Una mia caratteristica, immenso pregio ma enorme limite, è che quando devo capire un argomento nuovo non mollo fino a che non sono arrivato ad un livello di comprensione che ritengo sufficiente per destreggiarmi: devo arrivare fino in fondo e non riesco a concentrarmi su altro.
Adesso, sono soddisfatto: di sicuro non destreggio pienamente la materia “consumi energetici” ma ho sicuramente la percezione delle mie carenze e dei limiti di certe analisi. Questo è per me sufficiente per poter ampliare ancora ciò che conosco ma principalmente per identificare e magari circoscrivere miei possibili errori.
La prima parte di questo articolo è una enorme sintesi di tutti i precedenti, la seconda molto più stringata contiene le conclusioni vere e proprie: voglio esagerare e fare come nei veri “studi scientifici”, un pezzo più "snello" che non può per forza risultare chiaro a chi è nuovo della materia, ma che fornisce risultati spero spendibili. Chi è interessato può leggersi i pezzi precedenti che spiegano tutto in maniera più dettagliata.
Perciò, non lagnate con “si ma non si capisce” perché se avessi unito tutti i pezzi precedenti avreste detto “si ma è dispersivo” J
Come tutti i palestrati, odio visceralmente “fare aerobica”, pedalare in casa sulla cyclette o fuori in bicicletta. Però… la faccio perché ritengo che l’efficienza cardiovascolare sia importante e che l’aerobica a medio e basso impatto sia il modo migliore per controllare le calorie.
Periodicamente tornano di moda alternative di tipo HIIT, High Intensity Interval Training, allenamenti intermittenti ad alta intensità. Periodicamente, moltissimi ne parlano decantandone le lodi ma pochissimi li praticano: “aerobica” con gli sprint, con i pesi, con aggeggi strani, teorie sui consumi a riposo superiori, magie per ottenere in 20 minuti risultati equivalenti a 3 maratone e 2 Iron Man.
Perciò, mi sono documentato e poi ho sperimentato. Vi dico subito che la conclusione è questa: esistono alternative valide equivalenti all’aerobica a basso impatto ma… non sono una passeggiata, né il tempo da spendere dietro questa roba è “poco” ma, anzi, paragonabile alla demodé corsa e alla vetusta bicicletta.
In altre parole, l’aerobica a basso impatto è senza dubbio il metodo migliore per controllare il dispendio calorico: la scelta di una alternativa è dovuta solamente ad una attitudine psicologica.
Metabolismi energetici… again!
Le nostre azioni sono una risposta agli stimoli dell’ambiente, possibili grazie alla contrazione simultanea di centinaia di muscoli. Perché ciò avvenga è necessaria la presenza di una sostanza chimica chiamata ATP, adenosintrifosfato che può essere a ragione considerato come il carburante muscolare.
L’ATP si scinde in ADP, adenosindifosfato, e in fosfato inorganico: la rottura della stanghettina che tiene la pallina P appiccicata al resto della struttura provoca il rilascio dell’energia necessaria alla contrazione.
Poiché l’ATP libero nei muscoli è in quantitativo sufficiente per fornire energia per contrazioni dell’ordine dei decimi di secondo, devono esistere meccanismi che permettano il reintegro continuo e veloce di questa sostanza: i ben noti metabolismi energetici, cioè l’insieme delle reazioni chimiche necessarie alla produzione di ATP, il mezzo per dare energia al corpo.
Esistono tre modi per fornire energia, descritti nel disegno: senza entrare nel dettaglio delle decine di reazioni chimiche, la differenza sostanziale fra i tre metabolismi è descritta nei grafici successivi:
La retta nel grafico a sinistra indica la velocità di fornitura dell’energia (la potenza erogabile), le barre indicano il quantitativo di energia erogabile:
Sebbene questa descrizione sia “imprecisa” contiene gli elementi che, se assimilati, permettono di comprendere cosa avviene dentro di voi quando fate i pesi.
E’ importante focalizzarsi sul fatto che i tre metabolismi si attivano contemporaneamente e non in sequenza, ciò che cambia è la velocità delle reazioni, perciò i contributi dei tre variano nel tempo: comprendere questo è importante perché se l’azione che svolgete è ad un livello di potenza tale da richiedere il metabolismo anaerobico alattacido, per forza di cose questa azione non potrà che essere limitata nel tempo, dato che anche a regime il metabolismo aerobico non potrà sopperire all’altro che si è esaurito.
La produzione di ATP risulta pertanto possibile tramite il consumo di sostanze denominate substrati energetici: creatinfosfato, glicogeno muscolare ed epatico, glucosio presente nel sangue, acidi grassi.
Il reintegro di queste sostanze avviene durante il recupero a seguito dell’azione che avete intrapreso, sprint o serie di panca che sia: le reazioni metaboliche sono reversibili, portando alla resintesi dei costituenti di partenza.
Ossigeno e cuore
Per far procedere al contrario le reazioni è necessario ossigeno che costituisce perciò l’elemento fondamentale da introdurre dall’esterno: più ciò che stiamo facendo richiede potenza e più elevata sarà la richiesta di ossigeno, necessario alle reazioni aerobiche durante l’esercizio e per il reintegro delle sostanze consumate.
