Sto rileggendo il libro mitico di Zatsiorsky “Science and practice of strength training”. Veramente un bel libro. Di quelli che si capiscono sempre meglio rileggendoli. Ci sono tantissimi punti in cui il nostro amico mi mette in difficoltà. Quello più critico è racchiuso nella spiegazione in questi due grafici.
Per una serie di motivi sia teorici che sperimentali, la forza massima è esprimibile solamente dopo un certo tempo dall’inizio di un “gesto atletico”. C’è un ritardo fra il voler esprimere la massima forza e quando questa si manifesta
Consideriamo infatti il primo grafico: la massima forza FMax si esprime al tempo TMax (dell’ordine dei secondi, non dei giorni eh). Al momento T0 la forza è meno della massima esprimibile.
Ci sono situazioni perciò in cui non è possibile esprimere la massima forza possibile per la velocità del gesto stesso, ad esempio, nel lancio del peso o in un salto da una certa altezza. Semplicemente, non c’è il tempo materiale!
Due parametri permettono di quantificare questo fenomeno:
Il primo è l’Esplosive Strength Deficit (differenza di forza esplosiva) ed è la differenza fra la forza massima e quella del gesto che ci interessa. Chiaramente, più questo parametro è grande, meno riesco a convertire i miei massimali in forza specifica per il movimento “esplosivo” che mi interessa.
Il secondo è il Rate of Force Development (tasso di sviluppo della forza) e misura la velocità con cui genero la forza nel movimento che mi interessa. Più è grande, più forza riesco a generare a parità di tempo.
Ed è qui che il buon Zats mi mette in crisi: lui dice che esercitazioni “dinamiche” migliorano questi due parametri. In pratica, allenandomi per l’esplosività del gesto, la curva della forza massima si sposta come nel secondo diagramma. Si vede infatti che al solito istante T0 la forza è maggiore, perché vale F1 > F0. Chiaramente perché questo accada, il tasso di sviluppo della forza (le linee rosse nei due diagrammi) deve crescere. Ma Zats dice che le esercitazioni dinamiche fanno traslare la curva a sinistra e basta: non c’è nessun miglioramento della forza massimale. Ancora, dedica nel suo libro molte pagine a parlarci dei metodi massimale e submassimale per lo sviluppo della forza, e 5 righe per dare una breve e sommaria descrizione del metodo dinamico.
Ma… chi fa il Powerlifting cura l’esplosività! In particolare quei pallosi del Westside (me compreso) che ci fanno due superpalle con le sedute dinamiche, con il DE (Dynamic Effort) e l’ME (Maximal Effort), con gli elastici…
E un luminare come Zats ci liquida in 2 minuti? O siamo tutti fessi, oppure c’è qualcosa che non va.
Posto questo dubbio amletico sul forum di AOS. Voglio parlare con chi fa il Powerlifting. Sinceramente, anche a costo di sembrare un barbaro palestraro che parla solo se l’interlocutore fa quanto lui di panca, non ho voglia di discutere magari con gente uscita da 5 minuti dall’ISEF e che non “vive” questo sport. Facile sentirsi dire che fare allenamenti dinamici nel Powerlifting non serve a nulla “perché Zatsiorsky…”. Il genere di risposte che non mi piace.
Su AOS mi risponde Ardus dicendomi che anche lui ha questo dubbio. Bene. Mi sento intelligente. Poi molte altre risposte interessanti. Il concetto è che tutti “sentono” che le sedute dinamiche portano dei benefici. Ovviamente, me compreso.
Pongo il problema per lo stacco: c’è solamente la concentrica in questo movimento. Perciò viene eliminato il riflesso miotatico, cioè l’incremento di forza che si ottiene pre-stirando un muscolo. Se consideriamo infatti uno squat, nell’eccentrica il muscolo lavora in stiramento, poi c’è una rapida inversione di movimento. Nello stacco ciò non succede.
Enrico mi fa notare che se si allena con sedute dinamiche, chiude certe alzate massimali, se elimina queste sedute, lo stesso peso si blocca al ginocchio.
Mettiamola così: c’è una evidenza empirica che i lavori dinamici nel powerlifting hanno un senso e portano dei benefici. Ma Zatsiorsky dice che queste sedute non migliorano la forza massimale. Del resto, non c’è un limite di tempo per le alzate, posso fare uno stacco in 2 secondi o in 20 secondi, perciò a logica non c’è bisogno di esplosività…
Questa spiegazione non mi basta.
E in questi casi, mi piace ragionare secondo la logica di un mio amico. Parafraso il suo pensiero: “ma chi (beep) è questo Zatsiorsky? Ci abbiamo mai preso un caffè insieme? No! E allora, ci importa una **** di Zatsiorsky”.
Bene. Ora inizia la parte pallosa. Del resto, capire come funzionano le cose, significa aprire il cofano e guardare come funziona la macchina. E è sicuramente più divertente premere l’acceleratore che guardare le candele e il radiatore. Però, ogni tanto, è necessario.
