DCSS Training - Perché il ginocchio è fatto così?

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  • IronPaolo
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    DCSS Training - Perché il ginocchio è fatto così?

    Nei mesi ho accumulato un sacco di materiale sparso sul funzionamento dell’articolazione del ginocchio, mi sono sempre riproposto di scrivere qualcosa anche per fare un po’ il punto della situazione, ma poi l’impresa si è sempre rivelata estremamente ardua perché il ginocchio è… un bel casino!

    Quelle che leggerete sono considerazioni personali che mi sono utili per capire come non fracassarmi le ossa e le cartilagini quando mi alleno, perciò mi sono concentrato sulla meccanica del ginocchio piuttosto che sulla sua struttura biologica.

    Di sicuro non ho la competenza per un testo minimamente esaustivo, però, in fondo, i concetti che leggerete vanno bene per chi non ha un’atroplastica, i crociati disintegrati, i legamenti strappati, condriti e condromalacie varie. Se siete sani, questa roba vi aiuterà a capire perché siete fortunati e perché dovete trattare con rispetto i due gioiellini (non quelli…) che vi permettono di fare lo squat.

    Il ginocchio – una descrizione minimale

    Tutte le articolazioni del corpo umano hanno in comune le funzionalità di base: tengono vicine delle ossa, permettono alle ossa di compiere delle rotazioni. Poi, ognuna ha la sua incredibile e unica specificità e l’articolazione del ginocchio non fa eccezione.


    Il ginocchio è l’articolazione più grande presente nel corpo umano, la figura mostra gli elementi ossei che lo compongono: femore e tibia sono le due ossa che si articolano fra loro, davanti al femore è presente un altro importantissimo elemento osseo, la rotula o patella

    L’estremità del femore che si articola sulla tibia presenta due condili, il laterale (quello verso l’esterno) e il mediale (quello verso l’interno): questi possono essere assimilati a due “ovali” affiancati, uniti nella parte frontale del ginocchio e ricoperti di cartilagine, il disegno a destra vuole dare una percezione della struttura.

    L’estremità della tibia su cui il femore articola ha una forma complementare a quella dei condili: sono presenti due plateau tibiali, delle “piattaforme” concave dove i condili alloggiano. Al centro è presente una spina tibiale che ha il compito di dare stabilità alla struttura, impedendo gli spostamenti laterali dei condili.

    La fibula o perone è un’osso che si articola sulla tibia e su cui si inseriscono tendini di muscoli necessari al funzionamento del ginocchio, ma la sua funzione primaria è permettere il corretto movimento della caviglia, pertanto non verrà considerata nella trattazione.

    Il ginocchio permette una incredibile varietà di movimenti, e la figura seguente, che vuole rappresentare la tibia in tutte le sue possibili rotazioni, non rende giustizia alla complessità della meccanica.


    Nella presente trattazione gli unici due movimenti considerati sono la flessione del ginocchio (la tibia che ruota “sotto” il femore) e l’estensione del ginocchio (la tibia che ruota da “sotto” il femore fino a “gamba tesa”).

    Le altre rotazioni sono considerate, in maniera riduttiva, come funzionali alla stabilità dell’articolazione stessa. Del resto usiamo le ginocchia principalmente per camminare, correre, saltare, tutti movimenti “in avanti”: poche volte effettuiamo rotazioni del piede o cose del genere, pertanto l’approssimazione è sicuramente valida.

    Flessione ed estensione


    In alto nel disegno una rozza schematizzazione del ginocchio: il femore è rappresentato da una barra, i condili come dei cilindri ovali, la tibia come una piramide tronca rovesciata, i plateau e la spina tibiale come dei parallelepipedi.

    Il movimento della struttura è illustrato in basso (tutta farina del mio sacco eh… l’effetto 3d di PowerPoint…): notate come il femore ruoti sui plateau grazie alla forma circolare dei condili, mentre la stabilità laterale è garantita proprio dalla concavità dei plateau (rappresentati con le due barrette laterali) e dalla presenza della spina tibiale che si alza fra le due concavità.

    Il funzionamento base del ginocchio in flesso-estensione è proprio questo!
    Chi ha un po’ di fantasia provi ad immaginare di flettere questo modello dal vivo: si accorgerebbe che per passare dalla posizione iniziale a quella finale non è necessario solo ruotare il pezzo di sopra rispetto a quello di sotto, ma bisogna anche farlo slittare. Questo comportamento è proprio anche del ginocchio di ciccia!


    E’ incredibile come, surfando la rete come un pazzo, alla fine tutto il materiale sulla meccanica del ginocchio incorpori sempre il solito schema, disegnato da qualcuno nel lontano Paleolitico e poi tramandato fino ai giorni nostri. Ho voluto dare un tocco di innovazione e non l’ho appiccicato con la coccoina elettronica ma me lo sono ridisegnato!



