Capire l’origine dei guai economici del pianeta

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  • sotiris
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    Capire l’origine dei guai economici del pianeta

    Stamattina alla radio un giornalista accennava al capitalismo di tipo renano. Rispondeva ad un ascoltatore che più o meno chiedeva: se comunismo e capitalismo hanno fallito, quale è l’alternativa per le economie e le società attuali? Non esiste una qualche di via di mezzo?

    Questa via di mezzo, a detta del giornalista, potrebbe essere il capitalismo renano.

    Mi ha incuriosito e ho cercato qualcosa nel web dove ho trovato un papiro che pur essendo troppo riassuntivo, ha il vantaggio di farsi capire a chi come me è tutt'altro che un esperto.



    Ecco alcuni estratti della parte introduttiva e della descrizione del capitalismo manageriale.
    Se il post non verrà colpito e affondato seguiranno descrizione del capitalismo renano e di quello britannico/italiano.
    Vai col tango :

    FORME DI CAPITALISMO

    In base alla modalità di gestione, ai processi riallocativi tra proprietà e controllo, alle scelte di collocazione nelle aree geografiche, molti studiosi sono giunti ad individuare 3 forme principali di capitalismo:

    - capitalismo manageriale (di tipo anglossassone)

    - capitalismo personale-individualistico, a conduzione familiare (di tipo britannico ed italiano)

    - capitalismo renano-nipponico (di tipo tedesco e giapponese)

    1. Capitalismo manageriale

    Con questa forma, più caratterizzata da una forte competizione aziendale ed individuale, ci si riferisce al capitalismo degli Stati Uniti che, sviluppatosi attraverso la nascita della grande impresa, si caratterizza per la presenza di un efficiente apparato manageriale, dotato di imponenti mezzi finanziari che vedono la prevalenza di un mercato borsistico dominato da un elevato azionariato imprenditoriale.

    In questo sistema vi è stata l’ascesa e l’affermazione delle figure manageriali sugli stessi proprietari d’impresa, determinata dalla naturale tendenza evolutiva del capitalismo nazionale dominato in misura sempre più ampia delle grandi compagnies e poi dalla diffusione dell’azionariato. Infatti, l’introduzione di nuove e costose tecnologie ed i regimi di concorrenza sempre più spietati avevano prodotto processi aggregativi e selettivi che consentivano la sopravvivenza ed il successo solo a organismi in grado di affrontare le economie di scala. Poi, il capitale suddiviso in una miriade di piccoli azionisti ha reso impossibile stabilire delle linee di comportamento da parte dei Consigli di Amministrazione facendo emergere la figura del manager e garantendo, almeno in teoria, la separazione dell’interesse del privato dall’interesse dell’azienda.


    Gli obiettivi del top management tendono alla realizzazione di profitti immediati per meglio soddisfare le esigenze di redditività degli azionisti, i quali sono chiamati a fine esercizio a valutare l’operato del manager, confermandolo o meno alla guida dell’azienda. La conseguenza di tale impostazione è che gli esigui investimenti destinati allo sviluppo futuro e all’espansione, caratterizzano queste imprese per un certo grado di immobilità e rigidità.


    Infatti, le Public Companies per minimizzare i rischi tendono a detenere i pacchetti azionari per poco tempo. Il carattere prevalentemente speculativo dell’investimento volto ad ottenere risultati nel breve periodo fa sì che gli investimenti che non producono rendimenti immediati siano comunque poco apprezzati. E’ proprio su ciò che si basano i processi della cosiddetta fase di globalizzazione, meglio detta competizione globale. In questa logica il capitale viene spostato dove rende di più: profitto ad ogni costo e condizione. Si viene così a creare una realtà in cui sempre più alta è la divaricazione e lo sdoppiamento tra economia reale e finanza, anzi una realtà nella quale la finanza premia gli andamenti negativi dell’economia reali (quali ad esempio la flessibilità dei salari e la riduzione dell’occupazione).





    Last edited by sotiris; 23-12-2011, 17:52:21.
    sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.
  • Leonida
    Filosofo del *****
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    #2
    britannico e ​italiano? sono curioso.
    Originariamente Scritto da gorgone
    è plotino la chiave universale per le vagine
    Originariamente Scritto da gorgone
    secondo me sono pazzi.