Il punto è che il corpo umano è un sistema meccanicamente complesso. Tanti segmenti (gli arti), tanti giunti (le articolazioni), tanti muscoli (le forze). Il corpo è, come si dice, iperstatico: ci sono più forze per tenerlo in piedi del necessario. La sua modellazione un minimo credibile è estremamente complessa. Appena usciamo dal classico disegnino del tizio che fa i bicipiti con il manubrio (Dio quante volte l’ho visto…), ci troviamo di fronte a calcoli trigonometrici pazzeschi, a equazioni differenziali, a cose raccapriccianti quali gli angoli di Eulero, le matrici Jacobiane, le Lagrangiane…
Ho saccheggiato nel tempo le dispense di biomeccanica, di bioingegneria, di bioqualcosa. Ho trovato un sacco di materiale. Non c’è niente che in fondo mi soddisfi. Perché quello che noto è che ci si concentra su come risolvere i problemi piuttosto che a porre problemi che hanno un significato nella pratica.
Una volta ho trovato una tesina di non mi ricordo che università dove c’era un modello di movimento alla pressa orizzontale. Paccate di calcoli per dire che nella fase eccentrica c’era un grosso coinvolgimento del sartorio.
Dico… del sartorio. Uno dei muscoli più insignificanti del nostro corpo. E poi, nella pressa orizzontale qualcuno ha mai avuto DOMS al sartorio il giorno dopo? Quello laggiù in fondo alza la mano… ma vedo che ha 3 gambe, perciò non conta.
Nella tesina avevano modellato la pressa come se nell’eccentrica il peso dovesse essere tirato… in pratica, i piedi erano incollati alla pedana e il peso posto sullo stesso piano orizzontale.
Questo accade quando chi ha il compito di risolvere i problemi non ha idea del problema stesso: chi ha le competenze matematiche è un nerd che i pesi li ha visti in fotografia (ah ah ah, scusate, non ce l’ho fatta…) mentre il fissato dei pesi solitamente ha il diploma di 5° elementare preso alla CEPU.
E quando perciò le cose sono difficili, le semplificazioni fatte con l’accetta (o con la mannaia) si sprecano. Vediamo se riesco a mediare le esigenze. Vi invito a leggere anche se capisco che il tutto sia abbastanza indigesto.
Perdonatemi ma c’è un limite al rendere dolci cose che di fatto lo sono poco.
La domanda è: cosa accade quando stacchiamo il bilanciere da terra?
Consideriamo solamente il bilanciere che sale. Nel grafico successivo in alto a sinistra ho riportato una ipotetica curva della velocità del bilanciere: si incrementa e rimane costante per tutto il tempo. Questo l’ho ripreso proprio dal libro di Zats: lui dice che il bilanciere dopo una fase di assestamento, si muove a velocità costante. La curva della velocità descrive questo comportamento.
Affrontiamo ora il problema come una questione di cinematica inversa: noi sappiamo come si muove il bilanciere e vogliamo stabilire le forze che lo muovono in quella maniera. Sappiamo anche che una alzata di stacco si chiude quando il bilanciere è ad una certa altezza S0, in un tempo T0.
La velocità è legata allo spazio percorso dall’equazione integrale riportata sotto il grafico descritto. Maneggiare queste cose è complicato. E perciò introduciamo nel nostro modello una semplificazione che ha una sua ragionevolezza. Il grafico in alto a destra è la semplificazione che abbiamo scelto: una spezzata in cui la velocità cresce linearmente e poi si assesta. La crescita avviene in una frazione del tempo T0, che indichiamo con kT0 come piace ai matematici. Se k=0.2 il fenomeno avviene nel 20% del tempo totale, questo è il senso.
Va da se che il calcolo dello spazio è enormemente semplificato e l’odioso integrale scompare.
Vediamo il grafico a sinistra in basso: se un oggetto si muove a velocità variabile, deve necessariamente essere sottoposto ad una accelerazione (cioè ad una forza netta) che fa variare il suo stato. Se un oggetto si muove a velocità costante, non è soggetto a forze (o meglio, la risultante di tutte le forze a cui è sottoposto è zero)
Per fare un po’ di puzzo, l’accelerazione è la derivata della velocità. E non ci piace usare le derivate. Nella nostra semplificazione, il valore dell’accelerazione è decisamente più semplice.
Mi raccomando: è una semplificazione. L’accelerazione vera è quella a sinistra, però noi “semplifichiamo” e diciamo che il valore di picco a sinistra è pari a quello a destra. Dovete fare un atto di Fede che questa semplificazione non distorce il problema. Del resto, noi vogliamo un risultato “spendibile”, non “preciso”.
Ok, abbiamo ricavato i nostri valori di Vmax e Amax. Riporto di seguito le formule che ci interessano:
Ora scriviamo l’equazione delle forze che agiscono sul bilanciere. Mi raccomando: sul bilanciere. Queste rappresenteranno infatti il carico esterno e non il carico interno cioè le forze che i nostri muscoli devono generare.