    A sinistra due punti di riferimento: quello inferiore è l’ideale punto di contatto del femore sulla tibia con l’articolazione in completa estensione, quello superiore è il punto di contatto in completa flessione:
    • Se il femore ruotasse semplicemente sulla tibia, come nel disegno immediatamente più a destra del precedente, ad un certo punto si distaccherebbe da questa prima di aver compiuto l’intera traiettoria e questo non sarebbe carino.
    • Se invece scivolasse e basta sulla tibia, il femore andrebbe a sbattere sulla tibia senza che il punto superiore possa comunque toccarla.
    Il movimento del femore sulla tibia è pertanto una roto-traslazione: rotola e slitta sulla tibia! Senza entrare nel merito delle teorie sui centri di rotazione istantanei o fissi, questo è in sintesi come avviene la flesso-estensione della tibia sul femore.

    I condili femorali sono ricoperti da liscia e robusta cartilagine per diminuire quanto più possibile le forze di attiro, mentre sopra i plateau della tibia sono presenti due menischi, delle C di cartilagine che hanno il compito di limitare al minimo gli attriti, di ammortizzare le forze compressive e di dare stabilità all’articolazione.


    I menischi non sono delle semplici zeppe come quelle che si mettono per fermare la porta, ma sono parte attiva del movimento di flesso-estensione della tibia: all’aumentare della flessione della tibia i menischi si spostano in avanti per “seguire” i condili in modo da mantenere inalterata la stabilità dell’articolazione.

    Bene, risolto un problema, ne abbiamo un altro: anche se non è stato spiegato, è chiaro che i muscoli della coscia che si inseriscono sulla tibia, contraendosi sono la causa della sua rotazione intorno al femore. Ma… cosa provoca lo slittamento?


    I “pezzi” del ginocchio sono tenuti insieme da tutta una serie di legamenti, che possono essere schematizzati come dei tiranti che si agganciano alle strutture ossee e le mantengono nell’assetto corretto, un paragone che farebbe rabbrividire un ortopedico ma che per noi è più che sufficiente.

    Due legamenti famosissimi sono il legamento crociato anteriore (Anterior Cruciate Ligament - ACL) e il legamento crociato posteriore (Posterior Cruciate Ligament - PCL). Il disegno mostra il posizionamento di questi due elementi in una articolazione in cui è stata tolta la rotula per una migliore visualizzazione: entrambi si ancorano al centro della tibia, poi si “incrociano” e l’ACL si inserisce nel condilo laterale mentre il PCL in quello mediale.

    Altri due legamenti fondamentali per la stabilizzazione del ginocchio, sono il legamento collaterale mediale (Medial Collateral Ligament – MCL) e il legamento collaterale laterale (Lateral Collateral Ligament - LCL), indicati nel disegno a destra.


    In nostri crociati, rappresentati come barre imbullonate, in azione: quando la tibia si flette intorno al femore e questo ruota sopra la tibia, il crociato anteriore lo “tira” per farlo anche slittare, viceversa quando la tibia si estende intorno al femore, è il crociato posteriore che lo “tira” per farlo slittare: alla rotazione si aggiunge anche la traslazione.

    Perché il ginocchio è fatto così?

    Ok, il ginocchio è una costruzione meccanica ganzissima e toghissima, mi-ci-dia-le, non trovate? Però perché l’Architetto ha costruito un affare così incasinato composto da ossa che non stanno insieme fra loro?

    Nella spalla la carta della stabilità è stata barattata con quella della mobilità: l’omero è bloccato e stabilizzato da un numero enorme di muscoli e legamenti, ma in compenso può ruotare con con angoli incredibilmente estesi. Il ginocchio è incasinato quasi come la spalla, ma non ha di sicuro la stessa mobilità.

    L’articolazione del gomito in fondo è simile a quella del ginocchio, ma per far ruotare l’avambraccio sul braccio non c’è bisogno di tutta questa complessità: il radio ruota bloccato dentro l’omero senza tanto puzzo. Il ginocchio è più complicato per fare alla fine le stesse cose…


    In alto nel disegno un confronto fra il modello a blocchi del ginocchio confrontato con un’articolazione simile a quella del gomito o dell’anca, in basso il confronto fra i due movimenti: il risultato finale è di fatto lo stesso!

    La differenza fra le due strutture è che il ginocchio assorbe meglio le sollecitazioni meccaniche dell’altro aggeggio e funge da shock absorber per tutto il resto del corpo! Aggiungiamo altri elementi a questa pazzesca struttura.

    I crociati come tiranti


    Nel disegno a sinistra una forza esterna che tende a far traslare in avanti la tibia rispetto al femore (la freccia tratteggiata rappresenta la situazione equivalente in cui è il femore a traslare indietro rispetto alla tibia). Il crociato anteriore si oppone con la sua trazione a questo slittamento: essendo messo “di traverso” è la componente parallela alla forza esterna che agisce a compensazione, perciò la trazione a cui è sottoposto il crociato è di intensità superiore a quella della forza esterna stessa.

