Advanced Squat

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  • IronPaolo
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    Advanced Squat

    #1 - Quelli forti retrovertono il bacino

    In questa serie di “articoli” vorrei riuscire a mettere secondo un filo logico tutte le cose che ho imparato sullo squat in quest’ultimo anno, studi, esperimenti, prove, modelli. Vorrei evidenziare anche alcuni aspetti “filosofici” o quanto meno metodologici delle conoscenze sulla biomeccanica di un movimento complesso e poco studiato in cui le domande sono, incredibilmente, più delle risposte.

    Non le mie domande, le domande del mondo scientifico. Non ho accesso alle fonti informative universali sullo squat ma una cosa è certa: a livello scientifico mondiale molti aspetti non sono chiari: uno su tutti, perché esiste uno sticking point, un punto in cui il movimento rallenta, si “appiccica” o si “conficca” come indica il verbo “to stick”.

    Gli studi lasciano aperti molti dubbi, i guru internazionali hanno tutti delle certezze: non è mia prassi fare il polemico né voglio farlo adesso, però vi prego di credere che è così. Ed è anche abbastanza logico che lo sia: dei veri studi costano soldi, tanti soldi e un conto è analizzare il comportamento dell’anca per creare una protesi funzionale per il 99,999% delle attività degli esseri umani, un altro è studiare la stessa anca alla massima flessione in uno squat con 300Kg che rappresenta lo 0,001% rimanente. Se voi aveste X euro dove li investireste, nel capire come l’anca funziona per salire le scale o per invertire il movimento nello squat?

    Più cose leggo, più mi informo, più conosco e più comprendo come anche i grandi allenatori dicano cose non corrette: non tanto perché non sono vere, ma semplicemente perché non sono dimostrabili. Magari sono incredibili intuizioni, ma l’intuizione poi va dimostrata.

    Vi faccio un esempio “facile”: dico che la forza di gravità punti verso l’alto. “Eh si, è una cazzata”. Si ma come fate a dimostrarlo? “Perché la legge della gravitazione universale bla bla bla”.

    In questo caso c’è una dimostrazione teorica, voi sapete che è così. Già qui si apre un bel tema di discussione: voi sapete che esiste un motivo ma non sapete perché, state pensando “boh… qualcuno l’ha dimostrato, ah si, Newton” e di fatto state ragionando come gli ottusi ingegneri che non sanno un ***** di meccanica quantistica e ragionano di elettroni a palline. Però, andiamo avanti.

    Immaginiamo che non esiste la dimostrazione teorica richiesta, potremmo semplicemente fare così: prendiamo un tombino di ghisa, lo buttiamo fuori dalla finestra. Se sfonda il parabrezza della macchina posteggiata sotto casa, possibilmente non una delle nostre, la forza di gravità va verso il basso, se disintegra il reattore sinistro del Boeing di linea sopra di noi va verso l’alto.

    Ripetiamo l’esperimento 100 volte in giorni, ore, condizioni climatiche diverse e alla fine tiriamo le conclusioni: non ci sono evidenze sperimentali che la Gravità vada verso l’alto. Ciò non significa che non possa accadere, però comunque la mia affermazione iniziale è falsa: la Gravità non punta verso l’alto perché qualche volta punta verso il basso. Sembra una stronzata ma non lo è: io dimostro una intuizione con un esperimento che se non altro la conferma o la nega almeno in quell’esperimento! Chec*****…

    Vi ho rincoglionito e state pensando “si ma perché fare questo casino per una cosa evidente?”. Proprio perché è evidente è facile trovare l’errore.

    Adesso entriamo in the wild, nel mondo reale out of there.

    Una discussione su Fituncensored mi ha fatto molto riflettere. Il tema era l’Hip Drive, una sigla che indica il movimento dell’anca all’uscita dalla “buca” nello squat, cioè dal punto inferiore del movimento.

    Il termine è stato coniato da Mark Ripptoe, un allenatore che a me piace tantissimo, prima atleta, poi allenatore e poi autore e scrittore. I libri di Mark grondano di passione per allenare e per trovare metodi didattici per insegnare le cose.

    Il punto è questo: video alla mano, a me non piace il suo squat e ritengo l’hip drive qualcosa di didatticamente pericoloso. Spiegherò perché nel prossimo articolo, adesso mi preme però esprimere un altro concetto per me importante: ognuno ha un riferimento e come una catena io guardo Mark e magari qualcuno guarda me.

    Non perché io sia un guru, io rifiuto qualsiasi etichettatura, ma essere un guru su internet è facile: basta scrivere cose appena decenti per molto tempo, si è indicizzati da google, si “sta sul pezzo” e alla fine… puf, quello che dici è letto da qualcuno e tu diventi un anello della catena.

    Per questo motivo, come io guardo lo squat di Mark e ne sono deluso, altri guarderanno me e saranno a loro volta delusi: il problema è che ognuno si aspetta dal suo riferimento molto più di quanto questo possa dare e proprio su me stesso vi farò degli esempi.

    Ora, se vi scaricate i pdf che parlano dell’active hip 2.0 di Ripptoe trovate che allargando le ginocchia, cioè quello che nel PL da noi si chiama “sparare le ginocchia in fuori” si ottiene un allungamento degli adduttori che così sono più forti quando si contrarranno nella risalita “potenziandola”.

    In altre parole:
    • Sparare le ginocchia in fuori allunga gli adduttori.
    • Gli adduttori sono anche degli estensori del femore.
    • L’allungamento indotto sugli adduttori in discesa, perciò in eccentrica, crea uno stretch reflex che nella conseguente risalita concentrica “potenzia” la forza di contrazione, pertanto l’estensione e la risalita.
    • Perciò, facendo così si ottiene una miglior risalita.
    Ora, per quanto mi spiaccia dirlo, tutto questo è una splendida, geniale intuizione. Ma solo questo. Oppure, si portano delle “prove” cioè degli studi e degli esperimenti che mostrino essenzialmente che gli adduttori contribuiscono in questo modo in maniera rilevante all’estensione del femore.

    Uno studio serio consisterebbe nel paralizzare i nervi che controllano gli adduttori e determinare come l’alzata differisce: se vi sembra una cosa assurda, esistono studi che paralizzando il deltoide e il sovra spinato hanno permesso di calcolare il contributo di forza di ognuno all’elevazione dell’omero e, tanto per dire, hanno fatto capire che il sovraspinato non è un muscolo debole.