Sul bilanciere agisce la forza di gravità data dalla massa M del bilanciere per la costante di accelerazione gravitazionale g e la forza F che noi esercitiamo con le nostre mani. Il risultato è che il bilanciere si muove:
Da cui:
Già questo ci dice una cosa importante quanto banale: se vogliamo che il bilanciere si muova, dobbiamo tirarlo per un valore di forza che è superiore alla forza peso del bilanciere stesso. Infatti rapportiamo la forza F ad un peso equivalente e poi ad una massa equivalente, come nei 3 passaggi sotto riportati.
Teniamoci questa formula per dopo. Ecco perciò la forza da applicare al bilanciere necessaria per sollevare il bilanciere stesso in un tempo T0 e per un’altezza S0
In pratica, succede questo: si inizia a tirare, la velocità del bilanciere cresce, perché questo accada, devo tirare per un peso superiore a quello del bilanciere stesso. A regime, la velocità del bilanciere è costante, pertanto la forza sul bilanciere si abbassa e torna ad essere pari a quella del bilanciere stesso.
Mettiamo un po’ di numeri:
Solleviamo il bilanciere per 80cm in 2 secondi e ci vuole un decimo di questo tempo per arrivare alla velocità finale, cioè 2 decimi di secondo. Dài… ragionevole.
La mia velocità è pari a 42cm al secondo, c’è un picco di forza che corrisponde a tirare un peso di 1.11 volte il peso iniziale. In altre parole, se voglio che la mia tirata mi mandi in alto il bilanciere per 80cm in 2 secondi, devo dare un picco di forza entro i primi 2 decimi di secondo pari all’11% in più del peso del bilanciere.
E adesso, cerchiamo di entrare nello specifico: se io tiro in meno tempo, che succede?
Matematicamente, ciò implica scrivere così:
Considero cioè un tempo T1 che sia una frazione del tempo T0 di partenza, e la frazione la esprimo con un coefficiente fra 0 e 1. Se sostituiamo T1 in tutte le formule, con dei passaggi algebrici semplici, si ottiene:
Le due formulette dicono cose che anche il buon senso ci direbbe: se tiro in meno tempo, devo tirare più veloce. Infatti h è al denominatore, ed è sempre minore di 1, perciò V1max è maggiore di Vmax sempre. Analogamente per l’accelerazione dove però la dipendenza è con un quadrato, perciò si fa sentire in maniera molto più intensa.
Se diminuisco il tempo in cui tiro, ecco quello che succede: devo tirare più velocemente e perciò devo applicare più forza. Molta di più, come nel diagramma.
Voglio ora tirare più velocemente ma meno peso: al diminuire del tempo, di quanto posso diminuire il peso per ottenere un picco di forza costante? O, in altre parole: tirare meno peso in meno tempo è equivalente a tirare più peso in più tempo?
Le formule sopra riportate dicono che: ho due forze generate una da una accelerazione a e una massa M del bilanciere e una da un’accelerazione a1 e una massa M1 del bilanciere. Voglio che siano uguali. Risolvo e trovo M1.
E adesso vediamo una tabellina riepilogativa
Leggiamo la prima riga che è interessante. Considero il mio massimale raw di 250Kg e dico che lo tiro in 2 secondi, con il solito accorgimento che ci metterò per arrivare alla velocità costante un decimo del tempo totale. La colonna Meq mi fa vedere che in questo intervallo di tempo devo tirare per 304Kg. La colonna P è la potenza che sviluppo nell’istante in cui devo esercitare questi 304Kg sul bilanciere. Infatti è:
Sviluppo poco più di un KW in questo istante.
Diciamo che ora tiro in 1.4 secondi, cioè nel 70% del tempo totale (4° riga): dovrei tirare un peso equivalente di 360Kg. Ovviamente, non mi riesce tirare il peso in 1.4 secondi!
Ma mi chiedo: per ottenere un picco di forza paragonabile ai 250Kg tirati in 2 secondi, quanto mi basta mettere? La colonna M1 mi dà la soluzione: mi bastano 211Kg. Questi Kg mi assicurano che io stia tirando un peso equivalente ai miei 250Kg, a patto che li tiri più velocemente. La potenza meccanica applicata al bilanciere, cresce.
Perciò, per tirare 211Kg in 1.4 secondi devo generare sul bilanciere la STESSA forza necessaria a tirarne 250 in 2 secondi. La stessa.
Questo è il punto.
In un DE di stacco mi abituo a tirare velocemente. Tirare velocemente significa generare, con meno peso, una forza equivalente molto più alta. Cioè in un DE stiamo facendo un lavoro con pesi massimali: non guardiamo infatti al valore del peso del ferro, ma a quello che poi dobbiamo tirare con le nostre mani.
Perciò, in un DE si genera una forza massimale. Altrimenti il peso (poco rispetto ad un ME) non sale velocemente, e il lavoro non serve.
Per generare “velocità” devo generare una forza massimale, per quanto in un tempo ristretto, e per generare una forza massimale, il mio corpo attua tutte le strategie tipiche: reclutamento massimo delle fibre, sincronizzazione di queste, aumento della frequenza di scarica dei neuroni e tutto il resto. Un DE mi permette, con meno peso, di allenare queste qualità che mi ritroverò pari pari in una seduta ME.
