Sto vedendo Codice Genesi, molto mistico-religioso post nucleare e il titolino è di conseguenza. Siamo entrati nella buca, adesso risaliamo. C’è un problema: la biomeccanica non ci aiuta.
Che differenza c’è fra queste due configurazioni meccaniche? Il pistone è vincolato in maniera tale che la traiettoria di qualsiasi elemento del sistema è completamente determinata: girate l’ingranaggio, il pistone si muove, muovete il pistone, l’ingranaggio si muove. Per quanto possa essere complicato matematicamente, alla fine possiamo fare una di quelle simulazioni che tanto fanno sbavare i nerd dei pesi.
Lo scheletro che fa squat non è vincolato allo stesso modo: ok, il femore non esce dall’anca, uno sbilanciamento in avanti provoca dentate colossali, i piedi non sprofondano nel pavimento. Ma se lo scheletro impazzisce e vuole spostare il peso orizzontalmente… può farlo.
La traiettoria del bilanciere è così influenzata dai vincoli meccanici dei “pezzi” che devono essere tenuti insieme, dalle forze che i muscoli possono produrre, dalle compressioni dentro le articolazioni che non possono eccedere dei limiti ma essenzialmente da ciò che è dentro la testaccia marcia di chi esegue lo squat.
Il problema degli studi su questi movimenti complessi è che, secondo me, cercano di rendere l’omino a sinistra come il pistone a destra. E si impantanano. Moltissimi aspetti di qualsiasi movimento umano sono ancora ignoti, lo squat non fa eccezione.
In questo pezzo vi proporrò un modello della risalita dello squat sulla base di ciò che ho studiato, sperimentato, simulato, osservato. Come sempre, è una possibilità di spiegazione. Io dico che non ho pisciato troppo fuori dal vaso, al limite sulla ciambella.
L’articolo è suddiviso in ben tre parti perché non avevo voglia di dividerlo: una è un richiamino di Fisica, lo so che preferireste essere frustati con il filo spinato, una per la comprensione di cosa accade, lunga e pallosa e non voglio che passiate da “questa è la spiegazione” a “dovete fare così per forza”, l’altra è corta e dovrebbe dare delle regole del pollice, le thumbs rules tanto care agli anglosassoni. Vedrete che le regole sono sempre le stesse, poche, banali o quasi stupide.
Potete saltare alle regolette finali, come quelli che si fidano solo del navigatore come se fosse la voce di Dio e non guardano nemmeno se sono sull’autostrada o in mezzo ad un campo.
Il gioco delle coppie
Una forza che fa ruotare un oggetto intorno ad un punto genera sull’oggetto quella che si chiama coppia o momento meccanico. Per essere meno precisi ma più chiari, una coppia è la capacità di una forza di far ruotare un corpo.
E’ chiaro che a noi le coppie rompono le tasche ma servono: i movimenti che compiamo sono dovuti alla rotazione delle ossa, pertanto i muscoli generano delle forze che a loro volta sulla base di come sono applicate, tramite i tendini, alle ossa, generano delle coppie. Per questo motivo è possibile sostituire il termine “forza” con il termine “coppia” e le frecce dritte con le frecce rotanti anche se, di fatto, stiamo parlando di pere invece che di mele.
Ok, il disegno sembra complicato, cerchiamo di spiegarlo piano piano, come Paolino ha fatto con me (ma… Paolino sono io… che sta succedendo?). Per semplicità, invece di usare le velocità angolari che sono poco intuitive, ho preferito considerare la velocità verticale della testa dello scheletro perché è qualcosa di “visivamente” percepibile.
In alto, da sinistra verso destra:
All’istante t0 (Dio come odio questa notazione con i pedici che ci vuole un casino di tempo a scriverla…) lo scheletro è al parallelo e sta fermo, ciò significa che la schiena non flette, l’angolo phi (anche questa mania di usare le lettere greche…) non perciò non varia, la velocità verticale della testa è nulla. Perché ciò accada è necessario che la coppia generata dal bilanciere e dal peso del tronco, che indurrebbe bacino e spina a ruotare in senso orario, sia perfettamente equiparata da quella applicata alle anche: i glutei e i femorali “tirano” indietro il bacino e tutto ciò che c’è sopra.