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    • sotiris
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      #3
      Arriva:

      2. Capitalismo personale-individualistico o familiare (di tipo britannico ed italiano)
      Tale modello, riferito soprattutto al capitalismo britannico, pur essendo per molti versi simile a quello americano, è di natura personale-familiare. La natura familiaristica e non manageriale della proprietà ha portato in Inghilterra allo sviluppo di un sistema economico e sociale chiuso, che mira soprattutto alla conservazione dei privilegi acquisiti; questa situazione non ha permesso la nascita di un efficiente e competitivo sistema manageriale in grado di consentire uno sviluppo adeguato dell’economia britannica.


      Simile il sistema italiano (detto di tipo padronale)

      La struttura dell’industria italiana è composta da un numero di grandi imprese troppo piccolo rispetto alla reale dimensione della nostra economia e da un pluralità di piccole e medie imprese con una dimensione mediamente inferiore a quello dello stesso tipo di imprese di altri sistemi industriali. Ma al di là dell’aspetto dimensione, il maggior elemento di debolezza strutturale del sistema industriale italiano è rappresentato dalla natura degli assetti proprietari e dalla loro difficile adattabilità alle esigenze che oggi il sistema industriale manifesta ai fini del suo rilancio.

      In Italia, in realtà la situazione che si è venuta a creare è di sempre maggiore concentrazione gerarchica nella gestione e nella proprietà delle imprese. Ma con l’avvicendarsi delle generazioni, le grandi famiglie vedono crescere il numero dei propri membri interessati a vario titolo alla conduzione dell’azienda, rendendo più difficile una sintesi di interessi, in assenza di deleghe ad un management autorevole.

      Anche nel mondo delle piccole e medie imprese si è giunti al punto di svolta dal punto di vista degli assetti proprietari, ma anche per l’organizzazione e la divisione del lavoro tra le imprese. In tali imprese soggetto economico e giuridico spesso coincidono. Ciò non sarebbe un vincolo in sé, ma può diventarlo nel momento in cui, di fronte al passaggio generazionale, il controllo familiare non trova più continuità e quindi anche la proprietà viene messa in discussione.
      Inoltre, il management deve tener conto delle risorse finanziarie già immediatamente disponibili prima di effettuare gli investimenti, a meno di ricorrere a forti indebitamenti. Vi sono anche limiti economici, perché si verifica un alto costo del capitale dovuto alle esigue possibilità degli azionisti di diversificare il proprio portafoglio di investimenti. Gli obiettivi di redditività di breve periodo hanno portato a scarsi investimento nello sviluppo tecnologico e quindi ad una limitata competitività delle imprese italiane nei confronti delle aziende europee.

      Infine, al di là dei vincoli e degli elementi strutturali, la crescita del sistema industriale italiano è seriamente minacciata dalla scarsa diffusione dei fattori indispensabili allo sviluppo equilibrato con connotati di compatibilità socio-ambientale. Il primo ed il più importante è l’assenza delle stesse regole di concorrenza sul mercato, ancor oggi falsate da legami di malaffare con strutture istituzionale e con il sistema politico-partitico, meglio conosciuto come “sistema tangentopoli”.

      Inoltre, la mancanza di concorrenza sul mercato non incentiva le imprese a ricercare innovazione e qualità nei prodotti e nei servizi erogati. Questi ed altri problemi che minacciano la competitività italiana non si è voluto mai risolverli attraverso un’azione di governo dell’industria.

      In sintesi, per poter acquistare maggiore competitività l’industria italiana avrebbe bisogno: di un più elevato livello di efficienza nei mercati dei fattori produttivi e dei servizi ed anche di uno sviluppo e di un regolamento-controllo statale del mercato dei diritti di proprietà, fissando, nel contempo, nuove regole redistributive del valore, ma soprattutto della ricchezza, del nuovo patrimonio d’impresa.

      ---------- Post added at 18:16:39 ---------- Previous post was at 17:29:00 ----------

      Ed eccoci alla panacea (dicono) di tutti i mali:

