi per caso diversi giorni dopo.
Ho imparato ad ascoltare il mio corpo ed a correggere le schede strada facendo, perché anche la scheda perfetta va adattata al tuo fisico.
Conclusioni?
1) periodozzare e ciclizzare sempre tutto, anche gli scarichi, anche a costo di sembrare ossessivi, senza mai sposare fino alla testardaggine una tesi, per quanto autorevole sia. Non esiste la scheda perfetta: esiste solo una buona preparazione;
2) è un bene avere la capacità intellettuale di essere sempre essere aperti a nuove esperienze ed ai consigli altrui, ma è dimostrazione di pari capacità quello di recepire con massima attenzione e rielaborare quello che si riceve;
3) uno sa (perché, in fondo in fondo, lo sa sempre, di questo oggi sono certo) quello che è in grado di fare; superare i propri limiti è stimolante, ma molto, molto pericoloso, specie se non si hanno più 18 anni, si lavora e si ha famiglia;
4) massima attenzione ai feedback perché se si ha il cervello offuscato dalla “passione”, il corpo non mente mai.
Saluti.
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