    “Si ma sparare le ginocchia in fuori permette una alzata migliore”. Giustissimo. Non metto in discussione che ciò accada, metto in discussione la spiegazione del motivo. Ne fornisco allora una alternativa, che dal mio punto di vista è quella corretta: allargare le ginocchia implica l’uso degli abduttori del femore che sono anche estensori dell’anca, pertanto se allargo le ginocchia è come se volessi far ruotare l’anca, cioè “penetro” più nella buca in assetto corretto.

    Anche questa spiegazione è di fatto “giusta”, ma è quella che è: un qualcosa che non può essere comprovato o confutato. Cioè “torna” e alla fine ci posso costruire sopra un bellissimo modello che spiega cosa succede nella realtà, ma in questo modello non inserisco gli adduttori che per me sono solo degli stabilizzatori e non hanno un ruolo rilevante nell’estensione dell’anca nello squat.

    Avete letto tutto questo ***** di ultimo pezzo? Bene, adesso ve lo scrivo come farebbe un autore amerikano stile Iron Man, diciamo come l’autore delle X-Reps di cui ora non mi ricordo il nome: “Studi scientifici mostrano come gli abduttori dell’anca sono anche estensori della stessa, pertanto allargare le ginocchia nella discesa dello squat utilizzando gli abduttori impedisce la retroversione del bacino nel punto più basso”.

    Wow, è nato un mito. Dopo sei mesi su qualche forum leggerò che le ginocchia in fuori non fanno retrovertere il bacino. Perché? Perché… l’ha detto uno che ci capisce.

    Ma anche qui… sarà rilevante ciò che ho scritto nello squat? Io ho semplicemente razionalizzato delle mie, personali, sensazioni. Sicuramente è un modello plausibile, però solo un vero studio sperimentale può far passare questa roba da ipotesi a tesi confermata, da intuizione a verità.

    Magari invece sparare le ginocchia in fuori aumenta la stabilità del bacino, cioè rende tutto più rigido e così più stabile alla flessione in avanti. Sicuramente succede anche questo.

    Perciò, le certezze che leggete sono invece poco certe, ragazzi. Il problema è che ho scritto già due pagine in times new roman corpo 12 di soli dubbi senza mettere giù nemmeno un’idea spendibile, un pezzo pesantissimo e poco vendibile.

    Però, non ce la faccio, io sono così: considero scrivere queste cose una forma di onestà intellettuale verso il lettore, che io giudico sempre intelligente, in modo che abbia le informazioni corrette per decidere tramite la sua intelligenza.

    Io voglio parlare a persone che ragionano sul perché gli ingredienti devono essere mescolati in un certo modo, non a quelli che vogliono le ricette ed è per questo che non farò mai i soldi con questa roba. Ma, come dice mio padre, nella vita certe cose si fanno per il piacere di farle e non per i soldi.

    Retrovertere o non retro vertere, questo è il problema…


    Una sequenza di un video di Ripptoe (è quello a destra) che mi ha fatto riflettere: un suo allievo impara la tecnica dell’active hip. Lasciamo perdere ancora questa storia e guardiamo i fotogrammi in senso orario partendo da quello in alto a sinistra.

    Il ragazzo scende con la schiena alla curvatura fisiologica, quando è al parallelo inizia a retro vertere un po’ il bacino, discesa nella buca con questa retroversione, recupero della retroversione in risalita e poi chiusura.

    Questa è un’altra alzata del solito video, anche qua c’è una retroversione e poi un recupero. Se guardate il video è evidente, “annusa con il culo” il pavimento e poi torna su.

    Per Ripptoe questa alzata va bene. Non solo. Osservate qualsiasi video di persone fortissime, anche di front squat, anche di strappo, anche di quello che volete…. Troverete sempre un po’ di retroversione. Meglio: troverete persone che non retrovertono ma sono di solito più quelle che lo fanno, un “pochinino”. Le riprese laterali e posteriori sono impietose e io stesso faccio “un po’” così.

    Si pone una questione: tutti “noi” autori che scriviamo su Internet ripetiamo come una litania di mantenere la curvatura fisiologica della spina pena passare l’eternità nel girone delle ernie espulse dove i dannati sono costretti a fare per sempre sissy squat con i manubrini rosa in pantacollant.

    L’evidenza dei fatti è però che “quelli forti” retrovertono “un po’ “ il bacino e dato che statistiche alla mano non ci sono stragi di dischi vertebrali esplosi, alla fine non fa male. Entiende? NON-FA-MALE retrovertere il bacino. “Che ***** dice questo qua?”

    Vediamo chi è il primo che commette il mortale errore Perciò©™®, tipico degli ottusi: “quelli forti retrovertono un po’ il bacino, perciò per avere uno squat forte io devo retrovertere il bacino”, cioè dalla constatazione di un fatto alla creazione di una “regola”. Il palestrato du gust il megl che uan™®© pensa “se un po’ fa bene, molto fa benissimo” e allora squat con la schiena a C!

    La domanda, invece, è la seguente: perché un comportamento antifisiologico non crea i problemi che ci aspetteremmo?

    Lo formalizzo meglio.


    In alto tre vertebre lombari alla curvatura fisiologica: in questo assetto le forze che agiscono sui dischi intervertebrali e sulle faccette articolari sono “a specifica”, cioè le pressioni sono uniformemente distribuite ed essenzialmente i dischi possono assorbire al meglio i carichi. Immaginate di avere un bel palloncino pieno d’acqua sul tavolo e di schiacciarlo con un libro che è parallelo al tavolo stesso: il disco si espanderà uniformemente assorbendo le forze compressive.

    In basso le stesse vertebre quando viene persa la naturale curvatura fisiologica: le forze non si distribuiscono più in maniera omogenea, ma sono più concentrate sulle zone anteriori dei dischi vertebrali con conseguente pressione disomogenea sui dischi: inclinate il libro e premetelo sul palloncino, questo si deformerà dalla parte opposta a quella maggiormente schiacciata.