E’ noto a tutti che durante un esercizio intenso la respirazione si incrementa ed esiste infatti un legame di proporzionalità fra ossigeno immesso, detto VO2 e energia consumata. Tutti coloro che non passano le giornate in ibernazione sanno benissimo che il “fiatone” è strettamente legato al cuore che batte forte, infatti l’ossigeno inspirato deve essere trasportato dal sangue dove serve, perciò per aumentare la gittata cardiaca il cuore aumenta la portata di ogni singolo battito ma principalmente aumenta il numero dei battiti.
Un modo estremamente pratico per determinare i consumi energetici è monitorare il proprio cuore.
La correlazione fra battiti al minuto (bpm, beats per minute) e consumi calorici viene determinata con il calcolo di una curva di calibrazione: il nostro omino è piazzato su una cyclette in cui è possibile settare una velocità massima di pedalata, gli appiccicano degli elettrodi per rilevare i battiti e gli piazzano un tubo sulla bocca per misurare il consumo di ossigeno poi un bel calcio e pedalare a varie intensità.
La misurazione avviene al raggiungimento di uno stato stazionario in cui sia il respiro che i battiti sono stabili: in questo modo è possibile determinare, come nel grafico a destra, la curva di calibrazione che, fortunatamente per quello che ci riguarda, è una retta.
E’ importante notare che la linearità della relazione vale oltre i 120bpm circa, sotto gli 80bpm non vi è correlazione fra pulsazioni e consumi di ossigeno, in quanto il comportamento del cuore viene influenzato da 1000 fattori diversi, dal tempo al vostro livello di incazzatura. Per questo motivo è necessario fissare, a priori, una frequenza cardiaca detta FHFLEX sopra la quale vale la relazione e sotto la quale il consumo calorico è assimilato al RMR, Rest Metabolic Rate, il consumo a riposo, superiore al BMR, Basal Metabolic Rate, il consumo metabolico basale, l’energia che spendete quando dormite.
Attenzione! Le curve di calibrazione:
Analogamente, anche tutti i numeri che troverete in questo articolo sono tutti da dimostrare, in quanto ho fatto molte ipotesi e assunzioni per arrivare ad un risultato fruibile.
Queste sono le formule che ho usato, nell’ordine:
Soffermiamoci un attimo sulle unità di misura, argomento pallosissimo ma importante: i consumi energetici sono misurati in Joule, J. La velocità di fornitura dell’energia, la potenza, in Joule al secondo, Joule/sec. Poiché ogni ambiente scientifico ha le sue particolarità, utilizzeremo invece le calorie, KCal e le calorie al minuto, KCal/min.
In un lampo di curiosità compulsiva ho misurato per un giorno intero le mie pulsazioni ad intervalli di 2-10 minuti, il grafico descrive la mia emozionate giornata in cui non mi sono allenato: praticamente… non faccio un *****! Quando sono al PC, come milioni di altri impiegati nel terziario avanzato, il mio cuore va veloce quanto una tartaruga zoppa.
A sinistra una bella torta con le fette ai consumi per fasce di pulsazioni: sono sempre a riposo ah ah ah. A destra, invece, una bella simulazione di una giornata lavorativa di 6 ore ottenuta dai miei dati e da quelli dei boscaioli di uno sperdutissimo posto dell’Africa, la cui simpatica attività è accatastare tronchi pesanti fino a 120Kg e lunghi fino a 10 metri: nel tempo che io consumo 124KCal loro ne bruciano quasi 20 volte di più! Stranamente, in questo posticino non esistono persone obese…
Raffinerie
Una delle maggiori difficoltà nell’apprendimento dei metabolismi energetici è la comprensione del loro comportamento dinamico, del susseguirsi delle varie reazioni. Il modello bioenergetico a tre compartimenti di Margaria-Morton è a mio avviso didatticamente intrigante e vi prego di andare oltre le quattro cose che ho scritto, provando a simulare molte altre situazioni.
Il modello è così strutturato:
Immediatamente il liquido nel serbatoio P scende del livello h, a significare che il metabolismo anaerobico alattacido entra subito in gioco. Poiché la richiesta di potenza è soddisfatta dal metabolismo, c’è tempo a sufficienza per far entrare in funzione il metabolismo aerobico che “inietta” liquido nel serbatoio P stabilizzando il livello del liquido in esso contenuto.
La colonna di altezza h rappresenta il deficit di ossigeno, non reintegrato durante l’esercizio ma che andrà recuperato al termine: l’iniezione di liquido a seguito dell’abbassamento del livello di P vuole rappresentare il ritardo del metabolismo anaerobico e l’aumento del cuore/”fiato” dell’atleta.
Al termine dell’esercizio il tappo T viene chiuso ma vi è un ulteriore afflusso dal serbatoio O per compensare l’altezza h: questo flusso è la rappresentazione dell’EPOC, Extra Post-Exercise Oxygen Consumption, consumo extra di ossigeno a seguito di un esercizio, a riposo un consumo calorico ulteriore.