    Nel disegno a sinistra la situazione opposta: una forza che tende a far traslare indietro la tibia o, in maniera equivalente rappresentata dalla freccia tratteggiata, in avanti il femore. In questo caso è il crociato posteriore che “tira” la tibia in avanti, ma per come è posizionato la tensione a cui è sottoposto è di intensità notevolmente più elevata rispetto a quella del crociato anteriore. Proprio per sopportare queste maggiori sollecitazioni il crociato posteriore ha una sezione trasversa dal 20% al 50% più grande di quella del crociato anteriore.

    La misteriosa rotula

    Sembra incredibile ma fino agli anni ’70, cioè non nel Medio Evo, i ricercatori non avevano ben chiara la funzionalità della rotula, addirittura la ritenevano come qualcosa di anomalo per i problemi che può causare tanto che ritenevano che la sua eliminazione non fosse poi così traumatica in caso di danneggiamento.

    In realtà la rotula gioca un ruolo fondamentale nella meccanica del ginocchio, tanto che nelle artroplastiche sostitutive… la rotula viene lasciata! Evidentemente, a qualcosa serve, no?

    La rotula o patella è un dischetto osseo di forma sesamoide (mi raccomando eh… non un quadrato, un trapezioide, un fregnetto ma un se-sa-mo-i-de), la superficie a contatto con il femore è composta da molte faccette (nel seguito un dettaglio maggiore) rivestite da uno strato di cartilagine spesso fino a 7 mm, lo spessore maggiore presente in tutto il corpo umano, un buon indizio per dedurre le funzioni ammortizzatici dell’aggeggio in questione.


    A sinistra un ginocchio a cui un dottor Frankenstein ha asportato la rotula per vedere cosa succede. In completa estensione la forza di trazione del quadricipite, indicata con F, agisce sulla tibia tramite il braccio di leva df: all’aumentare della flessione il tendine si avvicina al femore e il braccio diminuisce, rendendo la leva sempre più svantaggiosa.

    A destra un ginocchio sano con la sua bella rotula: in completa estensione il braccio di leva è più lungo del caso precedente, ma l’aspetto fondamentale è che all’aumentare della flessione della tibia la rotula si comporta come un “distanziale” che permette di non far decrescere troppo il braccio. In questo modo la leva diventa molto meno svantaggiosa rispetto all’altra considerazione. Senza la rotula il ginocchio funziona decisamente peggio, creando degli squilibri di forza notevoli.


    I disegni mostrano il comportamento della rotula e dei tendini a cui è connessa: in pratica la struttura ha il compito di assorbire come un elastico la forza esterna che “preme”

    La superficie della rotula assorbe la pressione (per questo la presenza di una spessa cartilagine) e i due tendini la trasformano in una tensione, compensando lo slittamento in avanti del femore: notate come le reazioni dei due tendini creino una risultante verso l’interno del ginocchio, chiamata

    forza di reazione patellofemorale.


    Una mia idea per rappresentare meccanicamente il ginocchio visto lateralmente, dove la rotula è una specie di respingente a cui sono agganciate delle molle che rappresentano i tendini: la rotula impedisce al femore di avanzare poiché assorbendo l’impatto mette in tensione le molle e respinge indietro al mittente l’ariete medioevale in arrivo. Chiaramente il giochino funziona anche se è la tibia a spostarsi indietro.


    Se la meccanica del ginocchio fosse differente, simile ad esempio a quella del gomito, l’assorbimento delle forze sarebbe molto più problematico mancando la struttura ammortizzante: il bloccaggio dell’articolazione sarebbe tutto a carico della reazione vincolare del giunto che dovrebbe assorbire tutti gli impatti, con un conseguente stress meccanico ben superiore.



    Il disegno rappresenta un classico esercizio pliometrico: l’omino è su un plinto e salta verso il basso, rimbalzando sul suolo. La pliometria sviluppa le capacità reattive di coordinazione e sincronizzazione muscolari e tante altre belle cose, tipica dell’atletica leggera, ha trovato diffusione ovunque diventando quasi una moda grazie alla spasmodica attenzione all’”esplosività”, tipico atteggiamento dei marzialisti che eseguono qualsiasi movimento in maniera “esplosiva”, nel caso che “per strada” ci sia la necessità di reagire velocemente.

    Piccola parentesina. Due elementi sono universali: la prima è che il plinto è disegnato sempre in quel modo, mai come un parallelepipedo, una sedia, una ***** di cassa, probabilmente se non è disegnata così l’esplosività è minore, la seconda è l’onnipresente discussione su quale arte marziale sia “meglio in strada”, dimenticando il vecchio proverbio cinese “un calcio sfonda più di una carezza, un coltello taglia più di un calcio, una 44 Magnum penetra più di un coltello, il parafango di un TIR maciulla più di una 44 Magnum”. Fine della parentesina.

    Nel momento in cui l’atleta tocca il terreno il suo corpo deve assorbire l’impatto della sua forza peso, generando una forza di reazione tale da spingerlo anche verso l’alto nel salto successivo.