    I dischi vertebrali si comportano allo stesso modo: chiaramente sono fatti appositamente per resistere anche in questo modo e tutti i muscoli paravertebrali operano per permettere proprio sforzi in condizioni di curvatura spinale.

    Il problema però rimane: esercizi in cui si perde anche leggermente la curvatura spinale mettono le vertebre in una configurazione peggiore rispetto a quelli in cui la curvatura non viene persa. Una volta tanto mi sembra una cosa logica.

    Ma perché allora perdere “un po’” la curvatura spinale non crea problemi? Ragazzi, io vi presenterò una mia teoria, ma non voglio che pensiate che sia “vera”: è plausibile, ma tutta da dimostrare.

    Perciò voglio che sia chiara una cosa: non ho trovato materiale che possa dimostrare che perdere “un po’” la curvatura non sia pericoloso, né che esista una tecnica per farlo, né che sia “fisiologico” perderla.

    Se mai leggerete che sotto il parallelo sia “naturale” perdere la curvatura perché i femorali bla bla bla o l’impingement bla bla bla o che i muscoli spinali bla bla bla, sappiate che a meno che non riportino studi scientifici veri, state leggendo una stronzata.

    La questione non sarà MAI risolta per il semplice motivo che non frega un ***** a nessuno del motivo per cui si retroverte il bacino in uno squat con 300Kg sul groppone, dai… e se per caso ti fai male sono cazzi tuoi, su…

    Ripeto perché ci tengo: tutti gli studi del mondo si concentrano su patologie, artroplastiche, disturbi, studi costosi che richiedono elettromiografie, TAC, risonanze e di sicuro si spende per chi sta male e non per chi volontariamente si mette come un coglione in condizioni di pericolo.

    Pertanto nessuno, nessuno, nessuno in campo medico ha mai analizzato cosa succede al bacino, all’anca, al collo del femore quando è compresso in posizione di massima flessione con un carico di oltre il 250% del peso corporeo piazzato vicino al collo. E pertanto nessuno, nessuno e ancora nessuno è in grado di definire margini di sicurezza per una retroversione “funzionale” del bacino.

    Perciò, non fatevi fottere: leggete tutte le spiegazioni del mondo sul perché questo accade, se mai le troverete, ma sappiate che sono solo estrapolazioni, cioè spiegazioni di situazioni non note a partire da situazioni note. Una forma scientifica per definire una intuizione.
  • acalex_2000
    Bodyweb Advanced
    • Aug 2007
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    • un pò dappertutto..ora spero Bruxelles
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    #2
    Ci mancavano i tuo articoli Paolo!!!!! Grande come sempre...

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    • MikaelPROBass
      Inattivo
      • Feb 2007
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      #3
      tutto molto giusto,ma il messaggio quale doveva essere?

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      • Leviatano89
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        • Mar 2009
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        • ramingo su Miðgarðr
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        #4
        Originariamente Scritto da MikaelPROBass Visualizza Messaggio
        tutto molto giusto,ma il messaggio quale doveva essere?
        che molti cercano di spiegare a modo loro senza che vi siano studi..... credo

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        • IronPaolo
          Bodyweb Senior
          • Dec 2005
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          #5
          #2 – La fiaba dello sticking point

          Originariamente Scritto da Leviatano89 Visualizza Messaggio
          che molti cercano di spiegare a modo loro senza che vi siano studi..... credo
          Senza il "credo"

          E' proprio così: qua ci sono meno certezze di quanto si pensi. Il fatto che le cose poi funzionino è come per l'ipertrofia: è da 100 anni che si sa come fare a diventare grossi nella pratica, ma ancora non c'è una visione complessiva.

          Nella tecnica degli esercizi è così e se pensiamo che ancora oggi valgono i miti di 30 anni fa sulle ginocchia che non devono oltrepassare le punte... siamo un pezzo indietro.

          Comunque voglio essere più pratico: queste sono le brutte copie delle parti del libro che sto scrivendo, e che avranno un filo logico.

          Ecco un altro assaggino.

          Scopo di questi articoli è creare un modello dello squat che abbia una sua “coerenza interna”: deve spiegare cosa accade senza contraddizioni, per tutti. Ovviamente, il limite è che non sarà né confermabile né confutabile perché servirebbero studi comparativi, ma già il fatto che le spiegazioni siano coerenti con quello che vediamo è un punto a suo favore.

          Il tutto si baserà sulla spiegazione del perché la traiettoria dello squat è di un certo tipo, ma prima di entrare nel tecnico presento un excursus di tutta la storia, dicendovi il finale in modo che chi avrà lo stomaco di leggere non si perderà nei particolari.

          Il misterioso sticking point
          Lo squat è un movimento banale rispetto ad un sollevamento olimpico, di cui costituisce una parte. Un movimento “semplice” di discesa e risalita a differenza di uno snatch in cui esistono fasi dove l’atleta muove il bilanciere ed altre dove si muove intorno a lui.
          Eppure, esiste un punto, a circa 15cm sopra la risalita, dove l’atleta si “impunta”, come se rimanesse “appiccicato” alle sabbie mobili.


          E’ il “punto appiccicoso”, lo sticking point. L’atleta arranca e o crolla o chiude l’alzata. Un affare del genere non esiste nei sollevamenti olimpici. Perché accade è molto misterioso e non c’è accordo a livello scientifico sul motivo. Potete leggervi [2] per un’idea di cosa sia.

          Ho pertanto scartabellato tonnelate di articoli e materiali, lo squat è effettivamente molto studiato al mondo perché la posizione di “squat”, cioè di “accovacciati” è una postura utilizzata nei lavori manuali, nei sollevamenti e nelle attività di tutti i giorni. Troverete molto meno studi sulla panca, ad esempio, rispetto a quelli per portare carichi sopra la testa.

          Sollevare le casse da terra

          Secondo voi quale dei tre è il modo migliore per sollevare una cassa da terra? “Ma è semplice, quello a sinistra!”, perché la spina dorsale è alla curvatura fisiologica bla bla bla. Il punto è che questo aspetto NON E’ chiaro, nel senso che ognuno avrà una strategia preferenziale per sollevare una cassa da terra e non è detto che quella a sinistra sia la posizione più sicura o che quella a destra sia dovuta ad una muscolatura troppo debole in certi distretti: in uno studio quella postura era usata da un triplista, di sicuro uno che non aveva debolezze…

          In

          In [24] ad esempio hanno fatto un esperimento molto carino in cui fanno sollevare a delle persone delle casse da una altezza un centimetro sempre più alta o sempre più spostata, il risultato è stato che i soggetti passavano da una posizione come quella a sinistra ad una come quella a destra, da squat, accovacciati, a stoop, chinati.