Adesso guardate i grafici sottostanti che indicano proprio ciò che ho scritto.
All’istante t1 per un qualsiasi motivo lo scheletro diminuisce la coppia al bacino, notate come la freccia rotante abbia spessore inferiore. Poiché la coppia del carico del bilanciere e del tronco non è più equilibrata, il bacino e tutto quello che c’è sopra ruoteranno verso il basso, l’angolo phi inizierà a diminuire e la velocità verticale della testa inizierà ad aumentare progressivamente. Poiché considero positive le velocità verso l’alto, in questo caso la velocità è negativa perché va verso il basso.
Nel grafico della coppia la diminuzione della coppia all’anca è indicata dal gradino verso il basso: nella realtà questi gradini non esistono e tutto è molto più smussato, ma per evidenziare i concetti è necessaro fare così. Notate come la coppia scenda ma si mantenga costante, la velocità e l’angolo diminuiscono continuamente.
La morale è che quando la schiena ruota in avanti la coppia all’anca è minore di quanto sia necessario per tenerla ferma.
All’istante t2 lo scheletro vuole frenare la schienata, applica perciò più coppia di quanto serva a tenere la schiena ferma, il gradino di coppia verso l’alto. Adesso attenti: lo scheletro dà coppia e il tronco inizia a frenare, cioè la velocità comincia a crescere, diventando sempre meno negativa. Il problema è che la schiena non è che smette di andare giù, cioè l’angolo dell’anca continua a diminuire perché se è vero che lo scheletro dà coppia all’anca, è anche vero che tutto il tronco si stava muovendo ed è necessario del tempo per fermarlo.
All’istante t3 la velocità verticale della testa è tornata a zero, cioè il tronco non ruota più verso il basso e l’angolo dell’anca è al suo minimo.
La morale stavolta è che se applico una coppia per far smettere di ruotare un corpo non è che quello si ferma immediatamente: è necessario un tempo che dipende da quanta coppia fornisco e quanto velocemente il corpo stava ruotando, più coppia fornisco e in meno tempo il corpo si ferma, ma un certo tempo è necessario.
Poiché lo scheletro non smette di fornire coppia all’anca tramite glutei e femorali (ma se è uno scheletro dove li avrà i glutei e i femorali…), il movimento si inverte: la coppia fornita è superiore a quella necessaria per tenere fermo il tronco, all’istante t4 la velocità verticale della testa è aumentata così come l’angolo dell’anca: il tronco sta ruotando in senso antiorario. Analogamente all’istante t5.
L’ultima morale è che affinchè la schiena ruoti indietro è necessario applicare all’anca più coppia di quanto sia necessario per tenerla ferma, più ne date e più velocemente il tronco ruoterà.
Ok, la caratteristica di tutti i disegnini in alto è che nella rotazione del tronco l’anca è ferma mentre è la testa che ruota, in una situazione un po’ ridicola perché nessuno sano di mente farebbe una cosa del genere (oppure no… che dite?).
Adesso guardate i disegnini in basso: anche in questo caso il tronco ruota, ma è l’anca che si sposta mentre la testa rimane ferma. Passatemi, senza farmelo dimostrare, che la testa è ferma orizzontalmente anche se verticalmente si muove.
In questo caso ciò che accade è che lo spostamento delle ginocchia indietro muove conseguentemente il bacino e se la testa non si sposta orizzontalmente per forza di cose la schiena deve flettersi: provate, a meno che non vogliate staccare il bacino dalla schiena questo è ciò che accade.
Nei disegni in basso la schiena in pratica ruota intorno alla testa invece che all’anca, ma la descrizione dei comportamenti è sempre la stessa!