    A sinistra, in pseudo stile mecha, due gambe progettate da un Einstein seguito dal SIM: quale preferireste? A destra il funzionamento sotto carico nel momento dell’impatto con il suolo (ho semplificato le forze in gioco limitandomi solo a quelle di interesse).


    La forza peso preme sull’articolazione del bacino e sulle teste dei femori, in alto, la forza peso viene trasferita a tutte le articolazioni (per il momento non considerate il fatto che l’atleta flette volontariamente un po’ le ginocchia):
    • Nel caso “a molla” il ginocchio slitta in avanti mettendo in trazione le molle grazie alla rotula, pertanto la forza peso viene assorbita dalla struttura.
    • Nel caso “a palla” tutta la struttura è molto più rigida e l’assorbimento è a carico del giunto. Il problema è che così facendo il ginocchio non scorre in avanti perché è la tibia a sostenerlo, perciò la tibia stessa è sottoposta ad una pressione che si ripercuote fino allacaviglia. In più, anche l’articolazione del bacino è bloccata e deve a sua volta assorbire tutta la forza peso.
    Chiaramente la flessione volontaria delle gambe aiuta, ma l’efficienza è comunque inferiore nel caso “a palla”.

    La struttura del ginocchio è perciò atta a assorbire impatti salvaguardando non solo la sua integrità, ma anche quella delle altre articolazioni dell’intera catena cinetica posteriore: è complicato, ma a ragione!

    Problemi…

    Una struttura incasinata come questa è soggetta a problemi dovuti proprio alla sua complicata meccanica. Un elemento estremamente critico è proprio la rotula che, effettivamente, l’Architetto avrebbe potuto progettare un tantino meglio…


    Spieghiamo piano piano questo incasinato disegno: a sinistra in un raccapricciante esperimento hanno piantato due assi cartesiani al centro di un ginocchio completamente esteso (la rotula non è disegnata), poi questo viene fatto flettere, come indicato dalla scala in gradi immediatamente più a destra.

    Le curve rappresentano gli spostamenti delle rotule di tre soggetti diversi e ho anche disegnato una rotulina per dare un’idea del movimento a destra e a sinistra: nella normalità e con una fortissima individualità (cioè variabilità da individuo ad individuo), la rotula si sposta mentre il ginocchio si flessoestende.

    A sinistra quelle specie di granchi rappresentano il contatto fra la rotula e i condili femorali visto dall’alto, a vari gradi di flessione: non solo la rotula non appoggia completamente sui condili, ma appoggia parzialmente e in maniera differente in funzione della flessoestensione!

    Variando in ogni punto del movimento l’area di contatto, varia di conseguenza la pressione fra condili e rotula, cioè lo stress articolare: si capisce benissimo che anche il più piccolo malfunzionamento di questa roba crei notevoli problemi, dato che la cartilagine è sottoposta a pressioni disomogenee e fuori specifica, iniziando a logorarsi.


    Nella figura una rappresentazione frontale della rotula e dei muscoli che agiscono su di essa tramite il tendine del quadricipite. Uno squilibrio di forze fra i muscoli che compongono in quadricipite può creare un disallineamento della rotula nella sua sede di scorrimento con conseguente maggior attrito e aumento delle probabilità di lesionare la rotula.




    A sinistra un ginocchio in cui le forze sono simmetriche: sul plateau tibiale mediale e su quello laterale le intensità sono identiche (la larghezza delle frecce è proporzionale all’intensità). A destra due tipici malfunzionamenti del ginocchio:
    • Nel valgismo (le gambe ad X) vi è un disassamento verso l’interno del ginocchio che crea una disomogeneità nelle forze che agiscono sui plateau tibiali, per cui il menisco laterale subisce una pressione maggiore di quello mediale. Dal lato opposto, il legamento collaterale mediale subisce una tensione maggiore rispetto a quella sul laterale.
    • Nel varismo (le gambe ad O) il disassamento è verso l’esterno, situazione speculare alla precedente: il menisco mediale subisce una pressione maggiore del laterale, il legamento collaterale laterale una tensione maggiore rispetto a quella sul mediale.
    Complessivamente, nella stragrande maggioranza dei casi, le variazioni individuali rientrano sempre in intervalli tali per cui le normali attività quotidiane sono sempre fattibili, però è necessaria una certa dose di fortuna genetica per poter eseguire squat profondi: una rotula più piccola, disallineata, un varismo o un valgismo eccessivo possono esaltare, durante l’attività “atletica”, stress che normalmente sono gestibili dalle vostre ginocchia: legamenti che si infiammano, cartilagini che iniziano ad usurarsi, in un effetto domino che porta ad aumentare ancora di più i problemi.