          Aumentando invece il carico accadeva l’inverso. [1] è un compendio dei consumi calorici delle attività, ed è possibile notare come lo squat sia molto più dispendioso dello stoop, che è una posizione simil-stacco.


          Ovviamente, sono delle stime, ma il grafico rende l’idea: lo squat è un movimento metabolicamente impegnativo, questo è il motivo per cui le persone che fanno attività ripetitive possono partire con la schiena bella dritta e poi passano all’altra configurazione.

          Ma… fa male tirare di schiena? Con carichi “bassi” di fatto non ci sono elementi per dirlo, perché gli erettori spinali non sono attivi ma la stabilità è a carico dei legamenti: la non attività degli erettori spinali è detta Flexion Relaxation Effect ed è uno dei motivi per cui lo stoop “costa” meno in termini di calorie spese, il che significa che questo tipo di modalità di sollevamento è previsto nelle specifiche della spina.

          Le ernie non nascono infatti per un singolo episodio acuto o, quanto meno, questa non è di sicuro la causa principale quanto piuttosto la ripetizione di movimenti scorretti in assenza di un’attività di muscolazione che rinforza i muscoli paravertebrali.

          Quando il carico è elevato viene naturale sollevare in una posizione sempre più in stile squat, ma il fatto di trasformare uno squat in uno stoop sarà poi rilevante per noi: schienare lo squat è un modo per diminuire la spesa energetica, alla fine la forza da impiegare nel movimento.

          Un articolo molto interessante è il [26] in cui viene spiegato come la “forma” della traiettoria di uno squat sia influenzata dalla mutua coordinazione di caviglia, ginocchio e anca e di come i femorali giochino un ruolo fondamentale in quando muscoli biarticolari: trasferiscono forza dal ginocchio all’anca, in [29] una spiegazione una volta per tutte chiara.

          Rimbocchiamoci le maniche
          Nel tempo mi sono attrezzato per cercare di sperimentare in proprio. Ovviamente, io non sono un’Università né sono sponsorizzato da un’ente di ricerca però alla fine come diceva Confucio 3000 anni fa, “chi fa da se fa per tre” e avere a disposizione un unico soggetto forte nello squat, io, e un ricercatore che sa cosa guardare, io, mi ha permesso di capirci qualcosa, dai…


          Con attrezzature che manco McGyver riuscirebbe a sognare nei suoi peggiori incubi, sono riuscito a tirare fuori informazioni interessanti.


          Rapidissimamente perché voglio che vi concentriate sul concetto e non sui dettagli: queste nauseanti curve sono le velocità verticali del bilanciere in 4 mie alzate, le parti riquadrate sono ciò che ci interessa: a sinistra le curve vanno giù e tornano su, a destra no.

          “Andare giù e tornare su” significa che la velocità del bilanciere rallenta e poi aumenta di nuovo, se provate a visualizzare un’alzata del genere è proprio quella dove il bilanciere “si intacca” e l’atleta soffre.
          A sinistra invece l’avvallamento non c’è e pertanto il bilanciere va su bello veloce, una bella alzata.

          In basso le due forme, quella con lo sticking point e quella senza: il punto è che io posso avere uno sticking point con 170Kg come con 130Kg, oppure no! Questo mi ha lasciato di stucco: dagli studi sembra che lo sticking point sia qualcosa di inevitabile, deterministico: deve esserci per forza. nvece non è così.

          Questo mi ha fatto formulare la seguente ipotesi: vi è un fortissimo coinvolgimento dell’atleta nella “scelta” della traiettoria dello squat, dovuta certamente al carico e all’antropometria personale ma essenzialmente influenzabile dallo schema motorio che l’atleta stesso ha consolidato nel cervello. Infatti, in [25] viene espresso proprio il concetto appena descritto che, in soldoni, è questo: la tecnica… conta. E conta parecchio.

          La difficoltà in queste cose è che ad un certo punto devi scriverti il software da solo, perché i dati che si ottengono sono veramente tantissimi e l’analisi di questi necessita della creazione di uno strumento adatto.


          Perciò, mi sono creato uno strumento in cui posso definire come variano gli angoli di caviglia, anca e ginocchio per creare delle traiettorie di squat differenti, ottenendo tutti gli sticking point del mondo. Mi sono messo ad osservare gli squat su youtube e alla fine credo di averci capito qualcosa.

          Due squat

          In alto l’uscita dalla buca di uno squat come ci si immagina dovrebbe essere: notate la curva delle chiappe, sono due specie di semicerchi che si sovrappongono, il che significa che l’atleta risale come è sceso dato che ogni semicerchio è relativo ad una fase del movimento.

          In basso l’uscita dalla buca per un atleta che spara le ginocchia indietro: notate come la schiena sia più inclinata e come i due semicerchi si separino con quello della risalita che è più a destra di quello della discesa ad indicare che le due fasi hanno comportamenti asimmetrici.

          Sebbene nella testa di ognuno di noi ci sia il film dello squat in alto, in realtà quasi tutti gli squat sono come quello in basso. E per tutti intendo anche dei front squat, che hanno delle scodate enormi pur avendo il bilanciere “davanti” e non “dietro”. Ancora, weightlifters d’elite scodano da paura con i pesi sopra la testa, come altri lo fanno appena impercettibilmente: c’è così da chiedersi il perché di questi comportamenti.


          Questo è il grafico della coppia all’anca e al ginocchio per lo squat “da manuale”: la coppia meccanica è la capacità di imprimere una rotazione ad un oggetto, pertanto i grafici indicano quanta “forza rotativa” è necessario applicare al ginocchio e all’anca per generare il movimento di squat.

          Notate come vi sia un fortissimo coinvolgimento delle ginocchia per molto tempo, dato che la curva rossa fa un bel “bozzo”, mentre le anche sono coinvolte meno e quando le ginocchia danno il massimo le anche sono ben più scariche perché la schiena al parallelo viene mantenuta più eretta rispetto alla posizione di partenza e di fine.