Più tiro velocemente un peso, più per metterlo in moto e chiudere l’alzata in meno tempo ho bisogno di generare forza massimale. Ovviamente, per meno tempo di quando sono più lento, ma complessivamente devo generare più potenza.
In quest’ottica, Zats che le nostre sensazioni “tornano” a meno di un problema di linguaggio. Il lavoro dinamico di Zatsiorsky NON E’ quello di cui parliamo noi. Lui intende “dinamismo” come generazione istantanea di forza, noi lo intendiamo come “movimento da attuarsi nel minor tempo possibile”. Sono simili, ma non uguali.
Oppure, in maniera più formale, consideriamo nuovamente l’RFD:
Nel suo libro Zatsiorsky intende migliorare il parametro diminuendo il tempo T necessario per produrre la forza F. A noi interessa invece migliorare lo stesso parametro ma aumentando la forza F. Il tempo in cui questa forza si manifesta non è rilevante perché in un DE cerchiamo di diminuire il tempo complessivo dell’alzata. Chiaro, se diminuisce il tempo totale, diminuisce anche il tempo di produzione della forza, ma questa è una conseguenza accessoria.
Anche a noi preme produrre tassi di forza elevati, ma con mezzi differenti: aumentando la forza tirando più velocemente.
Perciò di conseguenza nel powerlifting se l’RFD è importante, un parametro come l’ESD ha molto meno valore. Da ciò si dovrebbe capire che l’introduzione di sedute pliometriche o balistiche non è la vera chiave di miglioramento se non per il fatto che queste esercitazioni migliorano comunque i meccanismi neurali di produzione della forza. Non è però pensabile che siano la base di un allenamento da Powerlifting.
Possiamo dire che un triplista non necessita di uno stacco forte ma di un buon salto sul plinto. Viceversa, un powerlifter ha bisogno di uno stacco dai rialzi forte e non di un buon salto sul plinto.
Ancora, a noi interessa generare molta potenza, piuttosto che essere dinamici. E piuttosto che DE si dovrebbe chiamare PE, Power Effort. Perciò, a noi i lavori dinamici… servono!
A questo punto, si potrebbe esasperare il giochino: perché non ci alleniamo con un peso ridicolo ma tirandolo fortissimo? E qui si deve stare attenti.
Abbiamo infatti considerato la forza da applicare al bilanciere, non quella che generiamo noi…
Datemi fiducia. La forza che, ad esempio, la nostra catena cinetica posteriore deve esercitare è fatta come nel grafico sopra riportato: oltre al “picco” dovuto al tirare velocemente per mettere in moto il bilanciere, via via che il bilanciere si solleva dal suolo, i leveraggi del nostro corpo si assettano in maniera tale che al ginocchio ho il massimo dello sforzo dell’intera alzata (la linea tratteggiata piazzata ipoteticamente a qualche cm sotto il ginocchio).
Questo accade perché al ginocchio si ha la massima distanza fra il bilanciere e il fulcro della leva costituita dalla schiena che si articola sulle anche. Massima distanza, massima forza per equilibrare il tutto. Ho un modello di questo, ma è complicato ed è in brutta. Ma, appunto, fidatevi, l’andamento è simile. Poi l’alzata si chiude con meno forza, anche se rimane un residuo necessario per rimanere eretti.
E’ chiaro che c’è un equilibrio: se metto troppo poco peso e tiro veramente forte, avrò un picco iniziale altissimo, ma al ginocchio devo generare meno forza. E questo è meno allenante di mettere più peso, tirare un po’ più piano, ma avere al ginocchio un valore di forza più elevato da esprimere sulla catena cinetica posteriore.
Nella figura sottostante sono illustrati due tipi di alzate: una “lenta” con più peso rispetto a una “veloce” con meno peso. Il picco iniziale è decisamente più elevato nel caso “veloce”, ma al ginocchio il carico è leggero rispetto al caso “lento”.
Perciò, attenzione con il dinamismo! E’ per questo che il transfer delle alzate olimpiche è basso per persone con poco skill in questa roba: chi fa OLs con un differenziale abissale fra strappo e stacco sottopone il suo corpo a forze massimali nello strappo nel momento in cui tira dal suolo, ma non c’è confronto con la forza che in uno stacco dovrebbe generare al ginocchio.
Infine, due parole sugli elastici: questi oggettini di bassissimo costo costituiscono una delle soluzioni low tech che preferisco per coniugare il “tirare velocemente” con il “pesone”: un elastico che inizia a tirare a 5cm sotto il ginocchio e genera un sovraccarico di 20Kg in chiusura porta ad una alterazione delle due curve sopra riportate, “fondendole” in modo tale da avere una generazione di un picco di forza in partenza e innalzando il picco di forza a partire dal ginocchio fino a fine alzata, come riportato nella curva blu del grafico sotto riportato
Al termine di tutto questo, c’è chi si chiederà se è valsa la pena di fare tutto questo casino.
Sinceramente, mi scoccia sempre sapere che operare in un modo è meglio che in un altro solo perché l’ho provato. Non mi piace “eseguire perché l’ha detto lui”, Zatsiorsky o chi per esso. Io devo capire.