    Sembra incredibile ma fino a qualche decennio fa (non qualche secolo fa…) la funzione dei menischi non era del tutto chiara, tanto che la loro asportazione non sembrava poi così traumatica: vi ricordate dei primi interventi in artroscopia sui calciatori? “Si è rotto il menisco, gliel’hanno tolto e dopo una settimana giocava di nuovo!” L’artroscopia rese quasi ambulatoriali interventi truculenti con postoperatori da paura: che ci vuole, tanto si forma del tessuto connettivo che è “quasi uguale!”

    Il problema è il “quasi”: è oramai accertato che qualsiasi alterazione degli elementi del ginocchio ha conseguenze, proprio perché viene alterato il suo funzionamento meccanico. L’asportazione di un menisco, se fisiologicamente non crea problemi, ha invece effetti meccanici importanti dato che cambia l’allineamento del femore rispetto alla tibia, legamenti crociati o collaterali che hanno subito delle distorsioni o peggio rotti e non riparati in sede creano instabilità nella struttura.

    Se la ripresa delle normali attività avviene oramai in maniera estremamente rapida dopo una lesione, anche importante ,al ginocchio, è estremamente elevata la percentuale di osteoartriti e artrosi degenerative in atleti che riprendono l’attività agonistica: studiate le vostre ginocchia e abbiatene rispetto, mantenetele sane e reggeranno tonnellate ma appena c’è un problema… potete pagare molti anni dopo il prezzo di una cazzata che sembra risolta (suono onomatopeico sgrat sgrat sgrat)
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    #2
    In questa seconda parte della trattazione del ginocchio (mi raccomando, non fidatevi perché io non sono un dottore o un terapista) cercherò di quantificare numericamente le forze in gioco, in relazione a ciò che ci interessa: lo squat/stacco.

    Questa è sempre la parte più incasinata perché implica scartabellare parecchio per trovare materiale valido: anche a detta dei ricercatori, è sempre difficile confrontare fra loro i risultati di studi e ricerche a causa di metodologie, materiali, soggetti utilizzati.

    E’ proprio per questo che spessissimo si hanno risultati contraddittori: in uno studio i femorali non si attivano molto, in un altro sono 10 volte più attivi. Però nel primo studio sono stati utilizzati soggetti sedentari per eseguire un mezzo squat, nell’altro uno squat fatto alla smith machine.

    Alcuni studi poi descrivono il comportamento del quadricipite, altri trattano di forze sul tendine rotuleo, altri ancora dei femorali o addirittura solo del bicipite femorale: è impossibile correlare i dati relativi alla forza del bicipite femorale di uno studio con quelli della forza del quadricipite di un altro, pena il rischio di dire cazzate assolute.

    Sarebbe bello avere uno studio su dei PL anche conosciuti, di peso circa paragonabile al nostro, che fanno lo squat come facciamo noi e che evidenzia ciò che ci interessa sapere tipo dove mettere le mani sul bilanciere o quanto allargare i piedi. Magari anche con una bella foto di una fettina di culo tagliata fine vicino all’osso…

    Perciò, “come funziona il ginocchio”, e in generale il corpo umano, è relativamente facile poiché è “solo” anatomia da studiare, riuscire a capire “come e quanto funziona il ginocchio nello squat” è ben più complicato.

    Il full squat è sicuro?

    Allora ragazzi, si o no? L’aspetto incredibile di questa vicenda è che il problema della sicurezza dell’esercizio deriva da una incomprensione linguistica, cazzarola!


    A sinistra ho indicato l’angolo di flessoestensione, definito KA, Knee Angle: vale 0° quando il ginocchio è completamente esteso, e arriva fino a 130°-140° nella massima flessione. A sinistra ho riportato alcuni valori del KA che si trovano in letteratura: nelle normali attività quotidiane difficilmente ci mettiamo per molto tempo in posizioni in cui il KA supera i 90°, dai…

    Concentriamoci adesso sull’ultimo omino in basso a destra, quello che fa squat: il KA vale 130°, angolo ritenuto non salutare, unhealty come si legge. Si legge che il full squat o il deep squat sia dannoso per le ginocchia, mentre il parallel squat o l’half squat siano invece salutari, healty.

    Queste informazioni fluiscono senza controllo nelle palestre, dove viene consigliato sempre squat parallelo non pericoloso come invece lo squat sotto il parallelo.


    In alto nel disegno ho riportato le definizioni che io utilizzo e che voi dovete avere ben chiare, in modo da non cadere in fraintendimenti: possiamo anche usare vostre, basta che io le abbia chiare.

    A me interessa lo squat sotto il parallelo valido in una gara di Powerlifting, che giudico essere complesso e sfidante: sempre in letteratura, questa posizione è raggiunta con un KA di 100°-110°. In basso ho indicato alcune delle definizioni per le stesse posizioni che potete trovare negli studi.

    Il problema è che gli studi fanno sempre riferimento alla massima profondità del Weightlifting, mentre in palestra il riferimento è sempre il femore parallelo. Perciò molto spesso ciò che negli studi è definito parallel squat o half squat è proprio lo squat valido in una gara a regolamento IPF! Addirittura, in alcuni viene esplicitamente definito lo squat da powerlifting come parallel, in contrapposizione come quello da weightlifting che è invece il full o deep.