      3. Capitalismo renano-nipponico
      La Germania, ed in modo simile il Giappone, la caratterizzato il proprio sviluppo capitalistico su dei caratteri comunitari, nei quali l’impresa è costituita da diversi soggetti economici che lavorano ognuno secondi i propri ruoli per il conseguimento di uno scopo comune: lo sviluppo di lungo periodo. Al profitto immediato richiesto dai stakeholders americani viene sostituito da un incremento valoriale aziendale di lungo periodo, nel quale il profitto immediato è minore ma più forte è la preoccupazione di una vita aziendale di lunga durata.
      Si distingue il cosiddetto <nocciolo duro> costituito dagli azionisti stabili (banche, investitori finanziari, portatori di interessi forti), i quali possiedono la maggiore quota di capitale, e da una moltitudine di azionisti minori che possiedono la parte di capitale effettivamente trattabile sul mercato. Però non vi è la possibilità per nessun azionista di raggiungere posizioni di maggioranza assoluta. Di conseguenza, nell’interesse dello sviluppo e della crescita dell’azienda stessa, assume un’importanza fondamentale la figura del manager, che ha come obiettivo prioritario la massimizzazione del valore d’impresa nell’ottica dell’espansione, tentando di realizzare un mix ottimale tra crescita aziendale, redditività del capitale investito e dinamiche dello sviluppo complessivo. C’è da sottolineare, però, che negli ultimi trent’anni si è verificato un calo consistente nella presenza degli azionisti privati e del settore pubblico, a favore di una crescente presenza delle assicurazione e delle banche.
      In questo modello, fanno parte dei stakeholders anche i lavoratori, attraverso i loro rappresentanti sindacali presenti nel Consiglio d’Azienda e dirigenti dell’Hausbank nei Consigli di Sorveglianza dell’impresa.
      Si determina, in tal modo, una compressione forzata dei conflitti sociali ed una quasi mancanza di conflitti interni d’azienda; il senso di appartenenza dei lavoratori e di cooperazione rende l’organizzazione d’impresa tedesca molto stabile e forte. I lavoratori ricevono in contropartita di una concordata pace aziendale salari più elevati e meno ore di lavoro rispetto alle medie anglosassoni e dimostrano un maggiore senso di fedeltà all’impresa che aumenta la potenza del sistema economico tedesco.


      A partire dagli anni ’80 negli USA ci si è resi conto della necessità di limitare il potere eccessivo dei manager e si è cercato di rendere più stabile l’azionariato attraverso l’intervento di investitori stabili, in grado di garantire una maggiore concentrazione della proprietà. In quest’ottica vi è stata una diminuzione degli investitori privati a favore della nascita delle relationship investing (società finanziarie che ottengono un ruolo diretto nella gestione delle imprese attraverso l’acquisto di elevate quote azionarie). Inoltre, si è pensato di trasformare i manager in azionisti per coinvolgerli direttamente nelle sorti aziendali.
      Ma anche nel modello renano-nipponico diminuisce l’incidenza degli incroci azionari e si tende ad allargare la partecipazione e la dipendenza delle imprese direttamente dal mercato finanziario, assistendo ad un graduale avvicinamento tra i due modelli.
      Last edited by sotiris; 23-12-2011, 19:04:43.
      sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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        #4
        Un'altra descrizione relativa al capitalismo renano abbastanza esemplificativa
        (da http://www.simone.it/newdiz/newdiz.php?action=view&dizionario=6&id=409):

        Capitalismo renano

        Espressione riferita ad un tipo di organizzazione economica ed istituzionale, nata in Germania e successivamente diffusasi in Giappone.
        Nel modello in esame la proprietà della grande impresa è condivisa da azionisti formati da:
        — grandi banche;
        — società di assicurazione;
        — fondazioni legate alle imprese;
        — fondi collegati ai dipendenti o ai sindacati.
        Al contrario di quanto accade nel capitalismo anglosassone (v.), in quello renano gli azionisti partecipano attivamente alla gestione quotidiana dell'impresa affiancandosi ai managers e ai rappresentanti dei dipendenti dell'azienda.
        Esiste, inoltre, un rapporto costante fra l'impresa e le istituzioni pubbliche, il che contribuisce a rendere stabile il complesso equilibrio fra le diverse forze che fanno capo all'impresa. Il fitto intreccio di rapporti, fra i diversi attori sociali, afferma e contemporaneamente rafforza l'idea che l'impresa non è un bene qualunque e non può essere, quindi, acquistata o venduta come un qualsiasi altro bene.
        Ciò esclude a priori la possibilità di take over ostili, i quali sono invece fortemente osteggiati.


        _________

        Ciò che mi piace di questo sistema economico è l’interdipendenza diretta e positiva tra le varie parti sociali e economiche. Non mi sembra che in Italia ci sia niente di simile o sbaglio? Evidentemente la cosa ha origine da una mentalità nazionale molto differente dalla nostra. Anche noi uscimmo sconfitti e disastrati dalla 2° guerra mondiale, ma nel rifondare l’economia ci siamo buttati su un altro modello (quello personale-individualistico o familiare o in alternativa statale), che magari si è dimostrato buono per ricominciare ma non per durare.