E ora che ho capito, mi sento soddisfatto. Come vedete, mi basta poco per essere contento!
Per una serie di motivi sia teorici che sperimentali, la forza massima è esprimibile solamente dopo un certo tempo dall’inizio di un “gesto atletico”. C’è un ritardo fra il voler esprimere la massima forza e quando questa si manifesta
Consideriamo infatti il primo grafico: la massima forza FMax si esprime al tempo TMax (dell’ordine dei secondi, non dei giorni eh). Al momento T0 la forza è meno della massima esprimibile.
Ci sono situazioni perciò in cui non è possibile esprimere la massima forza possibile per la velocità del gesto stesso, ad esempio, nel lancio del peso o in un salto da una certa altezza. Semplicemente, non c’è il tempo materiale!
Due parametri permettono di quantificare questo fenomeno:
Il primo è l’Esplosive Strength Deficit (differenza di forza esplosiva) ed è la differenza fra la forza massima e quella del gesto che ci interessa. Chiaramente, più questo parametro è grande, meno riesco a convertire i miei massimali in forza specifica per il movimento “esplosivo” che mi interessa.
Il secondo è il Rate of Force Development (tasso di sviluppo della forza) e misura la velocità con cui genero la forza nel movimento che mi interessa. Più è grande, più forza riesco a generare a parità di tempo.
Ed è qui che il buon Zats mi mette in crisi: lui dice che esercitazioni “dinamiche” migliorano questi due parametri. In pratica, allenandomi per l’esplosività del gesto, la curva della forza massima si sposta come nel secondo diagramma. Si vede infatti che al solito istante T0 la forza è maggiore, perché vale F1 > F0. Chiaramente perché questo accada, il tasso di sviluppo della forza (le linee rosse nei due diagrammi) deve crescere. Ma Zats dice che le esercitazioni dinamiche fanno traslare la curva a sinistra e basta: non c’è nessun miglioramento della forza massimale. Ancora, dedica nel suo libro molte pagine a parlarci dei metodi massimale e submassimale per lo sviluppo della forza, e 5 righe per dare una breve e sommaria descrizione del metodo dinamico.
Ma… chi fa il Powerlifting cura l’esplosività! In particolare quei pallosi del Westside (me compreso) che ci fanno due superpalle con le sedute dinamiche, con il DE (Dynamic Effort) e l’ME (Maximal Effort), con gli elastici…
E un luminare come Zats ci liquida in 2 minuti? O siamo tutti fessi, oppure c’è qualcosa che non va.
Posto questo dubbio amletico sul forum di AOS. Voglio parlare con chi fa il Powerlifting. Sinceramente, anche a costo di sembrare un barbaro palestraro che parla solo se l’interlocutore fa quanto lui di panca, non ho voglia di discutere magari con gente uscita da 5 minuti dall’ISEF e che non “vive” questo sport. Facile sentirsi dire che fare allenamenti dinamici nel Powerlifting non serve a nulla “perché Zatsiorsky…”. Il genere di risposte che non mi piace.
Su AOS mi risponde Ardus dicendomi che anche lui ha questo dubbio. Bene. Mi sento intelligente. Poi molte altre risposte interessanti. Il concetto è che tutti “sentono” che le sedute dinamiche portano dei benefici. Ovviamente, me compreso.
Pongo il problema per lo stacco: c’è solamente la concentrica in questo movimento. Perciò viene eliminato il riflesso miotatico, cioè l’incremento di forza che si ottiene pre-stirando un muscolo. Se consideriamo infatti uno squat, nell’eccentrica il muscolo lavora in stiramento, poi c’è una rapida inversione di movimento. Nello stacco ciò non succede.
Enrico mi fa notare che se si allena con sedute dinamiche, chiude certe alzate massimali, se elimina queste sedute, lo stesso peso si blocca al ginocchio.
Mettiamola così: c’è una evidenza empirica che i lavori dinamici nel powerlifting hanno un senso e portano dei benefici. Ma Zatsiorsky dice che queste sedute non migliorano la forza massimale. Del resto, non c’è un limite di tempo per le alzate, posso fare uno stacco in 2 secondi o in 20 secondi, perciò a logica non c’è bisogno di esplosività…
Questa spiegazione non mi basta.
E in questi casi, mi piace ragionare secondo la logica di un mio amico. Parafraso il suo pensiero: “ma chi (beep) è questo Zatsiorsky? Ci abbiamo mai preso un caffè insieme? No! E allora, ci importa una **** di Zatsiorsky”.
Bene. Ora inizia la parte pallosa. Del resto, capire come funzionano le cose, significa aprire il cofano e guardare come funziona la macchina. E è sicuramente più divertente premere l’acceleratore che guardare le candele e il radiatore. Però, ogni tanto, è necessario.