Se invece di fermarsi il nostro atleta blu avesse insistito, aumentando la velocità e poi trovando una salita, il comportamento dei metabolismi sarebbe stato differente.
Un ulteriore consumo anaerobico alattacido per erogare più potenza (il tappo T viene aperto di più) porta una diminuzione del liquido in P fino al livello dell’iniettore di O: il flusso da O diventa perciò massimo, il VO2Maxdell’atleta. Se non variano le condizioni ambientali, il flusso di liquido da O è tale da garantire un afflusso senza soluzione di continuità attraverso il tappo T. Il VO2Max è perciò il massimo consumo di ossigeno in condizioni stazionarie a cui corrisponde la potenza massima erogabile con continuità.
Una ulteriore richiesta di potenza (il tappo T ancora più aperto) fa scendere il livello del liquido in P sotto il livello di riempimento di L che perciò inizia a far affluire il suo contenuto in P: il metabolismo lattacido entra in gioco ed inizia la produzione di acido lattico come prodotto di scarto. Da O continua a fluire liquido costantemente in quanto la portata non può aumentare ulteriormente.
Al termine dell’attività O permette il veloce reintegro del liquido in P ma anche L partecipa, almeno fino a che i livelli di P e L non si sono pareggiati: esiste perciò, al termine di ogni esercizio in cui viene coinvolto il metabolismo anaerobico lattacido, una produzione ritardata di acido lattico.
Pareggiati i livelli è P che tramite l’afflusso da O reintegra L: il riempimento di L avviene molto più lentamente rispetto a quello di P a causa dello stretto condotto R3. L’esercizio è perciò stato più intenso e il recupero necessita di più tempo.
Motori
Per spiegare come i muscoli erogano potenza, mi sono permesso di “inventare” un modello motorizzato delle fibre muscolari.
In realtà l’ATP che fluisce tramite T nonviene fatto colare a terra, ma alimenta gli iniettori dello strano motore disegnato qua sopra:
La striscia di disegni in basso rappresenta invece una condizione di affaticamento muscolare progressivamente maggiore: la colonna che inietta carburante ha capienza finita, perciò se troppi motori troppo potenti ciucciano ATP, alla fine questo scende sotto il livello tale da alimentare i motori più potenti che, spegnendosi, fanno diminuire la potenza erogata.
In altre parole, dal tappo T sovrastante non perviene un flusso di carburante alla velocità tale da garantire l’alimentazione di tutti i motori necessari al movimento. Nel momento in cui il carburante viene reintegrato, secondo la modalità descritta in precedenza, i motori vengono riaccesi secondo l’ordine inverso con cui si sono spenti, a salire dal meno potente.
Questo modello permette di spiegare perché la potenza muscolare si comporti secondo una tipica curva come riportato nel grafico a sinistra: uno sforzo massimale coinvolge tutti i motori, le fibre, ma dopo un po’ non vi è l’afflusso di ATP sufficiente a tenere accesi i più potenti e la potenza decresce.
Il flusso massimo infatti si avrebbe con un metabolismo anaerobico alattacido costante, cosa fisiologicamente impossibile pertanto i motori lattacidi possono sviluppare potenza per più tempo ma sicuramente non ai livelli di quelli alattacidi, e così quelli aerobici rispetto a quelli anaerobici.
Tutta questa trattazione è necessaria in quanto i pesi sono una attività prettamente anaerobica alattacida e lattacida durante lo svolgimento delle serie e con un forte coinvolgimento aerobico nei recuperi.
A sinistra una serie 1×4 @ 90% 1RM che coinvolge praticamente tutte le fibre muscolari dei gruppi interessati: la serie termina una volta che P si è svuotato dato che appena questo accade i motori più potenti si spengono (cioè le fibre muscolari di tipo IIb non si contraggono più) e non riuscite a generare la forza necessaria per impedire al bilanciere di schiacciarvi.
Una serie di questo tipo è praticamente anaerobica alattacida, mentre nel recupero vi sono forti componenti lattacide e aerobiche.
A destra una serie 1×10 @ 65% 1RM: in ogni ripetizione è necessario erogare meno potenza perciò le fibre di tipo IIb non sono reclutate dal sistema nervoso centrale e gli iniettori dei motori più potenti sono chiusi.
Inizialmente le fibre lattacide sono alimentate dal metabolismo anaerobico alattacido ma il flusso richiesto di ATP è inferiore al caso precedente, permettendo al metabolismo anaerobico lattacido di attivarsi a pieno, fornendo energia a seguito dell’esaurimento di quello alattacido. In pratica è L che mantiene accesi questi motori, anche se O eroga il suo massimo flusso.
La serie può essere prolungata per più ripetizioni rispetto alla precedente grazie al carico inferiore ma il maggior coinvolgimento del metabolismo anaerobico lattacido porta ad una maggior formazione di acido lattico: il recupero di questa serie è perciò più lungo dell’altra.
Sebbene esistano innumerevoli modi per esaurire i vari metabolismi, il disegno rappresenta quello che è un approccio generale. Gli esercizi in palestra costituiscono un allenamento di tipo intermittente composto da serie e recuperi che non sono mai completi a meno di non vivere in palestra.