        La classe dirigente tedesca (parlo della RFT naturalmente) si inventò questa sorta di ibrido economico ( da : http://www.cpeurasia.eu/1152/deutsch...talismo-renano):

        Parafrasando, si può dire che la Germania, per tutto il dopoguerra è stata l’esempio di relazioni industriali consociative, […..].

        A questo proposito, si deve ricordare che l’asse portante del sviluppo economico tedesco fu contemperato dal mitico Stato Sociale (Welfare State) che rappresentò, con quello tedesco del premier Brandt (anni ’60), la bandiera di ogni socialdemocrazia occidentale: un provvidenziale controcanto politico nei confronti dei paesi del “Socialismo Reale”.

        e ancora:

        Si può essere tentati di aggiungere che il nuovo miracolo tedesco, con un tasso attuale dello sviluppo economico di oltre il 3% e con sette settori industriali orientati all’esportazione, nasce sicuramente da un insieme di risorse finanziarie messe a disposizione per rendere le industrie tedesche più competitive, [….]. Un carattere nazionale di autofinanziamento finanziario che si forma non solo, da risparmi di spesa pubblica (Welfare), quanto da una incisiva politica di credito finanziario concesso dalle banche tedesche alla competizione industriale; un esatto contrario a quello che succede in Italia […]
        sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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        • Conan
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          #5
          Ad oggi per raddrizzare la situazione servirebbe utopicamente parlando un socialismo nazionalista, reintroduzione delle monete locali precedenti all'euro e chiusura delle frontiere, cessassione dell'importazioni di prodotti che siano in concorrenza con quelli nazionali, abolizzione della proprietà privata ed alcune restrizioni sulle libertà media compresa internet.
          sigpic"Ooh amore ooh amante
          Che fai stasera ragazzo?
          Tutto va bene, solo tienimi stretto
          Questo perché sono un buon amante vecchio stampo"

          Così non capisce. Devi dire "Conan, hai rotto er *****!" (Sergio cit.)

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            #6
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              #7
              Per venirne fuori, senza applicare una cura peggiore del male (del tipo ritorno alle monete nazionali, ripudio del debito, ecc) bisognerebbe opporsi all’attuale predominio del settore finanziario. Ma non lo vedo fattibile se consideriamo la provenienza dei figuri oggi insediati ai vertici di UE, BCE, FMI e governi (non solo il nostro e quello greco, adesso anche la Spagna ha nel governo il suo omino LB).

              L’argomento trattato da una fonte accademica e accreditata, ma sempre con approccio semplice e schematico (presentazione ppt)
              http://www.cattedramonnet-mosconi.or... E PAPER&id=77 :

              “Le performances delle economie renane, da diversi anni, sono addirittura sulle prime pagine dei nostri giornali. E la celebrazione indefessa di questo successo fa da amaro contrappunto alla accresciute difficoltà delle economie ‘anglosassoni’, prigioniere dei deficit o dell’inflazione (…) Quali sono le vere armi di questa potenza? A questo proposito si può osservare che la forza di queste economie poggia innanzitutto su una capacità industriale senza pari e su un’aggressività commerciale ostinata”.
              _____________

              Dopo il crollo del Muro di Berlino, e dopo la lunga contrapposizione fra capitalismo e socialismo, la nuova contrapposizione che emerge è quella assai nota tra:


              il modello “NEOAMERICANO” (o “anglosassone”)

              il modello “RENANO” (o “germanico-giapponese)
              _____________

              M. Albert nel 1991 descrive sia la “superiorità economica” sia la “superiorità sociale” del modello renano.

              Seguendo la sua analisi, la differenza fondamentale “dipende in larga misura dalle modalità di finanziamento delle imprese”.
              _____________

              Banca vs Borsa e
              Capitalismo degli azionisti vs Capitalismo dei “portatori di interesse”
              (Shareholders Capitalism vs Stakeholders Capitalism)
              hanno rappresentato le due più tipiche CHIAVI DI LETTURA

              Possiamo tentarne una stilizzazione:

              Anglosassone
              (Shareholders Capitalism)


              - L’impresa è un bene come tutti gli altri, che si compra e si vende sul “mercato”

              - Un elevato flusso di profitti (attuali e futuri) è fondamentale per tenere alta la quotazione del titolo in Borsa

              - Moltissime sono infatti le società quotate in Borsa (a Wall Street come alla City londinese)

              - L’azionariato di tutte le corporations è anonimo e altamente frammentato, con un ruolo di rilievo giocato dai fondi pensione e da altri investitori istituzionali: non è un azionariato stabile.