Il punto è che il corpo umano è un sistema meccanicamente complesso. Tanti segmenti (gli arti), tanti giunti (le articolazioni), tanti muscoli (le forze). Il corpo è, come si dice, iperstatico: ci sono più forze per tenerlo in piedi del necessario. La sua modellazione un minimo credibile è estremamente complessa. Appena usciamo dal classico disegnino del tizio che fa i bicipiti con il manubrio (Dio quante volte l’ho visto…), ci troviamo di fronte a calcoli trigonometrici pazzeschi, a equazioni differenziali, a cose raccapriccianti quali gli angoli di Eulero, le matrici Jacobiane, le Lagrangiane…
Ho saccheggiato nel tempo le dispense di biomeccanica, di bioingegneria, di bioqualcosa. Ho trovato un sacco di materiale. Non c’è niente che in fondo mi soddisfi. Perché quello che noto è che ci si concentra su come risolvere i problemi piuttosto che a porre problemi che hanno un significato nella pratica.
Una volta ho trovato una tesina di non mi ricordo che università dove c’era un modello di movimento alla pressa orizzontale. Paccate di calcoli per dire che nella fase eccentrica c’era un grosso coinvolgimento del sartorio.
Dico… del sartorio. Uno dei muscoli più insignificanti del nostro corpo. E poi, nella pressa orizzontale qualcuno ha mai avuto DOMS al sartorio il giorno dopo? Quello laggiù in fondo alza la mano… ma vedo che ha 3 gambe, perciò non conta.
Nella tesina avevano modellato la pressa come se nell’eccentrica il peso dovesse essere tirato… in pratica, i piedi erano incollati alla pedana e il peso posto sullo stesso piano orizzontale.
Questo accade quando chi ha il compito di risolvere i problemi non ha idea del problema stesso: chi ha le competenze matematiche è un nerd che i pesi li ha visti in fotografia (ah ah ah, scusate, non ce l’ho fatta…) mentre il fissato dei pesi solitamente ha il diploma di 5° elementare preso alla CEPU.
E quando perciò le cose sono difficili, le semplificazioni fatte con l’accetta (o con la mannaia) si sprecano. Vediamo se riesco a mediare le esigenze. Vi invito a leggere anche se capisco che il tutto sia abbastanza indigesto.
Perdonatemi ma c’è un limite al rendere dolci cose che di fatto lo sono poco.
La domanda è: cosa accade quando stacchiamo il bilanciere da terra?
Consideriamo solamente il bilanciere che sale. Nel grafico successivo in alto a sinistra ho riportato una ipotetica curva della velocità del bilanciere: si incrementa e rimane costante per tutto il tempo. Questo l’ho ripreso proprio dal libro di Zats: lui dice che il bilanciere dopo una fase di assestamento, si muove a velocità costante. La curva della velocità descrive questo comportamento.
Affrontiamo ora il problema come una questione di cinematica inversa: noi sappiamo come si muove il bilanciere e vogliamo stabilire le forze che lo muovono in quella maniera. Sappiamo anche che una alzata di stacco si chiude quando il bilanciere è ad una certa altezza S0, in un tempo T0.
La velocità è legata allo spazio percorso dall’equazione integrale riportata sotto il grafico descritto. Maneggiare queste cose è complicato. E perciò introduciamo nel nostro modello una semplificazione che ha una sua ragionevolezza. Il grafico in alto a destra è la semplificazione che abbiamo scelto: una spezzata in cui la velocità cresce linearmente e poi si assesta. La crescita avviene in una frazione del tempo T0, che indichiamo con kT0 come piace ai matematici. Se k=0.2 il fenomeno avviene nel 20% del tempo totale, questo è il senso.
Va da se che il calcolo dello spazio è enormemente semplificato e l’odioso integrale scompare.
Vediamo il grafico a sinistra in basso: se un oggetto si muove a velocità variabile, deve necessariamente essere sottoposto ad una accelerazione (cioè ad una forza netta) che fa variare il suo stato. Se un oggetto si muove a velocità costante, non è soggetto a forze (o meglio, la risultante di tutte le forze a cui è sottoposto è zero)
Per fare un po’ di puzzo, l’accelerazione è la derivata della velocità. E non ci piace usare le derivate. Nella nostra semplificazione, il valore dell’accelerazione è decisamente più semplice.
Mi raccomando: è una semplificazione. L’accelerazione vera è quella a sinistra, però noi “semplifichiamo” e diciamo che il valore di picco a sinistra è pari a quello a destra. Dovete fare un atto di Fede che questa semplificazione non distorce il problema. Del resto, noi vogliamo un risultato “spendibile”, non “preciso”.
Ok, abbiamo ricavato i nostri valori di Vmax e Amax. Riporto di seguito le formule che ci interessano:
Ora scriviamo l’equazione delle forze che agiscono sul bilanciere. Mi raccomando: sul bilanciere. Queste rappresenteranno infatti il carico esterno e non il carico interno cioè le forze che i nostri muscoli devono generare.
Sul bilanciere agisce la forza di gravità data dalla massa M del bilanciere per la costante di accelerazione gravitazionale g e la forza F che noi esercitiamo con le nostre mani. Il risultato è che il bilanciere si muove:
Da cui:
Già questo ci dice una cosa importante quanto banale: se vogliamo che il bilanciere si muova, dobbiamo tirarlo per un valore di forza che è superiore alla forza peso del bilanciere stesso. Infatti rapportiamo la forza F ad un peso equivalente e poi ad una massa equivalente, come nei 3 passaggi sotto riportati.
