Stamattina alla radio un giornalista accennava al capitalismo di tipo renano. Rispondeva ad un ascoltatore che più o meno chiedeva: se comunismo e capitalismo hanno fallito, quale è l’alternativa per le economie e le società attuali? Non esiste una qualche di via di mezzo?
Questa via di mezzo, a detta del giornalista, potrebbe essere il capitalismo renano.
Mi ha incuriosito e ho cercato qualcosa nel web dove ho trovato un papiro che pur essendo troppo riassuntivo, ha il vantaggio di farsi capire a chi come me è tutt'altro che un esperto.
Ecco alcuni estratti della parte introduttiva e della descrizione del capitalismo manageriale.
Se il post non verrà colpito e affondato seguiranno descrizione del capitalismo renano e di quello britannico/italiano.
Vai col tango :
FORME DI CAPITALISMO
In base alla modalità di gestione, ai processi riallocativi tra proprietà e controllo, alle scelte di collocazione nelle aree geografiche, molti studiosi sono giunti ad individuare 3 forme principali di capitalismo:
- capitalismo manageriale (di tipo anglossassone)
- capitalismo personale-individualistico, a conduzione familiare (di tipo britannico ed italiano)
- capitalismo renano-nipponico (di tipo tedesco e giapponese)
1. Capitalismo manageriale
Con questa forma, più caratterizzata da una forte competizione aziendale ed individuale, ci si riferisce al capitalismo degli Stati Uniti che, sviluppatosi attraverso la nascita della grande impresa, si caratterizza per la presenza di un efficiente apparato manageriale, dotato di imponenti mezzi finanziari che vedono la prevalenza di un mercato borsistico dominato da un elevato azionariato imprenditoriale.
In questo sistema vi è stata l’ascesa e l’affermazione delle figure manageriali sugli stessi proprietari d’impresa, determinata dalla naturale tendenza evolutiva del capitalismo nazionale dominato in misura sempre più ampia delle grandi compagnies e poi dalla diffusione dell’azionariato. Infatti, l’introduzione di nuove e costose tecnologie ed i regimi di concorrenza sempre più spietati avevano prodotto processi aggregativi e selettivi che consentivano la sopravvivenza ed il successo solo a organismi in grado di affrontare le economie di scala. Poi, il capitale suddiviso in una miriade di piccoli azionisti ha reso impossibile stabilire delle linee di comportamento da parte dei Consigli di Amministrazione facendo emergere la figura del manager e garantendo, almeno in teoria, la separazione dell’interesse del privato dall’interesse dell’azienda.
Gli obiettivi del top management tendono alla realizzazione di profitti immediati per meglio soddisfare le esigenze di redditività degli azionisti, i quali sono chiamati a fine esercizio a valutare l’operato del manager, confermandolo o meno alla guida dell’azienda. La conseguenza di tale impostazione è che gli esigui investimenti destinati allo sviluppo futuro e all’espansione, caratterizzano queste imprese per un certo grado di immobilità e rigidità.
Infatti, le Public Companies per minimizzare i rischi tendono a detenere i pacchetti azionari per poco tempo. Il carattere prevalentemente speculativo dell’investimento volto ad ottenere risultati nel breve periodo fa sì che gli investimenti che non producono rendimenti immediati siano comunque poco apprezzati. E’ proprio su ciò che si basano i processi della cosiddetta fase di globalizzazione, meglio detta competizione globale. In questa logica il capitale viene spostato dove rende di più: profitto ad ogni costo e condizione. Si viene così a creare una realtà in cui sempre più alta è la divaricazione e lo sdoppiamento tra economia reale e finanza, anzi una realtà nella quale la finanza premia gli andamenti negativi dell’economia reali (quali ad esempio la flessibilità dei salari e la riduzione dell’occupazione).
Questa via di mezzo, a detta del giornalista, potrebbe essere il capitalismo renano.
Mi ha incuriosito e ho cercato qualcosa nel web dove ho trovato un papiro che pur essendo troppo riassuntivo, ha il vantaggio di farsi capire a chi come me è tutt'altro che un esperto.
Ecco alcuni estratti della parte introduttiva e della descrizione del capitalismo manageriale.
Se il post non verrà colpito e affondato seguiranno descrizione del capitalismo renano e di quello britannico/italiano.
Vai col tango :
FORME DI CAPITALISMO
In base alla modalità di gestione, ai processi riallocativi tra proprietà e controllo, alle scelte di collocazione nelle aree geografiche, molti studiosi sono giunti ad individuare 3 forme principali di capitalismo:
- capitalismo manageriale (di tipo anglossassone)
- capitalismo personale-individualistico, a conduzione familiare (di tipo britannico ed italiano)
- capitalismo renano-nipponico (di tipo tedesco e giapponese)
1. Capitalismo manageriale
Con questa forma, più caratterizzata da una forte competizione aziendale ed individuale, ci si riferisce al capitalismo degli Stati Uniti che, sviluppatosi attraverso la nascita della grande impresa, si caratterizza per la presenza di un efficiente apparato manageriale, dotato di imponenti mezzi finanziari che vedono la prevalenza di un mercato borsistico dominato da un elevato azionariato imprenditoriale.
In questo sistema vi è stata l’ascesa e l’affermazione delle figure manageriali sugli stessi proprietari d’impresa, determinata dalla naturale tendenza evolutiva del capitalismo nazionale dominato in misura sempre più ampia delle grandi compagnies e poi dalla diffusione dell’azionariato. Infatti, l’introduzione di nuove e costose tecnologie ed i regimi di concorrenza sempre più spietati avevano prodotto processi aggregativi e selettivi che consentivano la sopravvivenza ed il successo solo a organismi in grado di affrontare le economie di scala. Poi, il capitale suddiviso in una miriade di piccoli azionisti ha reso impossibile stabilire delle linee di comportamento da parte dei Consigli di Amministrazione facendo emergere la figura del manager e garantendo, almeno in teoria, la separazione dell’interesse del privato dall’interesse dell’azienda.
Gli obiettivi del top management tendono alla realizzazione di profitti immediati per meglio soddisfare le esigenze di redditività degli azionisti, i quali sono chiamati a fine esercizio a valutare l’operato del manager, confermandolo o meno alla guida dell’azienda. La conseguenza di tale impostazione è che gli esigui investimenti destinati allo sviluppo futuro e all’espansione, caratterizzano queste imprese per un certo grado di immobilità e rigidità.
Infatti, le Public Companies per minimizzare i rischi tendono a detenere i pacchetti azionari per poco tempo. Il carattere prevalentemente speculativo dell’investimento volto ad ottenere risultati nel breve periodo fa sì che gli investimenti che non producono rendimenti immediati siano comunque poco apprezzati. E’ proprio su ciò che si basano i processi della cosiddetta fase di globalizzazione, meglio detta competizione globale. In questa logica il capitale viene spostato dove rende di più: profitto ad ogni costo e condizione. Si viene così a creare una realtà in cui sempre più alta è la divaricazione e lo sdoppiamento tra economia reale e finanza, anzi una realtà nella quale la finanza premia gli andamenti negativi dell’economia reali (quali ad esempio la flessibilità dei salari e la riduzione dell’occupazione).
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