          Ovviamente, per fare uno squat del genere bisogna avere delle cosce da paura, perché o si genera quella coppia o si soccombe.


          Ecco cosa succede quando vedete uno che scoda con le chiappe: l’atleta opera una separazione delle rotazioni di caviglia/ginocchia e anca. Questo fa si che la coppia al ginocchio sia non solo minore a parità di carico sul bilanciere, ma la richiesta massima abbia una durata inferiore al caso precedente. Quando la schiena si inclina, la coppia al ginocchio diminuisce e aumenta quella all’anca che deve impedire al tronco di ruotare in avanti, poi nuovamente per mettersi in piedi l’atleta deve dare coppia al ginocchio, comportamento che si evidenzia con il secondo “bozzo”.

          In pratica nel primo caso devo estendere contemporaneamente anca e ginocchio, in questo secondo caso prima estendo il ginocchio, poi l’anca. Energeticamente parlando, questo caso è meno dispendioso cioè necessita di meno forza complessiva: questo è il motivo per cui lo stoop è più semplice dello squat, spezzare il movimento costa meno che farlo in maniera omogenea.

          Per questo tutti scodano e la scodata fa parte del movimento.
          Il punto pertanto non è non scodare, ma capire se esiste un modo migliore per farlo e se questo sia o meno dannoso per la schiena.

          Scopo dei prossimi articoli, pertanto, è dettagliare tutto questo. Usciremo molto dagli schemi, sono tutte cose veramente nuove e che non avete di sicuro mai viste. Non lo dico per fare del sensazionalismo, nè vi chiedo di credermi perché nemmeno io so fino a che punto sono giuste, ma pretendo una mentalità aperta. Altrimenti… non leggete.

          1. Prediction of metabolic rates for manual material handling jobs - Chaffin et alii - American Industrial Hygiene Association Journal, 1978
          2. A three-dimensional biomechanical analysis of the squat during varying stance widths - Escamilla, Fleisig, Lowry, Barrentine, Andrews - Medicine and Science in sports and exercise 2000
          3. Effects of technique variations on knee biomechanics during the squat and leg press - Escamilla, Fleisig, Zheng et alii - Medicine and Science in sports and exercise 2001
          4. Intra-abdominal pressure during trunk extension motions - Marras, Mirka - Clinical Biomechanics, 1996
          5. Cinematographical examination of powerlifting aids in squatting - Escamilla, Sawhill - Washington State University, USA
          6. Stance width and bar load effects on leg muscle activity during parallel squat - McCaw, Melrose - Medicine and Science in sports and exercise 1999
          7. The Effect of Back Squat Depth on the EMG Activity of 4 Superficial Hip and Thigh Muscles - Caterisano, Moss, Pellinger et alii - Journal of Strength and Conditioning Research, 2002
          8. Effects of elastic bands on force and power during back squats Chains - Wallace, Winchester, McGuigan - Journal of strength and conditioning research, 2006
          9. Electromyograhic activity in squatting at 40°, 60° and 90° knee flexion positions - Oliveira Sousa et alii - Rev Bras Med Esporte _ Vol. 13, Nº 5, 2007
          10. Electromyographic Activity of the Hamstrings During Performance of the Leg Curl, Stiff-Leg Deadlift, and Back Squat Movements -
          11. Back stress and assistance exercises in weightlifting - Burnett, Beard, Netto - ISBS 2002, Caceres - Extremadura - Spain
          12. Electromyographic Activity of the Hamstrings During Performance of the Leg Curl, Stiff-Leg Deadlift, and Back Squat Movements - Wright, Delong, Gehlsen - Journal of Strength and Conditioning Research, 1999
          13. Hamstring electromyographic response of the back squat at different knee angles during concentric ad eccentric phases - Jensen, Ebben - Dept. HPER, Northern Michigan University, Marquette, MI, USA
          14. Electromyographycal analysis of hamstring resistance training exercises - Ebben et alii - SAP-13, 2006
          15. Deep hip muscle activation during a squat exercise - Decker, Krong, Peterson et alii - Steadman-Hawkins Research Foundation, Biomechanics Laboratory
          16. An Electromyographic Analysis of Two Techniques for Squat Lifting and Lowering - Delitto, Rose - Physical therapy VOlume 72 Number 6, 1992
          17. Lower extremity joint kinetics and lumbar curvature during squat and stoop lifting - Seonhong, Youngeun, Youngho - BMC Musculoskeletal Disorders 2009
          18. Effect of Load Distance on Self-Selected Manual Lifting Technique - Burgess-Limerick - International Journal of Industrial Ergonomics
          19. Neuromuscular Coordination of Squat Lifting, II: Individual differences - Scholz, Milford, McMillian - Physical Therapy /Volume 75, Number2 1995
          20. Neuromuscular Coordination of Squat Lifting, I: Effect of Load Magnitude - Scholz, Milford, McMillian - Physical Therapy /Volume 75, Number2 1995
          21. Squat, stoop, or something in between? - Burgess-Limerik - Proceedings of CybErg 1999: The Second International Cyberspace Conference on Ergonomics 1999
          22. Significant roles of synergistic muscle in human redundant and complicated activities - Kouzaky - International Journal of sports and health science, 2005
          23. Spontaneous transitions in repetitive lifting and lowering - Burgess-Limerick - CybErg 1999
          24. Spontaneous transitions in the coordination of a whole body task - Burgess-Limerick - Human Movement Science, 2001
          25. The control of multi-joint movements relies on detalied internal representations - Schenau et alii - Human Movement Science, 1995
          26. Self-selected manual lifting tecnique: functional consequences of the interjoint coordination - Burgess-Limerick et alii - Human Factors, 1995
          27. Mechanical output from individual muscles during explosive leg extension - the role of bi-articular muscles - Jacobs, Bobbert, Schenau, - Journal of Biomechanics 1996
          28. The action of two-joint muscles: the legacy of W.P.Lombard - Kuo - Classics in Movement Science
          29. The unique actions of bi-articular muscles in complex movements - Schenau, Bonnert, Rozendal, J. Anat. 1997
          30. Biomechanics of sports - Vaughan - Clemson University South Carolina 1989
          31. Biomechanics and exercise physiology – Johnson - Wiley-interscience publication 1991
          32. Biomechanics in sports, performance enhancement and injury prevention, Volume IX of the Encyclopaedia of sports Medicine - Zatsiorsky - Blackwell Science Ltd 2000
          33. Biomechanical Basis of human movement - Harmill, Knutzen - Lippincott Williams & Wilkins 2009
          34. Physiology of Sports - Reilly, Secher, Snell - E & FN Spon 1990
          35. Human Body Dynamics: Classical Mechanics and Human Movement - Tozeren - Springer-Verlag New York, 2000
          36. A biomechanical dynamic model for lifting in the sagittal plane - El-Bassousi - Textas Tech University - 1974
          37. Biomechanical stresses during asymmetric lifting, a dynamic three-dimensional approach - Chen - Textas Tech University - 1988
          38. Properties of Body Segments Based on size and Weight - Dempster - AM. J. ANAT 1967