Ma se la schiena flette in avanti ciò significa che la coppia all’anca è inferiore a quella necessaria per tenerla ferma a quell’inclinazione! In altre parole tutto il ragionamento fatto precedentemente si applica allo stesso modo: quando c’è una “scodata” nello squat e la schiena si inclina l’atleta sta dando meno coppia alle anche, pertanto sta “faticando” di meno!
Quando poi vorrà far ruotare la schiena indietro dovrà invece dare più coppia di quanto serva a tenerla ferma. Nella serie di disegni in basso l’effetto di questo è visibile all’istante t4 perché la schiena inizia a tirarsi su, ma l’atleta ha dovuto dare coppia alle anche all’istante t2 cioè prima.
Ciò che accade in una scodata in cui la schiena si inclina è questo:
Il bacino e la schiena
Quando si parla di squat e di stacco c’è sempre un po’ di confusione fra bacino e spina dorsale, i disegnini spesso confondono.
La spina non ha un ruolo attivo nello squat se non quello di mantenersi rigida, di non perdere la sua forma. I muscoli paravertebrali non hanno però una funzione motrice nel movimento, nel senso che non sono loro che determinano gli spostamenti: questi sono causati dalla rotazione del bacino a cui la spina dorsale è collegata.
A sinistra l’istante t3 dei disegni precedenti, il momento in cui c’è l’incremento di coppia all’anca. La spina è formata di vertebre e non è rigida, perché mantenga la sua forma è necessario che queste non ruotino in avanti: i muscoli paravertebrali si contraggono e impediscono che questo nefasto evento accada e all’istante t4 bacino e spina hanno ruotato entrambi indietro.
E’ così importante comprendere come ciò che accade all’anca si riflette su ciò che accade alla spina: più coppia i femorali e i glutei generano all’anca inducendo il bacino a ruotare indietro, più coppia i paravertebrali devono generare per impedire che la spina perda la sua forma.
A destra ciò che succede se i paravertebrali non generano sufficiente coppia: il bacino ruota indietro, le vertebre in avanti e la spina dell’atleta perde la sua curvatura. La spina non ruota indietro come dovrebbe ma più che altro l’intera struttura spinale è soggetta a forza asimmetriche estremamente dannose.
I carichi sulla spina non sono così dovuti solamente a cosa c’è “sopra”, ma essenzialmente da tutto il comportamento dinamico delle forze in gioco al bacino.
Questo è il motivo per cui dei banalissimi good morning con il bilanciere scarico ma eseguiti alla velocità della luce possono essere più dannosi di uno squat pesante: ruotare velocemente il tronco implica dare tantissima coppia alle anche e perciò i paravertebrali devono generare tantissima coppia per non far ruotare le vertebre in avanti. Se chi esegue “ci va rilassato” perché il carico è basso… è un attimo perdere la curvatura spinale e pinzarsi un disco intervertebrale.
The perfect squat®™©
Ecco a voi the perfect squat, lo squat perfetto™®©: per fare un po’ di scena ho dato dei nomiin matematichese agli angoli della caviglia, del ginocchio e dell’anca, indicandoli con la pomposissima fi o phi greca. In letteratura troverete angoli differenti ma alla fine sono equivalenti a questi.
In questa esecuzione l’atleta risale “aprendo” contemporaneamente tutti e tre gli angoli, in pratica la caviglia ruota indietro, il femore ruota verso l’alto, l’anca ruota facendo raddrizzare la schiena. Il bilanciere sale bello dritto, senza spostamenti orizzontali o quasi.
Il problema di questa esecuzione è che è dispendiosissima: perché i segmenti connessi alle tre articolazioni ruotino tutti insieme è necessario che le forze muscolari generino coppia contemporaneamente su tutte e tre le articolazioni stesse. Non solo, come indicato nel disegno centrale, i femorali si accorciano perché le tuberosità ischiatiche ruotano verso le tibie: muscoli che si contraggono mentre si accorciano sono meno forti di muscoli che tengono in contrazione isometrica. Ancora, i quadricipiti devono generare un sacco di forza perché una parte viene trasferita all’anca per farla ruotare.