              - L’ottica è di breve termine nella gestione dell’impresa (ossia, della società quotata e passibile quindi di take-over ostile)

              - In sintesi, è il capitalismo degli shareholders (gli azionisti), e l’obiettivo principe è quello di massimizzare lo shareholder value (la creazione di valore per l’azionista)

              Renano
              (Stakeholders Capitalism)


              - L’impresa non è un bene da comprare e vendere come tutti gli altri: è innanzitutto una “istituzione”

              - L’impresa è, sotto molti profili, un bene della “comunità”, e assume sempre una certa rilevanza pubblica

              - Relativamente poche sono le società quotate (la Borsa di Francoforte non è neppure paragonabile a Londra)

              - La proprietà delle (grandi) imprese fa capo a un intreccio di grandi banche, di compagnie di assicurazione, di fondazioni, senza escludere il governo nazionale e/o i governi regionali: è un azionariato stabile.

              - L’ottica è di medio-lungo termine nella gestione di quella che può essere vista come una impresa-istituzione (non c’è per definizione il rischio di scalate, tanto meno ostili).

              - In sintesi, è il capitalismo degli stakeholders (i portatori di interesse), e quello che va massimizzato è appunto l’interesse di tutti coloro che sono coinvolti nell’impresa (clienti, fornitori, dipendenti, azionisti, comunità locale).
              ______________

              Albert, in un saggio scritto a dieci anni esatti da Capitalismo contro capitalismo, evoca l’immagine di una “BANCA CHE SI INCHINA ALLA BORSA” e di un “MANAGER CHE SI INCHINA ALL’AZIONISTA”
              [il Mulino, n° 3/2001].

              Ronald Dore che, in Capitalismo di borsa o capitalismo di welfare? [2000], presenta una mappa chiamata “Il neoliberismo e il crescente predominio del settore finanziario”, ed argomenta che il valore per l’azionista diventa “il solo obiettivo legittimo dei dirigenti d’impresa”.
              ________________

              Sostiene Michele SALVATI:
              “[...]bisogna riflettere prima di dare per spacciato il capitalismo corporativo e controllato che Michel Albert aveva definito come ‘renano’. Forse il modello verso il quale è opportuno convergere non è l’anglosassone estremo e qualche pezzo ‘renano’ conviene tenerselo”.
              ________________

              ENDE
              sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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                #8
                Il Sistema secondo Adriano Olivetti

                Il Sistema secondo Adriano Olivetti

                Non è capitalismo renano, tutt’altro, però quella di Olivetti fu una bella esperienza, e che vale la pena ricordare.

                Da La Storia siamo noi, dov’è possibile vedere la puntata: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=312

                Alcuni estratti:

                Un'utopia chiamata "Olivetti"
                Chi era Adriano Olivetti? Un sognatore, un utopista, o era invece un grande imprenditore, capace di portare la piccola azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca? Sicuramente era una figura scomoda e considerata da molti ingombrante, sia come concorrente industriale che come portatore di un modello sociale per certi versi “rivoluzionario”.

                Quello di Adriano Olivetti era un sogno industriale, che certamente mirava al successo e al profitto, ma anche un progetto sociale che implicava una nuova relazione tra imprenditore ed operaio, oltre ad un nuovo rapporto tra fabbrica e città.