Teniamoci questa formula per dopo. Ecco perciò la forza da applicare al bilanciere necessaria per sollevare il bilanciere stesso in un tempo T0 e per un’altezza S0
In pratica, succede questo: si inizia a tirare, la velocità del bilanciere cresce, perché questo accada, devo tirare per un peso superiore a quello del bilanciere stesso. A regime, la velocità del bilanciere è costante, pertanto la forza sul bilanciere si abbassa e torna ad essere pari a quella del bilanciere stesso.
Mettiamo un po’ di numeri:
Solleviamo il bilanciere per 80cm in 2 secondi e ci vuole un decimo di questo tempo per arrivare alla velocità finale, cioè 2 decimi di secondo. Dài… ragionevole.
La mia velocità è pari a 42cm al secondo, c’è un picco di forza che corrisponde a tirare un peso di 1.11 volte il peso iniziale. In altre parole, se voglio che la mia tirata mi mandi in alto il bilanciere per 80cm in 2 secondi, devo dare un picco di forza entro i primi 2 decimi di secondo pari all’11% in più del peso del bilanciere.
E adesso, cerchiamo di entrare nello specifico: se io tiro in meno tempo, che succede?
Matematicamente, ciò implica scrivere così:
Considero cioè un tempo T1 che sia una frazione del tempo T0 di partenza, e la frazione la esprimo con un coefficiente fra 0 e 1. Se sostituiamo T1 in tutte le formule, con dei passaggi algebrici semplici, si ottiene:
Le due formulette dicono cose che anche il buon senso ci direbbe: se tiro in meno tempo, devo tirare più veloce. Infatti h è al denominatore, ed è sempre minore di 1, perciò V1max è maggiore di Vmax sempre. Analogamente per l’accelerazione dove però la dipendenza è con un quadrato, perciò si fa sentire in maniera molto più intensa.
Se diminuisco il tempo in cui tiro, ecco quello che succede: devo tirare più velocemente e perciò devo applicare più forza. Molta di più, come nel diagramma.
Voglio ora tirare più velocemente ma meno peso: al diminuire del tempo, di quanto posso diminuire il peso per ottenere un picco di forza costante? O, in altre parole: tirare meno peso in meno tempo è equivalente a tirare più peso in più tempo?
Le formule sopra riportate dicono che: ho due forze generate una da una accelerazione a e una massa M del bilanciere e una da un’accelerazione a1 e una massa M1 del bilanciere. Voglio che siano uguali. Risolvo e trovo M1.
E adesso vediamo una tabellina riepilogativa
Leggiamo la prima riga che è interessante. Considero il mio massimale raw di 250Kg e dico che lo tiro in 2 secondi, con il solito accorgimento che ci metterò per arrivare alla velocità costante un decimo del tempo totale. La colonna Meq mi fa vedere che in questo intervallo di tempo devo tirare per 304Kg. La colonna P è la potenza che sviluppo nell’istante in cui devo esercitare questi 304Kg sul bilanciere. Infatti è:
Sviluppo poco più di un KW in questo istante.
Diciamo che ora tiro in 1.4 secondi, cioè nel 70% del tempo totale (4° riga): dovrei tirare un peso equivalente di 360Kg. Ovviamente, non mi riesce tirare il peso in 1.4 secondi!
Ma mi chiedo: per ottenere un picco di forza paragonabile ai 250Kg tirati in 2 secondi, quanto mi basta mettere? La colonna M1 mi dà la soluzione: mi bastano 211Kg. Questi Kg mi assicurano che io stia tirando un peso equivalente ai miei 250Kg, a patto che li tiri più velocemente. La potenza meccanica applicata al bilanciere, cresce.
Perciò, per tirare 211Kg in 1.4 secondi devo generare sul bilanciere la STESSA forza necessaria a tirarne 250 in 2 secondi. La stessa.
Questo è il punto.
In un DE di stacco mi abituo a tirare velocemente. Tirare velocemente significa generare, con meno peso, una forza equivalente molto più alta. Cioè in un DE stiamo facendo un lavoro con pesi massimali: non guardiamo infatti al valore del peso del ferro, ma a quello che poi dobbiamo tirare con le nostre mani.
Perciò, in un DE si genera una forza massimale. Altrimenti il peso (poco rispetto ad un ME) non sale velocemente, e il lavoro non serve.
Per generare “velocità” devo generare una forza massimale, per quanto in un tempo ristretto, e per generare una forza massimale, il mio corpo attua tutte le strategie tipiche: reclutamento massimo delle fibre, sincronizzazione di queste, aumento della frequenza di scarica dei neuroni e tutto il resto. Un DE mi permette, con meno peso, di allenare queste qualità che mi ritroverò pari pari in una seduta ME.
Più tiro velocemente un peso, più per metterlo in moto e chiudere l’alzata in meno tempo ho bisogno di generare forza massimale. Ovviamente, per meno tempo di quando sono più lento, ma complessivamente devo generare più potenza.