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          • giopal84
            Bodyweb Senior
            • May 2007
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            #6
            grazie paolino!! stupendo articolo!! mi ci rivedo in pieno.. quando alzo pesi ancora nn alla mia portata faccio l'errore che hai descritto tu!! aspetto con ansia il prossimo articolo..

            ah, per trovare gli articoli della bibliografia? grazie ancora

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            • IronPaolo
              Bodyweb Senior
              • Dec 2005
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              #7
              Ho scritto l’inizio di questo articolo almeno 10 volte, perché parlerò di come impostare la discesa nello squat. Ogni volta cancello perché mi tornano in mente quei libri di Kung Fu che leggo in libreria e che dovrebbero spiegare come dare i tripli calci volanti anche al ragioniere che la domenica va a fare il percorso vita al parco.

              Meglio un video? Mah… secondo me i video sono della serie “due koglioni immensi” perché c’è un tizio che chiacchiera per minuti interminabili e poi fa due movimentini: io ho visto i video del Westside Barbell Club, sono un appassionato di Westside e malgrado tutto non facevo altro che cliccare sulla barra per mandare avanti perché il DVD era orchitico.

              Perciò, ragazzi, leggete, studiate, imparate ma poi provate e riprovate osservandovi con la telecamera. Lo so che lo dico ogni volta McRobertianamente ma, come diceva Aristotele , “non ci sono cazzi”, se siete allenatori di voi stessi il processo di apprendimento sarà lento e pieno di errori.

              Premetto che…
              … abbiate già determinato l’assetto corretto, il tacco, la posizione del bilanciere, che non siate ancorati a modelli antidiluviani quali “le punte delle ginocchia non devono oltrepassare quella dei piedi” o “la schiena deve stare dritta”.

              Vorrei anche eliminare alcuni modelli che per me sono didatticamente errati: non esiste uno squat da Powerlifting in cui si usano più le anche, hip dominant, né esiste quello da Weightlifting dove si usano più le ginocchia, knee dominant. Perciò non esiste “tenere le tibie perpendicolari al terreno” o “le punte dei piedi parallele” o “dritte”.

              Il problema è che molte cose possono anche essere corrette, ma si innesca quel meccanismo di catalogazione e semplificazione che poi porta al “si deve”. Ve lo scrivo io un “si deve”: voi dovete imparare ad essere forti sia nel back squat che nel front squat, dovete avere un front squat che sia l’80% del back squat. Mi raccomando, l’80%, non il 90% perché in questo caso mi ci gioco la mia collezione di Dylan Dog che avete un massimale di back scarso (oppure siete dei WLers fortissimi), se invece avete il 70% non voglio sentire lagne della serie Si-Ma-Io™®©, con problemi antropometrici immaginari.

              Se imparate entrambe le versioni, scoprirete cosa hanno in comune movimenti apparentemente differenti, cioè i cardini del movimento comuni a tutti gli squat del pianeta.



              Il disegno (spero che vi piacciano questi disegni perché io sono orgoglioso dei miei omini che non trovate in NESSUN altro posto al mondo, porca ***** è così…) rappresenta i due squat “estremi”: in alto uno squat totalmente di ginocchia, in basso uno squat totalmente di anca.

              Entrambi i casi non sono umanamente sostenibili, non vorrei dover commentare ulteriormente e vi vorrei risparmiare tutti i giochini biomeccanici a dimostrazione di questa affermazione: se vi fidate vi dico che sia le forze in gioco che le escursioni articolari sono eccessive oltre ogni limite.

              Ciò che accade è che la posizione del corpo in uno squat è sempre compresa all’interno di questi movimenti al limite. Cosa, allora, è sempre presente in qualsiasi squat indipendentemente dalla traiettoria?

              Lo dico? Oppure no? Dai, lo dico… Il (fottuto) centro di massa.
              Eh si si si si si, ragazzi… alla fine questo affare ce lo ritroviamo sempre fra le sfere.. proviamo stavolta a dare una spiegazione decente.



              A sinistra il solito scheletro che fa squat, la cui schiena è equivalente all’asta inclinata. Tutta la massa del bilanciere, del torace, spalle, braccia, collo e testa è rappresentata dal peso ACME grande agganciato in alto, tutta quella delle cosce, dell’addome e dei glutei è rappresentata dal peso ACME più piccolo in basso. “Vi torna” questa rappresentazione? E’ abbastanza plausibile pensare di concentrare queste masse in due “blocchi” e che uno, quello con tutto il bilanciere, sia più pesante dell’altro.

              Ora: immaginate che l’asta sia un’altalena, avete in mano un fulcro su cui appoggiarla in modo che i due pesi siano in equilibrio: dove mettete questo fulcro? In A è troppo vicino al peso grosso, l’altalena ruota in senso antiorario, in B è troppo vicino al peso leggero, ruoterà in senso orario. La configurazione C è quella che crea l’equilibrio, esistono delle formule per determinare dove piazzarlo: queste formule sono banali ma necessitano di comprendere tutta la Fisica legata ai momenti meccanici, però per semplicità possiamo dire che il fulcro deve essere piazzato in un punto che dipende dalle masse che sono collegate dalle parti, più una parte è pesante e più il fulcro deve esserle vicino.