                Nel 1945, dopo la fine della guerra, Adriano Olivetti torna ad Ivrea pieno di progetti. La sua convinzione è che il fine dell’impresa non debba essere solo il profitto e che sia necessario reinvestire il profitto per il bene della comunità. A questo principio si ispirano tutte le sue successive scelte imprenditoriali. La fabbrica di Ivrea diventa presto il modello di un’organizzazione del lavoro improntata sull’uomo reale, lontano dall’uomo disumanizzato della catena di montaggio.
                …..
                La fabbrica è dotata di molte strutture ricreative e assistenziali: biblioteche, mense, ambulatori medici, asili nido, ecc.
                L’idea di Adriano è che l’incremento della produttività sia strettamente legato alla motivazione personale del lavoratore ed alla partecipazione degli operai alla vita dell’azienda. Il modello Olivetti, criticato da molti come contrario ad ogni logica economica, si mostra presto una ricetta di successo; in poco più di un decennio la produttività cresce del 500% e il volume delle vendite del 1300%.
                La Olivetti raggiunge rapidamente una notevole fama internazionale e la macchina da scrivere “Lettera 22”, disegnata da Marcello Nizzoli nel 1950, viene definita da una giuria internazionale “il primo dei cento migliori prodotti degli ultimi cento anni”.
                ….
                Nel 1948 negli stabilimenti di Ivrea viene costituito il Consiglio di Gestione, per molti anni unico esempio in Italia di organismo paritetico con poteri consultivi sulla destinazione dei finanziamenti per i servizi sociali e l'assistenza. Si costruiscono quartieri per i dipendenti e nuove sedi per i servizi sociali.
                ….
                La fabbrica di Ivrea è moderna e spaziosa. Una delle peculiarità dei fabbricati è la massiccia utilizzazione del vetro, voluta dallo stesso Olivetti affinché gli operai che vi lavorano, spesso strappati al mondo rurale, possano continuare a sentirsi a contatto con la natura e avvertirsi come parte del paesaggio, “circondati e avvolti dalla luce”. I dipendenti Olivetti godono di benefici eccezionali per l’epoca: i salari sono superiori del 20% della base contrattuale, oltre al salario indiretto costituito dai servizi sociali, le donne hanno nove mesi di maternità retribuita (quasi il doppio di quanti ne hanno oggi, per intenderci) e il sabato viene lasciato libero, prima ancora di ogni contrattazione sindacale. L'orario di lavoro viene ridotto da 48 a 45 ore settimanali, a parità di salario, in anticipo sui contratti nazionali di lavoro.

                Si può dire che Adriano Olivetti non si pose mai nell’ottica della contrapposizione tra capitale e lavoro ma la sua preoccupazione fu sempre come essi potessero convivere insieme per far progredire la società. La struttura tradizionale, improntata alla conflittualità sindacale, veniva contraddetta da una serie di provvedimenti che tendevano ad erodere la base della conflittualità stessa. Non vi furono, in questo modo, episodi di scontro frontale con i sindacati come avvenne in altre fabbriche (vedi la Fiat).
                ….
                L’idea di fondo era che il lavoratore dovesse identificarsi con l’azienda perché, come dice lo psicologo del lavoro Francesco Novara, “verificammo che maggiore era la costrizione e le limitazioni del lavoro e più i singoli erano danneggiati”. Ai dipendenti sono permesse delle pause durante l’orario di lavoro, al fine di ricrearsi ed accrescere la propria cultura, tanto che una volta una delegazione dei sindacati sovietici in visita alla fabbrica, osservando tanta libertà di movimento, chiese ai suoi ospiti se fosse un giorno di sciopero.
                ….
                Informatica: un’occasione perduta

                Nel 1955 la Olivetti si associa ad un progetto dell’Università di Pisa per la creazione di un elaboratore scientifico; un progetto che prende le mosse da un suggerimento di un grande scienziato italiano, Enrico Fermi. Adriano Olivetti intuisce subito la grande potenzialità degli elaboratori elettronici e quale sia l'interesse a entrare in un mercato allora agli albori.
                Olivetti è alla ricerca di una persona a cui affidare la guida del progetto. Gli viene suggerito il nome di Mario Tchou. Figlio di un diplomatico cinese, professore alla Columbia University di New York, Tchou è uno dei pochi uomini al mondo specializzati nei calcolatori elettronici.