Vi piace questo disegnino? Ha un che di tribale, di trofei e prede… comunque ho semplicemente sovrapposto gli scheletri precedenti considerando solo gli elementi di interesse. A destra le stesse traiettorie unendo i punti corrispondenti, la retta è l’inclinazione della schiena.
In questa esecuzione il tronco ruota indietro fin da subito e perché questo accada è necessario pertanto che ci sia fin da subito una coppia all’anca superiore a quella necessaria a tenere la schiena alla solita inclinazione: la schiena ruota indietro fin da subito.
in questo squat vi è un coinvolgimento dell’anca continuo, dall’inizio alla fine. Analizzando il comportamento al ginocchio scopriremmo la stessa cosa: il cervello deve far contrarre in maniera coordinata tutti i muscoli contemporaneamente per permettere questo tipo di movimento.
Come vedremo, questa è l’esecuzione che pone il minor stress sulla schiena perché la spina è flessa per il minor tempo possibile: in risalita il bacino e la testa tendono ad avvicinarsi mentre i segmenti si “allungano”. Le conseguenti coppie dei muscoli paravertebrali sulle vertebre spinali seguono così l’andamento di quella all’anca: molta coppia fin da subito ma poi la schiena si mette eretta e così lo stress sulla spina diminuisce.
Questo pertanto è lo squat perfetto: l’atleta risale come se non avesse niente sulle spalle.
The Real squat (freeware)
Questo invece è uno squat reale, ciò che potete osservare guardando un atleta “forte”:
Il disegno è ricco di informazioni, specialmente se lo confrontate con il precedente. La traiettoria della testa è una retta inclinata, parallela a quella del bacino fino al momento in cui la schiena si sposta rigidamente in alto ed indietro. Ciò significa che bacino e testa si muovono alla stessa velocità o, in altri termini, che la schiena inizialmente non flette in avanti o si estende indietro, pertanto la coppia all’anca è praticamente quella necessaria a tenerla immobile.
Senza entrare nel merito del calcolo delle coppie, con il simulatore è possibile testare le due esecuzioni.
Il punto fondamentale è che il picco di coppia all’anca necessita di un picco di coppia sui muscoli paravertebrali, pertanto in quel momento la schiena è soggetta a forze molto intense.
Questa esecuzione probabilmente è il compromesso ottimale fra complessità del movimento, leve articolari, compressioni e forze di taglio:
La schiena si mantiene sempre parallela a se stessa, nel senso che non flette. Se non flette, non perde la curvatura spinale e ciò significa che l’atleta sta usando bene i suoi muscoli spinali: l’inclinazione viene persa se viene persa la curvatura.
Estendere fin da subito le ginocchia spostando il bacino indietro permette di uscire dalla buca velocemente: la buca è il punto in cui l’angolo delle ginocchia è il più svantaggioso perché i quadricipiti possano generare forza e meno l’atleta ci rimane, meglio è.
The dangerous squat
Trovate le 504 piccole differenze fra le due strisciate e mandate un SMS al numero in sovraimpressione.
Il disegno in alto è una amplificazione del precedente squat, con il bacino che non solo si sposta indietro ma anche con la schiena che flette in avanti. Il disegno in basso è una esasperazione ulteriore con la schiena che flette ancora di più.
Li riporto perché, come vedremo, il confine fra una esecuzione secondo me corretta e una sbagliata è molto sottile: già in questi disegni statici non si capisce quanto siano fra loro differenti!
Ecco il confronto tribale: notate come nell’esecuzione di sinistra la schiena non rimanga da A a B parallela a se stessa, dato che il bacino si sposta molto indietro e anche la testa si flette in avanti. Da B a C vi è una leggera flessione ma comunque la schiena praticamente non ha continuato a flettere.
Nell’esecuzione a destra la schiena continua a flettere anche nel passaggio da B a C. In entrambi i casi da C a D la schiena deve tornare ad estendersi indietro.