Nello svolgimento delle varie serie l’energia viene fornita prima alattacidamente poi sempre più lattacidamente, con il contributo del metabolismo aerobico che al massimo può erogare il suo VO2Max.
La difficoltà della quantificazione dei consumi energetici in palestra è data dal fatto che non vi è il raggiungimento di uno stato stazionario dove i parametri sono stabili, ma ogni serie costituisce un transitorio a se stante, sia per la durata dell’ordine dei 30 secondi quando la stazionarietà si raggiunge in 5-10 minuti, sia per i sempre differenti livelli dei substrati energetici.
Questo implica che molte ipotesi di stazionarietà legate ai modelli dei consumi non si possano applicare a questo tipo di attività, pertanto è tutto da dimostrare che i conteggi che troverete siano validi: prendete i numeri solo come un confronto fra allenamenti e non in senso assoluto.
EPOC
Il consumo di ossigeno post allenamento è stato un cavallo di battaglia di tantissimi personal guru trainers d’oltreoceano per tutti gli anni ’90: ci fu un periodo che se mettevi il culo sul sellino della cyclette eri considerato un vero coglione, mentre era absolutely cool sprintare per 10 secondi sul marciapiede e poi rantolare per un minuto sulla panchina dei vecchietti del parco.
A sinistra l’andamento del consumo di ossigeno in un tipico esercizio stazionario: dopo un transitorio inizia la fase a consumo costante, poi un transitorio finale nel recupero dove l’immissione di ossigeno torna ai livelli di riposo.
Il lato superiore del rettangolino lungo e stretto è il consumo di ossigeno a riposo, il RMR e l’area del rettangolino lungo e stretto in cui l’RMR è il lato maggiore rappresenta il consumo calorico a riposo: l’energia che avreste comunque speso anche se non vi foste allenati.
L’area sotto la curva e sopra l’RMR durante il tempo dell’esercizio rappresenta il consumo calorico netto dell’attività, mentre l’area del transitorio finale è proprio l’EPOC.
Gli studi mostrano come l’EPOC sia caratterizzato da due componenti: una componente veloce e una componente lenta. La prima è dovuta al reintegro dei substrati energetici e si esaurisce in circa 3-5 minuti decrescendo molto rapidamente, la seconda dura per tempi decisamente superiori, anche dell’ordine di ore e la sua spiegazione rimane ancora incerta: passaggio dei consumi dai carboidrati ai grassi, aumento della temperatura corporea, resintesi del glicogeno dal lattato.
L’EPOC dipende principalmente dall’intensità dell’esercizio, in maniera non lineare, e dalla sua durata, in maniera lineare: più l’allenamento è intenso e più EPOC sarà presente, a patto che si superi una certa durata in una mutua relazione poco chiara dato che l’EPOC è fortemente individualizzato, come mostrato dalle curve tratteggiate che indicano la variabilità dei risultati in funzione dei soggetti di studio.
Il problema pertanto non è l’esistenza o meno dell’EPOC che è accertato essere sempre presente al termine di ogni attività fisica, quanto del suo valore numerico: stiamo parlando di misurazioni che si protraggono per ore volte a rilevare consumi sempre più piccoli.
Tantissimi studi hanno portato a risultati contrastanti, proprio per l’eterogeneità dei protocolli e del campione di riferimento. Anche la comparazione del metabolismo a riposo costituisce un punto di attenzione: misurazioni con gli atleti a sedere o distesi, in prima o seconda mattinata, per tempi variabili portano ad una diversa determinazione dell’RMR, cioè l’altezza del rettangolino su cui poggia l’EPOC: se l’altezza varia, varia anche l’EPOC.
Ciò che è assodato, comunque, è che l’EPOC ha una influenza minimale sui consumi energetici, dell’ordine di una cinquantina di calorie in più fra un allenamento prossimo alla morte del soggetto e una corsetta a media intensità: bevete un bicchiere in meno di aranciata e buonanotte.
Adesso, sono soddisfatto: di sicuro non destreggio pienamente la materia “consumi energetici” ma ho sicuramente la percezione delle mie carenze e dei limiti di certe analisi. Questo è per me sufficiente per poter ampliare ancora ciò che conosco ma principalmente per identificare e magari circoscrivere miei possibili errori.
La prima parte di questo articolo è una enorme sintesi di tutti i precedenti, la seconda molto più stringata contiene le conclusioni vere e proprie: voglio esagerare e fare come nei veri “studi scientifici”, un pezzo più "snello" che non può per forza risultare chiaro a chi è nuovo della materia, ma che fornisce risultati spero spendibili. Chi è interessato può leggersi i pezzi precedenti che spiegano tutto in maniera più dettagliata.
Perciò, non lagnate con “si ma non si capisce” perché se avessi unito tutti i pezzi precedenti avreste detto “si ma è dispersivo” J
Come tutti i palestrati, odio visceralmente “fare aerobica”, pedalare in casa sulla cyclette o fuori in bicicletta. Però… la faccio perché ritengo che l’efficienza cardiovascolare sia importante e che l’aerobica a medio e basso impatto sia il modo migliore per controllare le calorie.