                Vengono assunti ingegneri, fisici, matematici e tecnici provenienti da tutta Italia e dall'estero. Fu un periodo pionieristico, di vera ricerca, durante il quale Tchou ebbe un'intuizione chiave: provare a sostituire nelle memorie a nastro magnetico le valvole con i transistor, che garantiscono maggiore resistenza, migliori prestazioni e occupano minore spazio. Chiede tre anni per la realizzazione del progetto, ma già nella primavera del 1957 la piccola équipe realizza la Macchina Zero. Il risultato finale di quella ricerca è l’Elea, il primo elaboratore completamente transistorizzato immesso nel mercato mondiale. (Il nome sta per Elaboratore elettronico aritmetico, con allusione all'antica città greca sede di scuole di filosofia, scienza e matematica).
                ….
                La improvvisa morte di Adriano Olivetti nel 1960 (seguita dopo un anno appena da quella dello stesso Tchou) interrompe il cammino informatico dell’Olivetti. Negli anni successivi l'azienda entra in una profonda crisi finanziaria, causata dalle divisioni interne alla famiglia e dall’impossibilità di sottoscrivere aumenti di capitale. La Olivetti deve ricorrere a finanziatori esterni. Nel 1964 il controllo viene assunto dal cosiddetto Gruppo di intervento, costituito da Fiat, Pirelli, Centrale e da due banche pubbliche, Mediobanca e Imi. Riguardo al loro atteggiamento risulta emblematica la dichiarazione di Vittorio Valletta, allora Presidente della Fiat: “La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l'essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare".
                Il Gruppo di intervento decide dunque di cedere la Divisione Elettronica alla General Electric, nell'apparente disinteresse del governo e dei media. (La Olivetti mantiene il diritto di proseguire l'attività solo nel campo della piccola elettronica; ciò consentirà a Pier Giorgio Perotto di realizzare nel 1965 la calcolatrice Programma 101, considerato il primo personal computer della storia mondiale.)
                Il dibattito sulle responsabilità del fallimento che tali scelte generarono chiama in causa la miopia della classe imprenditoriale che prese tale decisione, l’indifferenza della classe politica di fronte ad un settore che aveva un’importanza strategica per l’intero paese e l’inerzia di un sistema bancario poco coraggioso; quel che è certo è che quella data segna la fine del sogno informatico Olivetti e fa perdere all’Italia un primato d’eccellenza che non recupererà mai più.
                sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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                • richard
                  scientific mode
                  • May 2006
                  • 19924
                  • 381
                  • 414
                  • Send PM

                  #9
                  Personalmente ritengo che l' "origine dei nostri guai" risieda molto più a monte del concetto di capitalismo stesso. La definirei una crisi del valore in senso proprio (da non confondere con la "crisi di valori" comunque sussistente e concomitante). Ovvero l'umanità sta manifestando tutti i propri limiti nel saper stabilire, nel corso della storia, in base livello di progresso raggiunto, cosa realmente (perché reale) valga. Primo corollario di tale inadeguatezza è una adozione solo meramente convenzionale dell'unità del valore (ovvero la moneta), affidata d'autorità istituzioni umane, assurgendola senza alcun fondamento a "risorsa". La logica richiederebbe invece un processo, tanto per cambiare, opposto: ovvero il riconosciemento di una risorsa (reale) da "tradurre/codificare" in moneta.

                  Allora la questione diventa: può davvero l'umanità affidarsi ad uno strumento che solo per convenzione vale e dare quindi gratuita autorità a chi questo strumento gestisce? Non dovrebbe, l'espressione del valore, radicarsi invece alle reali capacità del pianeta di soddisfare i nostri bisogni? Finché ci si affretta verso un profitto dal valore fittizio e convenzionale, escludendo dalle valutazioni il valore oggettivo, non può che risultare una economia sofferente e comunque intrinsecamente in crisi, con molti nodi presto al pettine da sciogliere.

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                  • sotiris
                    Urban Sheepboy
                    • Sep 2010
                    • 1310
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                    • corazziere tascabile
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                    #10
                    Perfettamente d’accordo, e tutto sommato credo che si accorgano di questa aberrazione anche le persone che avrebbero la possibilità di prendere provvedimenti. Cosa che però non hanno fatto e mai faranno. Perché? Per vari motivi direi, non so… opportunismo spiccio (perché cambiare se con questo sistema sono al vertice?), paura di andare contro il pensiero dominante e essere ostracizzati.. tante cose. Mentalità presente anche a livelli più terraterra, dove l’idea è sempre quella di far coincidere il proprio benessere con la capacità d’acquisto, cosa che magari nn sarebbe da disprezzare salvo poi rendersi conto che si tratta di spese che spesso e volentieri sono superflue. Banalità, me ne rendo conto, ma forse proprio per questo difficili da contrastare. E il nostro magna magna quotidiano

                    ---------- Post added at 13:59:05 ---------- Previous post was at 13:47:41 ----------

                    Con le parole di J. Diamond in Collasso:

                    Perché i re e i nobili [maya] non furono capaci di riconoscere e risolvere quei problemi così evidenti che minacciavano la loro società? La loro attenzione era evidentemente concentrata su mire personali e a breve termine [...]. Come quasi tutti i capi nella storia del genere umano, i re e i nobili maya non tennero conto dei problemi a lungo termine, posto che fossero in grado di accorgersene. [...] La passività dei capi dell'isola di Pasqua e dei re maya di fronte alle vere e grandi minacce che incombevano sulle loro società ci fa pensare all'estremo esibizionismo consumistico dei ricchi americani dei giorni nostri.
                    sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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                    • centos
                      Bad Lieutenant
                      • Jan 2009
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                      • Ducato di Parma
                      • Send PM