    La comunità scientifica, perciò, definisce sicuro lo squat da Powerlifting per persone sane che lo praticano secondo le classiche norme del buon senso.

    Il full o deep squat non è invece considerato sicuro: anche in questo caso, è necessario comprendere molto attentamente cosa si intende con questa definizione. Il full squat è una esecuzione del movimento in cui i femorali toccano i polpacci, magari con un bel rimbalzo: è l’esecuzione tipica del Weightlifting, ma non ha niente a che vedere con uno squat sotto il parallelo profondo dove non si arriva al contatto appena descritto.


    A sinistra uno squat profondo ma non full secondo la precedente definizione: polpacci e femorali, rappresentati dagli ovali colorati (sigh… non dite nulla, vi prego…) non entrano in contatto.

    A destra un full squat in una classica esecuzione da sollevamenti olimpici. Il contatto consiste proprio in un appoggio delle cosce sul polpaccio, perciò vi è un improvviso spostamento indietro del centro di rotazione del femore: questo non ruota più rispetto alla testa della tibia, ma rispetto alla coscia e conseguentemente viene a generarsi una forza nella direzione della freccia obliqua in figura. In pratica, è come se si creasse una leva con fulcro fra polpaccio e coscia che forza la testa del femore a staccarsi dalla tibia.


    Chiaramente nessuno si è mai disossato per fare questi giochino, proprio perché il ginocchio è stabilizzato dai legamenti che oramai conosciamo, indicati a sinistra con le sigle oramai note (vero?). A destra il comportamento del ginocchio sottoposto allo stress del full squat: i legamenti sono in trazione e si allungano, comportamento analizzato in molti studi sulla loro lassità.

    Lo stress tensorio dello squat eseguito in questo modo si aggiunge a tutti gli altri dell’esecuzione senza contatto, ed è per questo motivo che il full/deep squat non è ritenuto “sicuro”, ma uno squat profondissimo senza contatto fra cosce e polpacci non è caratterizzato da questo tipo di problematica.

    Non voglio innescare polemiche affermando che lo squat da Weightlifting sia dannoso per le ginocchia: a me basta sapere che lo squat che mi interessa è considerato non pericoloso se sono sano, e che posso eseguirlo indefinitamente nel tempo. Punto.

    Forze sul ginocchio nello squat




    Il disegno a sinistra rappresenta la schematizzazione dei muscoli che permettono la flessoestensione del ginocchio (il tendine rotuleo e la rotula sono considerati parte del quadricipite):
    • Il quadricipite (vasto mediale, vasto laterale, retto del femore) estende la tibia
    • I femorali ( bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso) e il gastrocnemio (laterale e mediale) flettono la tibia.
    A sinistra, pertanto, le forze in gioco nello squat:
    • La forza di compressione tibiofemorale è dovuta proprio al carico sulle spalle che si trasmette lungo il femore e deve essere contrastata dalla reazione vincolare della tibia, o, se volete, è dovuta alla reazione vincolare del terreno che si trasmette lungo la tibia e deve essere contrastata dal femore. Il risultato è comunque una compressione fra i plateau della tibia e i condili femorali, ammortizzata dai menischi e dal tessuto connettivo presente
    • La forza di compressione patellofemorale è dovuta alla trazione del tendine del quadricipite che schiaccia la rotula contro il femore
    • La forza di trazione sul crociato posteriore è dovuta alla tibia che tende a traslare indietro rispetto al femore per effetto della forza di taglio posteriore durante il movimento di squat.
    Sebbene gli studi differiscano fra loro nei risultati quantitativi, sono concordi nell’affermare che nello squat non sono presenti forze di taglio anteriori, pertanto il crociato anteriore non è sottoposto a nessuna tensione: questo è il motivo per cui lo squat è ritenuto un esercizio sicuro per la riabilitazione dei pazienti che hanno subito una ricostruzione del crociato anteriore a seguito di una lesione.




    Il grafico descrive quantitativamente l’andamento delle forze agenti sul ginocchio dedotte in uno studio su sollevatori del peso medio di 93Kg e carichi nello squat in singola serie da 12 ripetizioni dell’ordine di 130Kg, pertanto una situazione praticamente identica alla realtà della palestra.

    A sinistra l’andamento delle forze in fase di flessione, a destra in fase di estensione. La scala verticale esprime la forza in Newton, N (in fondo al testo una descrizione di cosa sono).

    Compressione tibiofemorale

    La compressione tibiofemorale aumenta con la flessione della tibia, ed è massima intorno ai 65°-70°. In questo caso i circa 3500N equivalgono a 350Kg, cioè poco meno di 4 volte il peso corporeo medio degli atleti analizzati.

    Questa forza compressiva è fondamentale per la stabilità dell’articolazione in quanto impedisce gli slittamenti avanti ed indietro sulla tibia dei condili femorali, ma non è noto un valore oltre il quale diventa pericolosa per i menischi e le cartilagini.