              Bene: il punto in cui piazzate il fulcro è il centro di massa del sistema-altalena, un punto rappresentativo di tutta la massa dell’altalena perché per non far precipitare l’altalena occorre tenere fermi i pesi dalle parti, basta tenere fermo il centro di massa con, appunto, un bel fulcro.



              Nel disegno il pallino rappresenta il centro di massa del sistema atleta-bilanciere: per carichi dell’ordine del peso corporeo a salire “su per giù” è lì. La freccia è la proiezione a terra del centro di massa che deve sempre stare sopra l’area sottesa dai piedi o meglio solitamente entro la zona indicata.

              Vi accorgete dello spostamento del centro di massa quando sentite la sensazione di pressione che si sposta dai talloni alle punte.



              Perciò comune a tutti gli squat del pianeta è che il centro di massa del sistema atleta+bilanciere deve rimanere sopra l’area sottesa dai piedi. Se questo non accade… patatrak! O vi sbilanciate in avanti oppure indietro. Questo è l’unico vero vincolo universale, il resto delle posture è dettato dalla vostra conformazione fisica e dalla vostra forza, ma non potete scappare a questa regola.



              Ipotizziamo in prima approssimazione che nella discesa di uno squat il centro di massa non si sposti orizzontalmente ma solo verticalmente. Per quanto detto precedentemente il bacino dell’atleta si sposterà indietro rispetto alla partenza: come descritto nel disegno, se il bacino si sposta indietro per forza di cose l’altro lato dell’altalena deve spostarsi in avanti: l’altalena deve ruotare in senso orario se il centro di massa non deve spostarsi orizzontalmente.



              Ecco pertanto cosa succede quando si inizia il movimento di squat: a sinistra il femore ha ruotato ma non si è spostato in avanti, a destra si è anche spostato in avanti ma in entrambi i casi lo spostamento indietro del bacino ha causato lo spostamento in avanti della testa e la flessione della schiena.

              Lo so che ho scritto un sacco di pagine per dire che nello squat la schiena è flessa, ma è importante comprendere che ciò è inevitabile e non è un “errore” del movimento, la flessione ne è parte integrante.

              Questo è vero anche per un front squat dove il bilanciere è sulle clavicole e il movimento è più “verticale”: il bacino viene sempre mosso indietro, pertanto una certa flessione della schiena è sempre presente anche nell’alzata più “dritta” che esiste nell’immaginario collettivo del palestrato.

              I diabolici femorali



              Mai gruppo muscolare è stato più misterioso: i femorali o hamstrings, composti da bicipite femorale, semimembranoso e semitendinoso sono un gruppo di muscoli fusiforme che si inseriscono prossimalmente sulle tuberosità ischiatiche del bacino e distalmente sulla tibia. Sono degli estensori dell’anca insieme al gluteo medio, piccolo e grande: quando tutti questi muscoli si contraggono l’anca ruota, nel disegno in senso antiorario. Ruotando “tira su” il resto del tronco, pertanto di sicuro i femorali hanno un ruolo decisivo nella risalita da uno squat profondo.

              Il problema di questi muscoli è che non tutti li sanno usare al meglio: nelle attività della quotidianità di sicuro non li stiriamo quasi mai e anche in una corsa tipo sprint, dove vengono usati anche per flettere la tibia, non li usiamo con un carico importante sulla schiena!



              Nel disegno cosa accade nella discesa di uno squat: la schiena deve flettersi in maniera più o meno accentuata, la tuberosità ischiatica pertanto ruota in senso opposto e “tira” i femorali che devono pertanto allungarsi.

              Questa è sicuramente una azione vantaggiosa perché allungare un muscolo in eccentrica lo rende più forte a causa del riflesso da stiramento. I femorali possono così “tenere” correttamente il bacino nella discesa.



              Il problema è l’incapacità di chi esegue a “gestire” l’allungamento: ad un certo punto la tensione è giudicata dal Sistema Nervoso eccessiva e pericolosa, pertanto viene attuato il Piano B: se l’allungamento è pericoloso, accorciamo i femorali! Un modo è quello indicato a destra: la tibia flette sul femore, cioè gli “ruota sotto” e se la tuberosità ischiatica si allontana dai femorali facendoli allungare, la tibia si avvicina e li fa accorciare.

              La flessione della tibia però non è gratis: se la tibia flette, il ginocchio si sposta in avanti con tutto quello che c’è sopra…



              Ecco perciò quello che accade: il soggetto “sente” che non riesce più a scendere perché i femorali “tirano” e allora, involontariamente, si sposta in avanti. E’ chiaro che lo spostamento rende il movimento instabile, infatti al 99,9% il tipo… risalirà.

              Questo comportamento è tipico degli squattisti sopra il parallelo, anzi, ben sopra il parallelo: non sono capaci ad usare i loro femorali e ad un certo punto si spostano in avanti per risalire. I convinti che quello sia il vero squat automatizzano proprio questo movimento che diventa il loro pattern motorio: tensione sui femorali, spostamento e risalita.

              Durante lo spostamento in avanti i femorali si accorciano e un muscolo in accorciamento è meno forte di uno in isometria o in contrazione eccentrica: femorali che perdono forza sotto carico fanno drammaticamente decadere la famosa co-contrazione che tanto protegge il ginocchio “tirando” indietro la tibia.

              Per questo motivo chi squatta in questo modo sente proprio una forte pressione dentro le ginocchia ed associa una ulteriore profondità con maggior dolore: non sapendo usare i propri femorali, imposta il movimento esclusivamente di quadricipiti.



              C’è un altro modo di accorciare i femorali in caso di eccessiva tensione percepita: far ruotare in avanti la tuberosità ischiatica, cioè far compiere al bacino l’esatto movimento contrario.

              Il problema è che non è che siamo al bar a chiacchierare su una sedia ed è facile ruotare il bacino: abbiamo un peso sulle spalle con la schiena flessa in avanti e se il bacino ruota non è che conseguentemente ruota anche il resto del tronco… pertanto a destra nel disegno cosa accade: il bacino ruota indietro “tirato” dai femorali che si contraggono maggiormente, la spina deve perdere la sua curvatura facendo ruotare in avanti le vertebre.




              Et voilà, ecco il risultato finale: l’atleta “sente” proprio che la curvatura ad una certa profondità viene persa, “sente” il movimento instabile e debole.