                      #11
                      bravo sotris, discussione molto interessante



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                      • sotiris
                        Urban Sheepboy
                        • Sep 2010
                        • 1310
                        • 54
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                        • corazziere tascabile
                        • Send PM

                        #12
                        muchas gracias
                        sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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                        • Mr_Olympia
                          Bodyweb Member
                          • Jan 2012
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                          #13
                          Originariamente Scritto da Conan Visualizza Messaggio
                          Ad oggi per raddrizzare la situazione servirebbe utopicamente parlando un socialismo nazionalista, reintroduzione delle monete locali precedenti all'euro e chiusura delle frontiere, cessassione dell'importazioni di prodotti che siano in concorrenza con quelli nazionali, abolizzione della proprietà privata ed alcune restrizioni sulle libertà media compresa internet.
                          Ammappa!!! Complicato sto post, ho dovuto leggerlo 3 volte.

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                          • richard
                            scientific mode
                            • May 2006
                            • 19924
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                            #14
                            Originariamente Scritto da sotiris Visualizza Messaggio
                            Perfettamente d’accordo, e tutto sommato credo che si accorgano di questa aberrazione anche le persone che avrebbero la possibilità di prendere provvedimenti. Cosa che però non hanno fatto e mai faranno. Perché? Per vari motivi direi, non so… opportunismo spiccio (perché cambiare se con questo sistema sono al vertice?), paura di andare contro il pensiero dominante e essere ostracizzati.. tante cose. Mentalità presente anche a livelli più terraterra, dove l’idea è sempre quella di far coincidere il proprio benessere con la capacità d’acquisto, cosa che magari nn sarebbe da disprezzare salvo poi rendersi conto che si tratta di spese che spesso e volentieri sono superflue. Banalità, me ne rendo conto, ma forse proprio per questo difficili da contrastare. E il nostro magna magna quotidiano

                            ---------- Post added at 13:59:05 ---------- Previous post was at 13:47:41 ----------

                            Con le parole di J. Diamond in Collasso:

                            Perché i re e i nobili [maya] non furono capaci di riconoscere e risolvere quei problemi così evidenti che minacciavano la loro società? La loro attenzione era evidentemente concentrata su mire personali e a breve termine [...]. Come quasi tutti i capi nella storia del genere umano, i re e i nobili maya non tennero conto dei problemi a lungo termine, posto che fossero in grado di accorgersene. [...] La passività dei capi dell'isola di Pasqua e dei re maya di fronte alle vere e grandi minacce che incombevano sulle loro società ci fa pensare all'estremo esibizionismo consumistico dei ricchi americani dei giorni nostri.
                            Sì, certamente un miope opportunismo a tutti i i livelli sociali è alla radice del problema. Ma l'impostazione, oltre che miope, è anche bacata poiché si esclude, a priori e senza reale fondamento, che una soluzione radicale e vantaggiosa nel lungo termine possa recare miglioramenti anche nel breve/medio termine.
                            Il problema purtroppo non è solo politico, né può essere ricondotto al solo consumismo; purtoppo la crisi è di pensiero, il che risulta per molti versi anche più preoccupante. Il pensiero economico infatti evolve ormai solo per "toppe", soluzioni locali alle crisi, nell'infondata e fallace convinzione che l'attuale impostazione sia quella "naturale" e, in quanto tale, non modificabile.
                            Per fare un paragone, è come se per risolvere un cubo di Rubik, completata una faccia, ci si aspettasse la soluzione finale reiterando tale e quale altre cinque volte lo stesso procedimento. Invece una tale soluzione richiede il momentaneo (e razionale) disfacimento di quanto fatto per giungere all'obiettivo finale.

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                            • greenday2
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                              #15
                              Mi prometto di leggere il post, ma si poggia su un qualcosa di sbagliato.

                              In che senso il capitalismo "ha fallito"? I freddi numeri non dicono esattamente cosi...sempre se parliamo di numeri.
                              E se la morte che ti e' d'accanto, ti vorrà in cielo dall'infinito, si udrà piu forte, si udrà piu santo, non ho tradito! Per l'onore d'Italia!

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