In quest’ottica, Zats che le nostre sensazioni “tornano” a meno di un problema di linguaggio. Il lavoro dinamico di Zatsiorsky NON E’ quello di cui parliamo noi. Lui intende “dinamismo” come generazione istantanea di forza, noi lo intendiamo come “movimento da attuarsi nel minor tempo possibile”. Sono simili, ma non uguali.
Oppure, in maniera più formale, consideriamo nuovamente l’RFD:
Nel suo libro Zatsiorsky intende migliorare il parametro diminuendo il tempo T necessario per produrre la forza F. A noi interessa invece migliorare lo stesso parametro ma aumentando la forza F. Il tempo in cui questa forza si manifesta non è rilevante perché in un DE cerchiamo di diminuire il tempo complessivo dell’alzata. Chiaro, se diminuisce il tempo totale, diminuisce anche il tempo di produzione della forza, ma questa è una conseguenza accessoria.
Anche a noi preme produrre tassi di forza elevati, ma con mezzi differenti: aumentando la forza tirando più velocemente.
Perciò di conseguenza nel powerlifting se l’RFD è importante, un parametro come l’ESD ha molto meno valore. Da ciò si dovrebbe capire che l’introduzione di sedute pliometriche o balistiche non è la vera chiave di miglioramento se non per il fatto che queste esercitazioni migliorano comunque i meccanismi neurali di produzione della forza. Non è però pensabile che siano la base di un allenamento da Powerlifting.
Possiamo dire che un triplista non necessita di uno stacco forte ma di un buon salto sul plinto. Viceversa, un powerlifter ha bisogno di uno stacco dai rialzi forte e non di un buon salto sul plinto.
Ancora, a noi interessa generare molta potenza, piuttosto che essere dinamici. E piuttosto che DE si dovrebbe chiamare PE, Power Effort. Perciò, a noi i lavori dinamici… servono!
A questo punto, si potrebbe esasperare il giochino: perché non ci alleniamo con un peso ridicolo ma tirandolo fortissimo? E qui si deve stare attenti.
Abbiamo infatti considerato la forza da applicare al bilanciere, non quella che generiamo noi…
Datemi fiducia. La forza che, ad esempio, la nostra catena cinetica posteriore deve esercitare è fatta come nel grafico sopra riportato: oltre al “picco” dovuto al tirare velocemente per mettere in moto il bilanciere, via via che il bilanciere si solleva dal suolo, i leveraggi del nostro corpo si assettano in maniera tale che al ginocchio ho il massimo dello sforzo dell’intera alzata (la linea tratteggiata piazzata ipoteticamente a qualche cm sotto il ginocchio).
Questo accade perché al ginocchio si ha la massima distanza fra il bilanciere e il fulcro della leva costituita dalla schiena che si articola sulle anche. Massima distanza, massima forza per equilibrare il tutto. Ho un modello di questo, ma è complicato ed è in brutta. Ma, appunto, fidatevi, l’andamento è simile. Poi l’alzata si chiude con meno forza, anche se rimane un residuo necessario per rimanere eretti.
E’ chiaro che c’è un equilibrio: se metto troppo poco peso e tiro veramente forte, avrò un picco iniziale altissimo, ma al ginocchio devo generare meno forza. E questo è meno allenante di mettere più peso, tirare un po’ più piano, ma avere al ginocchio un valore di forza più elevato da esprimere sulla catena cinetica posteriore.
Nella figura sottostante sono illustrati due tipi di alzate: una “lenta” con più peso rispetto a una “veloce” con meno peso. Il picco iniziale è decisamente più elevato nel caso “veloce”, ma al ginocchio il carico è leggero rispetto al caso “lento”.
Perciò, attenzione con il dinamismo! E’ per questo che il transfer delle alzate olimpiche è basso per persone con poco skill in questa roba: chi fa OLs con un differenziale abissale fra strappo e stacco sottopone il suo corpo a forze massimali nello strappo nel momento in cui tira dal suolo, ma non c’è confronto con la forza che in uno stacco dovrebbe generare al ginocchio.
Infine, due parole sugli elastici: questi oggettini di bassissimo costo costituiscono una delle soluzioni low tech che preferisco per coniugare il “tirare velocemente” con il “pesone”: un elastico che inizia a tirare a 5cm sotto il ginocchio e genera un sovraccarico di 20Kg in chiusura porta ad una alterazione delle due curve sopra riportate, “fondendole” in modo tale da avere una generazione di un picco di forza in partenza e innalzando il picco di forza a partire dal ginocchio fino a fine alzata, come riportato nella curva blu del grafico sotto riportato
Al termine di tutto questo, c’è chi si chiederà se è valsa la pena di fare tutto questo casino.
Sinceramente, mi scoccia sempre sapere che operare in un modo è meglio che in un altro solo perché l’ho provato. Non mi piace “eseguire perché l’ha detto lui”, Zatsiorsky o chi per esso. Io devo capire.
E ora che ho capito, mi sento soddisfatto. Come vedete, mi basta poco per essere contento!
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