Periodicamente tornano di moda alternative di tipo HIIT, High Intensity Interval Training, allenamenti intermittenti ad alta intensità. Periodicamente, moltissimi ne parlano decantandone le lodi ma pochissimi li praticano: “aerobica” con gli sprint, con i pesi, con aggeggi strani, teorie sui consumi a riposo superiori, magie per ottenere in 20 minuti risultati equivalenti a 3 maratone e 2 Iron Man.
Perciò, mi sono documentato e poi ho sperimentato. Vi dico subito che la conclusione è questa: esistono alternative valide equivalenti all’aerobica a basso impatto ma… non sono una passeggiata, né il tempo da spendere dietro questa roba è “poco” ma, anzi, paragonabile alla demodé corsa e alla vetusta bicicletta.
In altre parole, l’aerobica a basso impatto è senza dubbio il metodo migliore per controllare il dispendio calorico: la scelta di una alternativa è dovuta solamente ad una attitudine psicologica.
Metabolismi energetici… again!
Le nostre azioni sono una risposta agli stimoli dell’ambiente, possibili grazie alla contrazione simultanea di centinaia di muscoli. Perché ciò avvenga è necessaria la presenza di una sostanza chimica chiamata ATP, adenosintrifosfato che può essere a ragione considerato come il carburante muscolare.
L’ATP si scinde in ADP, adenosindifosfato, e in fosfato inorganico: la rottura della stanghettina che tiene la pallina P appiccicata al resto della struttura provoca il rilascio dell’energia necessaria alla contrazione.
Poiché l’ATP libero nei muscoli è in quantitativo sufficiente per fornire energia per contrazioni dell’ordine dei decimi di secondo, devono esistere meccanismi che permettano il reintegro continuo e veloce di questa sostanza: i ben noti metabolismi energetici, cioè l’insieme delle reazioni chimiche necessarie alla produzione di ATP, il mezzo per dare energia al corpo.
Esistono tre modi per fornire energia, descritti nel disegno: senza entrare nel dettaglio delle decine di reazioni chimiche, la differenza sostanziale fra i tre metabolismi è descritta nei grafici successivi:
La retta nel grafico a sinistra indica la velocità di fornitura dell’energia (la potenza erogabile), le barre indicano il quantitativo di energia erogabile:
- Il metabolismo anaerobico alattacido fornisce tantissima potenza ma poca energia complessiva, perciò il tempo di fornitura non può che essere limitato all’ordine della decina di secondi.
- Il metabolismo anaerobico lattacido fornisce potenza media per un tempo medio dell’ordine del minuto, per poi esaurire l’energia erogabile.
- Il metabolismo aerobico fornisce bassa potenza per un periodo di ore dato che l’energia erogabile è virtualmente “infinita”.
Sebbene questa descrizione sia “imprecisa” contiene gli elementi che, se assimilati, permettono di comprendere cosa avviene dentro di voi quando fate i pesi.
E’ importante focalizzarsi sul fatto che i tre metabolismi si attivano contemporaneamente e non in sequenza, ciò che cambia è la velocità delle reazioni, perciò i contributi dei tre variano nel tempo: comprendere questo è importante perché se l’azione che svolgete è ad un livello di potenza tale da richiedere il metabolismo anaerobico alattacido, per forza di cose questa azione non potrà che essere limitata nel tempo, dato che anche a regime il metabolismo aerobico non potrà sopperire all’altro che si è esaurito.
La produzione di ATP risulta pertanto possibile tramite il consumo di sostanze denominate substrati energetici: creatinfosfato, glicogeno muscolare ed epatico, glucosio presente nel sangue, acidi grassi.
Il reintegro di queste sostanze avviene durante il recupero a seguito dell’azione che avete intrapreso, sprint o serie di panca che sia: le reazioni metaboliche sono reversibili, portando alla resintesi dei costituenti di partenza.
Ossigeno e cuore
Per far procedere al contrario le reazioni è necessario ossigeno che costituisce perciò l’elemento fondamentale da introdurre dall’esterno: più ciò che stiamo facendo richiede potenza e più elevata sarà la richiesta di ossigeno, necessario alle reazioni aerobiche durante l’esercizio e per il reintegro delle sostanze consumate.
E’ noto a tutti che durante un esercizio intenso la respirazione si incrementa ed esiste infatti un legame di proporzionalità fra ossigeno immesso, detto VO2 e energia consumata. Tutti coloro che non passano le giornate in ibernazione sanno benissimo che il “fiatone” è strettamente legato al cuore che batte forte, infatti l’ossigeno inspirato deve essere trasportato dal sangue dove serve, perciò per aumentare la gittata cardiaca il cuore aumenta la portata di ogni singolo battito ma principalmente aumenta il numero dei battiti.
Un modo estremamente pratico per determinare i consumi energetici è monitorare il proprio cuore.