              Impostiamo la discesa
              Ciò che vogliamo è stabilire, all’interno del vincolo del centro di massa sopra i piedi, quale sia la traiettoria ottimale per uno squat efficace in termini di carico sollevato.

              Oltre a questo vincolo tutti gli squattisti molto forti, da quelli che fanno i front squat perfettamente verticali ai Westsiders che fanno box squat sedendosi indietro, hanno in comune l’assoluto controllo del comparto glutei-femorali: è necessario imparare ad allungare i femorali, a farli contrarre nella posizione di massima accosciata, ad impedire che prendano il controllo del bacino.



              Questo è ciò che vogliamo: schiena estesa alla curvatura fisiologica per massimizzare la stabilità spinale e reggere al meglio il carico, bacino ruotato in modo che le tuberosità ischiatiche mettano in tensione i femorali per poterli rendere più forti, osso sacro in nutazione e “avvitato” alle ali iliache.

              Tenere questa posizione restituisce proprio una sensazione di stabilità e robustezza unica.



              Avete la schiena compatta e siete in posizione di partenza con il bilanciere sulle spalle: gli elementi che entrano in gioco sono il bacino, la spina e il femore. La prima cosa che dovete immaginare è di ruotare, come in figura, il bacino in senso orario tramite la rotazione delle vertebre lombari.

              Il disegno è una esasperazione, ma questa è la sensazione che dovete avere: la schiena si inarca, il bacino ruota, il culo si sposta di conseguenza indietro.

              Attenzione, questa è una differenza fra ciò che potreste aver sentito: la prima cosa che dovete muovere è il bacino indietro, ma questa è una conseguenza del fatto che state facendo il movimento descritto.

              Potete muovere indietro le anche semplicemente flettendo le ginocchia a tibia bloccata, ma il bacino sarebbe “passivo” mentre nel modo descritto è “attivo”.



              A questo punto il bacino “trascina” tutto il resto, la schiena si flette e la testa si abbassa, contemporaneamente il femore deve ruotare dato che è collegato al bacino tramite l’anca. Il femore ruota e basta o ruota e si sposta in avanti?

              Questo mi permette di introdurre un concetto a me caro: non fare confusione fra ciò su cui potete agire e ciò che potete osservare. Rileggete la frase. Fatto? Bene, ve la spiego.

              Se osservate dei powerlifters d’elite molti tengono le tibie perpendicolari al terreno: questo deriva dal fatto che spostano molto indietro il bacino all’inizio del movimento e pertanto il femore ruota ma il ginocchio non si sposta in avanti.

              Osservate un effetto, la tibia perpendicolare, ma la causa è il bacino che va indietro. Il bacino va indietro come vi ho descritto. Adesso confondete l’effetto con la causa: il bacino va indietro perché le tibie sono perpendicolari al terreno. Da questo traete questa regola: le tibie devono essere perpendicolari al terreno.

              Ok, funziona lo stesso, ma peggio e con molta probabilità di fare casino perché sposterete il bacino indietro passivamente e non attivamente e infatti si vedono moltissimi squat apparentemente bene impostati e poi… puff, a 10cm sopra il parallelo la curvatura spinale diventa un miraggio.

              Perciò, spostate indietro il bacino in maniera attiva e flettete le ginocchia spostando le punte in avanti, dove finiscono finiscono. L’importante è che continuiate a tenere sia la curvatura spinale che il bacino ruotato: avete impostato una discesa corretta.



              Nel disegno a sinistra le traiettorie al parallelo o poco sopra che potete osservare considerando il punto di raccordo fra pantaloncini e maglietta, la C, e il centro del bilanciere, la I storta.

              Ciò che accade è che se “tenete” la schiena e il bacino dopo uno spostamento iniziale praticamente orizzontale la flessione delle ginocchia vi porta giù e il vostro “retrotreno” (politically correct per “culo”) inizia a percorrere la C, poi la discesa è quasi verticale. Conseguentemente la schiena si flette e il bilanciere va giù e in avanti.

              Ovviamente, questa è una forma standard e a seconda di come siete fatti la forma sarà più o meno diversa, con molte più oscillazioni e a velocità del tutto variabili.

              All’interno della variabilità individuale delle traiettorie la discesa non presenta molte “cose strane” come vedremo nella risalita, però il grado di flessione della traiettoria del bilanciere fornisce indicazioni interessanti: a destra il bilanciere si sposta orizzontalmente molto più che nel caso di sinistra e questo significa che l’atleta “schiena” più la discesa.

              Sebbene questa possa essere una individualità, il punto è che se tu schieni in discesa farai più fatica in risalita. Punto.

              Se ciò è fatto volontariamente da un atleta con 250Kg (eh eh eh) allora mi sta bene, se me lo fa uno con 100Kg è tutto un altro film: questo significa che lui sta si tenendo di glutei e femorali, ma ad un certo punto i femorali sono così rigidi che per proseguire nella discesa l’atleta “schiena” in avanti nel tentativo di portare giù con il bilanciere anche il bacino. Ma questo non accade e pertanto la schiena è alla curvatura corretta, il bacino è ruotato ma l’amico non scende sotto il parallelo.

              Nel prossimo articolo vedremo come affrontare la buca, ma già da adesso mi preme dirvi per la 3000000 volta che dovete utilizzare un riferimento da sfiorare e una telecamera per riprendervi: impostate correttamente la discesa, tenete di glutei e femorali, “sentite” che vi sostengono ma poi dovete scenderci sotto il parallelo per toccare il riferimento, e dovete farlo mantenendo questa postura. Altrimenti sarete i migliori squattisti sopra il parallelo della Storia, ma farete tutte alzate non valide. Bellissime al 90% ma non valide. Come un “quasi goal” e con un “quasi goal” non si è mai vinto una partita.

              Il problema è che lo squat è uno di quei movimenti di merda (ops) che alcuni fanno bene alla prima, altri devono sbavarci come lama tibetani per ottenere un risultato. Anche per i fortunati della serie “che ci vuole” però tenere questa impostazione è vantaggioso perché magari scendono sotto il parallelo alla grande ma quando risalgono crollano su se stessi perché non sfruttano bene le loro doti.

              Pertanto, lasciate perdere le punte delle ginocchia, le tibie, le classifiche degli squat: ruotate e scendete, e basta.

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