    Durante l’ascesa la forza è inferiore a quella esibita nella discesa a causa della diversa attività di quadricipite e femorali, maggiore nella prima fase rispetto alla seconda.

    Trazione del crociato posteriore

    Durante lo squat la tibia è sottoposta ad una traslazione che la sposta indietro rispetto al femore. Questa forza è decisamente inferiore come intensità alla precedente e, poiché si stima che il crociato posteriore possa sopportare una tensione dell’ordine dei 4000N, le sollecitazioni misurate sono abbondantemente sotto metà di questo limite: questo è il motivo per cui lo squat è ritenuto sicuro per la salute del crociato posteriore.

    Compressione patellofemorale

    Le forze che agiscono sulla rotula sono tre: la tensione del tendine del quadricipite, la tensione del tendine rotuleo, la compressione della rotula sul femore dovuta alle due precedenti. Dopo i 30° di flessione e fino a circa gli 80° la compressione fra rotula e femore aumenta drasticamente, per poi mantenersi praticamente costante fino ai 100° di flessione.

    Ciò che è importante ai fini della sicurezza del movimento, è avere culo nella genetica (vi piace questo termine scientifico?). La compressione patellofemorale aumenta durante la flessione della tibia in tutti i praticanti lo squat, è impossibile evitarla, ma le individualità della conformazione della rotula giocano un ruolo fondamentale: a parità di forza fra femore e rotula, a seconda della superficie di contatto cambia la pressione fra le cartilagini.

    Non è noto il limite massimo di forza sopportabile dalle cartilagini del femore e della rotula, mentre si ipotizza che il tendine rotuleo possa sopportare fino a 15000N, mentre quello del quadricipite una forza ancora superiore: datevi una bella grattatina perché questi numeri sono stati dedotti dall’analisi delle clip di infortuni di vari sollevatori di peso, gente che si è strappata via i tendini durante gare di PL o di WL…

    Per la storiella “più le ginocchia sono in avanti e più lo squat è dannoso”, il punto è che più le ginocchia sono in avanti e più l’angolo di flessione aumenta, con conseguente incremento di tutte le forze in gioco, in particolare di quella patellofemorale.

    Osservate però il grafico precedente: oltre i 90° le forze patellofemorale e tibiofemorale, pur essendo elevate, diminuiscono. Mandare in avanti le ginocchia pone meno stress rispetto al non farlo. Wow…

    “Ma allora perché io sento più male?”. E’ sempre un problema di interpretazione dei dati: solitamente lo squattista da palestra non è capace a eseguire un buono squat, piazza un caricone e va giù fermandosi anche 10 centimetri dal parallelo, cioè ad un angolo di flessione di 70°-80° dove si becca comunque (guardate il grafico) quasi il massimo delle forze sul ginocchio.

    L’esecutore di uno squat in questo modo sente effettivamente una specie di pressione aumentare dentro le ginocchia e pensa che continuando a scendere questa pressione non potrà che aumentare, quando invece ha oramai raggiunto il massimo.

    Cosa manca?

    Nello squat la tensione sul crociato anteriore è nulla o irrilevante: questo è dovuto sia alla meccanica del movimento che porta la tibia ad essere traslata indietro e non in avanti, sia alla co-contrazione dei femorali che scaricano il crociato anteriore dalla trazione.
    Anche per questo motivo lo squat è ritenuto un esercizio sicuro.

    Ok, per la riabilitazione lo squat è ok, la leg extension no. Anzi, la leg extension fa male.

    Ecco una classica conclusione da palestroide di cro-magnon, specie umana in estinzione che vive in riserva nelle palestre, nelle tane delle tigri, nei garage e nei centri fitness.

    Negli anni il terrorismo psicologico per le forze di taglio sul crociato anteriore è incrementato notevolmente, grazie alla diffusione di Internet. “La leg extension fa male”, “lo squat è sicuro per la riabilitazione dopo una ricostruzione del crociato anteriore”, affermazioni idiote perché semplicistiche quanto approssimare il bacino ad un punto, come fanno gli ingegneri biomeccanici (ah ah ah, non è vero ma non ho resistito).

    L’attenzione al crociato anteriore viene dal fatto che la sua rottura è un infortunio tipico e le tecniche sia di ricostruzione che riabilitative hanno avuto un impulso incredibile nei decenni passati. Lo studio delle forze di taglio e di compressione ha avuto grandi finanziamenti per la necessità di costruire articolazioni artificiali sempre più efficienti per le operazioni di artroplastica sostitutiva (quella dove ti segano via le cartilagini rovinate e le sostituiscono con roba bionica).

    Ok, è vero che lo squat non pone tensione sul crociato anteriore mentre la leg extension si. Il punto è: voi siete sani o avete un crociato anteriore di plastica?

    Ipotizziamo che siete demoliti: vi mettete a fare squat con 150Kg “perché tanto è sicuro”? Oppure invece le prime volte non piazzate 5Kg sulla leg extension tanto per muovere qualcosa? Quale dei due esercizi è più “sicuro”?