La correlazione fra battiti al minuto (bpm, beats per minute) e consumi calorici viene determinata con il calcolo di una curva di calibrazione: il nostro omino è piazzato su una cyclette in cui è possibile settare una velocità massima di pedalata, gli appiccicano degli elettrodi per rilevare i battiti e gli piazzano un tubo sulla bocca per misurare il consumo di ossigeno poi un bel calcio e pedalare a varie intensità.
La misurazione avviene al raggiungimento di uno stato stazionario in cui sia il respiro che i battiti sono stabili: in questo modo è possibile determinare, come nel grafico a destra, la curva di calibrazione che, fortunatamente per quello che ci riguarda, è una retta.
E’ importante notare che la linearità della relazione vale oltre i 120bpm circa, sotto gli 80bpm non vi è correlazione fra pulsazioni e consumi di ossigeno, in quanto il comportamento del cuore viene influenzato da 1000 fattori diversi, dal tempo al vostro livello di incazzatura. Per questo motivo è necessario fissare, a priori, una frequenza cardiaca detta FHFLEX sopra la quale vale la relazione e sotto la quale il consumo calorico è assimilato al RMR, Rest Metabolic Rate, il consumo a riposo, superiore al BMR, Basal Metabolic Rate, il consumo metabolico basale, l’energia che spendete quando dormite.
Attenzione! Le curve di calibrazione:
- Sono individuali
- Per lo stesso individuo variano in funzione del tipo di esercizio
- Per lo stesso individuo e lo stesso esercizio variano in funzione del vostro stato: transitorio, stazionario, in fase di recupero
Analogamente, anche tutti i numeri che troverete in questo articolo sono tutti da dimostrare, in quanto ho fatto molte ipotesi e assunzioni per arrivare ad un risultato fruibile.
Queste sono le formule che ho usato, nell’ordine:
- La stima della massima frequenza cardiaca
- Il consumo energetico in KJoule/min per i maschi
- Il consumo energetico in KJoule/min per le femmine
- Il metabolismo basale di Harris-Benedict
- Il metabolismo basale di McHardle
Soffermiamoci un attimo sulle unità di misura, argomento pallosissimo ma importante: i consumi energetici sono misurati in Joule, J. La velocità di fornitura dell’energia, la potenza, in Joule al secondo, Joule/sec. Poiché ogni ambiente scientifico ha le sue particolarità, utilizzeremo invece le calorie, KCal e le calorie al minuto, KCal/min.
In un lampo di curiosità compulsiva ho misurato per un giorno intero le mie pulsazioni ad intervalli di 2-10 minuti, il grafico descrive la mia emozionate giornata in cui non mi sono allenato: praticamente… non faccio un *****! Quando sono al PC, come milioni di altri impiegati nel terziario avanzato, il mio cuore va veloce quanto una tartaruga zoppa.
A sinistra una bella torta con le fette ai consumi per fasce di pulsazioni: sono sempre a riposo ah ah ah. A destra, invece, una bella simulazione di una giornata lavorativa di 6 ore ottenuta dai miei dati e da quelli dei boscaioli di uno sperdutissimo posto dell’Africa, la cui simpatica attività è accatastare tronchi pesanti fino a 120Kg e lunghi fino a 10 metri: nel tempo che io consumo 124KCal loro ne bruciano quasi 20 volte di più! Stranamente, in questo posticino non esistono persone obese…
Raffinerie
Una delle maggiori difficoltà nell’apprendimento dei metabolismi energetici è la comprensione del loro comportamento dinamico, del susseguirsi delle varie reazioni. Il modello bioenergetico a tre compartimenti di Margaria-Morton è a mio avviso didatticamente intrigante e vi prego di andare oltre le quattro cose che ho scritto, provando a simulare molte altre situazioni.
Il modello è così strutturato:
- Esistono 3 serbatoi, P relativo al metabolismo anaerobico alattacido, O relativo al metabolismo aerobico (un serbatoio di capienza infinita, nel senso che non si svuota mai) e L relativo al metabolismo lattacido (di capienza finita)
- I soffitti di O e P sono alla stessa altezza, quello di L è al livello del pavimento di O
- O è in comunicazione con P attraverso il condotto R1, L inuscita tramite il condotto R2 e in entrata tramite il condotto R3 che ha diametro più piccolo dell’altro
- In fondo al serbatoio P c’è un tappo T che permette il passaggio o meno del liquido che costituisce la materia prima per la sintesi dell’ATP. In pratica entra in T unamiscela costituita da percentuali diverse dei liquidi contenuti nei serbatoi ed esce da T sempre la stessa sostanza: ATP. T è una raffineria che sintetizza lo stesso prodotto finito a fronte di materie prime differenti.
Immediatamente il liquido nel serbatoio P scende del livello h, a significare che il metabolismo anaerobico alattacido entra subito in gioco. Poiché la richiesta di potenza è soddisfatta dal metabolismo, c’è tempo a sufficienza per far entrare in funzione il metabolismo aerobico che “inietta” liquido nel serbatoio P stabilizzando il livello del liquido in esso contenuto.
La colonna di altezza h rappresenta il deficit di ossigeno, non reintegrato durante l’esercizio ma che andrà recuperato al termine: l’iniezione di liquido a seguito dell’abbassamento del livello di P vuole rappresentare il ritardo del metabolismo anaerobico e l’aumento del cuore/”fiato” dell’atleta.
Al termine dell’esercizio il tappo T viene chiuso ma vi è un ulteriore afflusso dal serbatoio O per compensare l’altezza h: questo flusso è la rappresentazione dell’EPOC, Extra Post-Exercise Oxygen Consumption, consumo extra di ossigeno a seguito di un esercizio, a riposo un consumo calorico ulteriore.
Se invece di fermarsi il nostro atleta blu avesse insistito, aumentando la velocità e poi trovando una salita, il comportamento dei metabolismi sarebbe stato differente.
Un ulteriore consumo anaerobico alattacido per erogare più potenza (il tappo T viene aperto di più) porta una diminuzione del liquido in P fino al livello dell’iniettore di O: il flusso da O diventa perciò massimo, il VO2Maxdell’atleta. Se non variano le condizioni ambientali, il flusso di liquido da O è tale da garantire un afflusso senza soluzione di continuità attraverso il tappo T. Il VO2Max è perciò il massimo consumo di ossigeno in condizioni stazionarie a cui corrisponde la potenza massima erogabile con continuità.
Una ulteriore richiesta di potenza (il tappo T ancora più aperto) fa scendere il livello del liquido in P sotto il livello di riempimento di L che perciò inizia a far affluire il suo contenuto in P: il metabolismo lattacido entra in gioco ed inizia la produzione di acido lattico come prodotto di scarto. Da O continua a fluire liquido costantemente in quanto la portata non può aumentare ulteriormente.
Al termine dell’attività O permette il veloce reintegro del liquido in P ma anche L partecipa, almeno fino a che i livelli di P e L non si sono pareggiati: esiste perciò, al termine di ogni esercizio in cui viene coinvolto il metabolismo anaerobico lattacido, una produzione ritardata di acido lattico.
Pareggiati i livelli è P che tramite l’afflusso da O reintegra L: il riempimento di L avviene molto più lentamente rispetto a quello di P a causa dello stretto condotto R3. L’esercizio è perciò stato più intenso e il recupero necessita di più tempo.
Motori
Per spiegare come i muscoli erogano potenza, mi sono permesso di “inventare” un modello motorizzato delle fibre muscolari.
In realtà l’ATP che fluisce tramite T nonviene fatto colare a terra, ma alimenta gli iniettori dello strano motore disegnato qua sopra:
- Le fibre muscolari si differenziano per la forza e la velocità con cui possono contrarsi, pertanto andando da quelle di tipo I a quelle di tipo IIb aumenta la potenza (che è data dalla forza per la velocità) erogabile.
- I pistoni rappresentano le fibre, più queste sono “potenti” e più pistoni sono presenti. La potenza finale del muscolo è data dalla potenza, coppia in questo caso, generata da tutte le fibre.
- Come tutte le cose belle, c’è un prezzo da pagare: per erogare tanta potenza è necessario fornire tanta energia: gli iniettori sono di dimensione variabile per alimentare correttamente le fibre motorizzate.
La striscia di disegni in basso rappresenta invece una condizione di affaticamento muscolare progressivamente maggiore: la colonna che inietta carburante ha capienza finita, perciò se troppi motori troppo potenti ciucciano ATP, alla fine questo scende sotto il livello tale da alimentare i motori più potenti che, spegnendosi, fanno diminuire la potenza erogata.
In altre parole, dal tappo T sovrastante non perviene un flusso di carburante alla velocità tale da garantire l’alimentazione di tutti i motori necessari al movimento. Nel momento in cui il carburante viene reintegrato, secondo la modalità descritta in precedenza, i motori vengono riaccesi secondo l’ordine inverso con cui si sono spenti, a salire dal meno potente.
Questo modello permette di spiegare perché la potenza muscolare si comporti secondo una tipica curva come riportato nel grafico a sinistra: uno sforzo massimale coinvolge tutti i motori, le fibre, ma dopo un po’ non vi è l’afflusso di ATP sufficiente a tenere accesi i più potenti e la potenza decresce.
Il flusso massimo infatti si avrebbe con un metabolismo anaerobico alattacido costante, cosa fisiologicamente impossibile pertanto i motori lattacidi possono sviluppare potenza per più tempo ma sicuramente non ai livelli di quelli alattacidi, e così quelli aerobici rispetto a quelli anaerobici.
Tutta questa trattazione è necessaria in quanto i pesi sono una attività prettamente anaerobica alattacida e lattacida durante lo svolgimento delle serie e con un forte coinvolgimento aerobico nei recuperi.
A sinistra una serie 1×4 @ 90% 1RM che coinvolge praticamente tutte le fibre muscolari dei gruppi interessati: la serie termina una volta che P si è svuotato dato che appena questo accade i motori più potenti si spengono (cioè le fibre muscolari di tipo IIb non si contraggono più) e non riuscite a generare la forza necessaria per impedire al bilanciere di schiacciarvi.
Una serie di questo tipo è praticamente anaerobica alattacida, mentre nel recupero vi sono forti componenti lattacide e aerobiche.