    Fareste mai praticare lo squat ad un vecchio a cui hanno sistemato un ginocchio maciullato? O a uno che mai in tutta la sua vita si è accucciato a terra? O ad un obeso?

    Ancora: siete dei terapisti? Se la risposta è no, perché dispensate consigli del ***** non richiesti?

    Oppure, siete sani e/o allenate persone sane. Un crociato sano è del tutto differente da uno ricostruito, come una persona senza febbre e uno con una tonsillite purulenta. Se siete sani, vi state facendo delle seghe mentali: che volete che vi faccia un esercizio idiota come la leg extension? Certo, se ci caricate 200Kg vi farete male, ma perché siete fessi voi.

    Perciò, se siete sani fate lo squat non perché è più sicuro della leg extension, ma perché la leg extension è un esercizio del *****. Poi, se la volete fare, con un minimo di buon senso non vi succederà NULLA.

    Anche in campo medico ancora non c’è chiarezza su quale sia la miglior forma di riabilitazione dopo un intervento di ricostruzione del crociato anteriore: fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 c’è stato un periodo in cui l’uso della leg extension è stato condannato a priori, ma studi successivi hanno mostrato che il problema è più complicato.


    Il grafico è una rappresentazione qualitativa dell’andamento della compressione tibiofemorale in due esercizi classici della riabilitazione del ginocchio dopo un intervento chirurgico: l’oramai famosissima leg extensione e la leg press, che genera forze sul ginocchio del tutto similari a quelle dello squat con il vantaggio di essere però di più semplice esecuzione per chi magari non ha mai messo piede in una palestra prima di maciullarsi.

    Nella leg press la tensione sul crociato anteriore è nulla (come, appunto, nello squat), ma di sicuro non è nulla la tensione patellofemorale: invece di usare la strategia “o” è opportuna quella “e” nel senso che fino a flessoestensioni di circa 50° è opportuno utilizzare la leg press, fra 50° e 90° la leg extension. Due esercizi per minimizzare gli stress compressivi.

    Ancora, altri studi mostrano come dopo moltissimi mesi soggetti che hanno svolto la riabilitazione solo a base di squat mostrino un deficit di forza fra quadricipite dell’arto “malato” e dell’arto sano: la meccanica del movimento di squat è risultata alterata, con un maggior uso dei glutei e dei femorali rispetto al quadricipite nell’arto del crociato ricostruito.

    Il corpo umano è troppo complicato per poterlo riparare con un solo tipo di esercizi!

    Conclusioni

    Lo squat è un esercizio sicuro in tutte le sue varianti se la profondità è quella considerata valida in una gara di powerlifting. Rinforza e non danneggia le ginocchia: non fatevi confondere dalle varie definizioni di squat “sotto il parallelo”!

    Troppa profondità, tale da causare un contatto fra polpacci e femorali, rende l’esercizio differente: non mi interessa entrare nel merito della sua sicurezza poiché mi basta scendere molto meno! Dai grafici è possibile notare che non vi è una differenza sostanziale fra le forze che agiscono sul ginocchio al parallelo, sopra il parallelo o sotto il parallelo: in tutte queste posizioni l’angolo di flessione è dell’ordine degli 80°-100° e i valori di forza sono simili alle varie profondità, perciò non dovete rinunciare alla profondità di discesa ritenendo che una altezza maggiore sia più sicura.

    Se siete sani, non avete niente da temere nello squat, almeno per quanto riguarda il ginocchio: difficilmente i carichi in gioco creeranno degli infortuni acuti se utilizzate una forma esecutiva basata sul buon senso, ma dovete stare attenti agli infortuni cronici.

    Non dovete mai, mai, mai sentire non solo dolore, ma anche una specie di “pressione” interna al ginocchio, una “tensione strana”: questo è sintomo di forze interne troppo elevate. Gli “infortuni” classici dello squat sono infiammazioni del tendine del quadricipite, dei menischi, dei legamenti collaterali perciò non morirete, né non vi amputeranno una gamba.

    Per farsi venire delle osteoartriti, condriti, artrosi e condromalacie varie dovete essere dei soggetti predisposti, cioè con ginocchia “sfortunate”: è più probabile beccarsi un’ernia con lo squat che queste cose qua, perché sono infortuni cronici e avete tutto il tempo per porvi rimedio o per evitarli.

    Perciò, niente di invalidante ma di sicuro non potrete allenarvi: se sentite l’esecuzione del vostro squat non confortevole per le ginocchia, dovete analizzare la vostra tecnica esecutiva per trovare il bug, perché sicuramente c’è. E nel tempo può trasformarsi in una di quelle cose che il vostro medico di famiglia liquida con “stai fermo 2-3 mesi e ti passa”, nulla di mortale ma che può farvi girare i coglioni e farvi spendere parecchio.

    Eliminate il bug, il vostro squat continuerà a migliorare.

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