A destra una serie 1×10 @ 65% 1RM: in ogni ripetizione è necessario erogare meno potenza perciò le fibre di tipo IIb non sono reclutate dal sistema nervoso centrale e gli iniettori dei motori più potenti sono chiusi.
Inizialmente le fibre lattacide sono alimentate dal metabolismo anaerobico alattacido ma il flusso richiesto di ATP è inferiore al caso precedente, permettendo al metabolismo anaerobico lattacido di attivarsi a pieno, fornendo energia a seguito dell’esaurimento di quello alattacido. In pratica è L che mantiene accesi questi motori, anche se O eroga il suo massimo flusso.
La serie può essere prolungata per più ripetizioni rispetto alla precedente grazie al carico inferiore ma il maggior coinvolgimento del metabolismo anaerobico lattacido porta ad una maggior formazione di acido lattico: il recupero di questa serie è perciò più lungo dell’altra.
Sebbene esistano innumerevoli modi per esaurire i vari metabolismi, il disegno rappresenta quello che è un approccio generale. Gli esercizi in palestra costituiscono un allenamento di tipo intermittente composto da serie e recuperi che non sono mai completi a meno di non vivere in palestra.
Nello svolgimento delle varie serie l’energia viene fornita prima alattacidamente poi sempre più lattacidamente, con il contributo del metabolismo aerobico che al massimo può erogare il suo VO2Max.
La difficoltà della quantificazione dei consumi energetici in palestra è data dal fatto che non vi è il raggiungimento di uno stato stazionario dove i parametri sono stabili, ma ogni serie costituisce un transitorio a se stante, sia per la durata dell’ordine dei 30 secondi quando la stazionarietà si raggiunge in 5-10 minuti, sia per i sempre differenti livelli dei substrati energetici.
Questo implica che molte ipotesi di stazionarietà legate ai modelli dei consumi non si possano applicare a questo tipo di attività, pertanto è tutto da dimostrare che i conteggi che troverete siano validi: prendete i numeri solo come un confronto fra allenamenti e non in senso assoluto.
EPOC
Il consumo di ossigeno post allenamento è stato un cavallo di battaglia di tantissimi personal guru trainers d’oltreoceano per tutti gli anni ’90: ci fu un periodo che se mettevi il culo sul sellino della cyclette eri considerato un vero coglione, mentre era absolutely cool sprintare per 10 secondi sul marciapiede e poi rantolare per un minuto sulla panchina dei vecchietti del parco.
A sinistra l’andamento del consumo di ossigeno in un tipico esercizio stazionario: dopo un transitorio inizia la fase a consumo costante, poi un transitorio finale nel recupero dove l’immissione di ossigeno torna ai livelli di riposo.
Il lato superiore del rettangolino lungo e stretto è il consumo di ossigeno a riposo, il RMR e l’area del rettangolino lungo e stretto in cui l’RMR è il lato maggiore rappresenta il consumo calorico a riposo: l’energia che avreste comunque speso anche se non vi foste allenati.
L’area sotto la curva e sopra l’RMR durante il tempo dell’esercizio rappresenta il consumo calorico netto dell’attività, mentre l’area del transitorio finale è proprio l’EPOC.
Gli studi mostrano come l’EPOC sia caratterizzato da due componenti: una componente veloce e una componente lenta. La prima è dovuta al reintegro dei substrati energetici e si esaurisce in circa 3-5 minuti decrescendo molto rapidamente, la seconda dura per tempi decisamente superiori, anche dell’ordine di ore e la sua spiegazione rimane ancora incerta: passaggio dei consumi dai carboidrati ai grassi, aumento della temperatura corporea, resintesi del glicogeno dal lattato.
L’EPOC dipende principalmente dall’intensità dell’esercizio, in maniera non lineare, e dalla sua durata, in maniera lineare: più l’allenamento è intenso e più EPOC sarà presente, a patto che si superi una certa durata in una mutua relazione poco chiara dato che l’EPOC è fortemente individualizzato, come mostrato dalle curve tratteggiate che indicano la variabilità dei risultati in funzione dei soggetti di studio.
Il problema pertanto non è l’esistenza o meno dell’EPOC che è accertato essere sempre presente al termine di ogni attività fisica, quanto del suo valore numerico: stiamo parlando di misurazioni che si protraggono per ore volte a rilevare consumi sempre più piccoli.
Tantissimi studi hanno portato a risultati contrastanti, proprio per l’eterogeneità dei protocolli e del campione di riferimento. Anche la comparazione del metabolismo a riposo costituisce un punto di attenzione: misurazioni con gli atleti a sedere o distesi, in prima o seconda mattinata, per tempi variabili portano ad una diversa determinazione dell’RMR, cioè l’altezza del rettangolino su cui poggia l’EPOC: se l’altezza varia, varia anche l’EPOC.
Ciò che è assodato, comunque, è che l’EPOC ha una influenza minimale sui consumi energetici, dell’ordine di una cinquantina di calorie in più fra un allenamento prossimo alla morte del soggetto e una corsetta a media intensità: bevete un bicchiere in meno di aranciata e buonanotte.
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