Notate anche come la traiettoria della testa passi da essere una I inclinata a sinistra come nel caso precedente ad una I verticale ed infine una specie di C.
Nel grafico le coppie al ginocchio e all’anca in alto per l’esecuzione a sinistra nel disegno precedente: La flessione in avanti della schiena fa si che vi sia un uso minore dell’anca all’inizio della risalita, per questo motivo la coppia all’anca decresce sempre di più quando invece il quadricipite estende il ginocchio.
Più la schiena è flessa in avanti e più vi è necessità di dare coppia all’anca per farla poi estendere, ed è per questo che il picco di coppia al punto B sia superiore a quello del caso precedente, dell’esecuzione “reale”: l’atleta deve dare più coppia per compensare il fatto che la schiena ruota in avanti, in modo che al punto C questa flessione si sia fermata. In C è necessario poi dare la coppia che serve per estendere indietro la schiena.
Questo è il grafico delle coppie per l’esecuzione ancora più schienata: il picco di coppia si ha in C perché fino a questa posizione la schiena si flette comunque in avanti e in C è così necessario dare coppia sia per farla smettere di flettere che per poi estenderla quando sarà al punto D. Ovviamente, se la schiena si flette ancora di più, ciò significa che in partenza l’anca è usata ancora di meno!
Più l’atleta schiena l’alzata, meno coppia deve dare all’inizio del movimento, nel punto più difficile, ma più dovrà darne dopo ed è per questo che il rallentamento, cioè lo sticking point, è ancora più evidente: la testa dell’atleta sta salendo, ma rispetto al bacino sta scendendo e per quanto l’atleta fornisca coppia all’anca per invertire questa situazione è necessario del tempo, pertanto ci sarà una fase in cui il bacino rallenta ma il bacino non sale.
Ciò significa che la schiena subirà ad un certo punto della risalita un bel picco di coppia dovuta ai paravertebrali: se i paravertebrali dell’atleta non sono in grado di generarla, la schiena perderà la curvatura, se le forze in gioco sono troppo elevate per le strutture osse e connettive, l’atleta si farà male.
Eseguire in questo modo ha il grosso vantaggio di spostare il bacino fuori dalla buca con il minor sforzo possibile per la schiena, praticamente l’esecuzione è tutta di quadricipiti ed il movimento è così semplice per il sistema nervoso. L’atleta affida poi a glutei, femorali e muscoli spinali l’estensione indietro della schiena: se ha la forza di farlo, può schienare e comunque chiudere l’alzata, altrimenti il bilanciere va a terra.
Si vedono in giro anche questo tipo di esecuzioni, come se ne vedono molte altre: c’è chi spara il bacino indietro per uscire dalla buca, schiena, tiene di femorali e glutei, muove nuovamente le ginocchia in avanti “entrando sotto” il bilanciere e chiude l’alzata. E lo fa con pesi considerevoli. C’è chi entra velocemente nella buca, “rimbalza” prendendo tutto lo stretch reflex, estende il bacino indietro e… oplà, estende al volo la schiena e chiude l’alzata.
Ciò che semini, raccogli
L’esecuzione di uno squat è così un compromesso fra rendere “semplice” il movimento sulla base della morfologia dell’atleta, di come interpreta lui lo squat esasperando i suoi punti di forza, della sicurezza per le strutture corporee in gioco.
Per questo motivo è ben difficile stabilire una esecuzione standardizzata, come non è possibile stabilire quale sia il modo migliore per tirare su dal suolo una cassa della frutta per 100 volte. Ovvio, è facile scartare le idiozie, le illogicità, i comportamenti insensati, ma già da questi disegni è difficile capire quale sia il modo migliore per eseguire lo squat, se accettate il fatto che lo squat perfetto sia qualcosa di estremamente difficile da realizzarsi se non per persone con particolari antropometrie.
Nel disegno a sinistra le traiettorie di un atleta che ha una discesa in cui cerca di tenere la spina alla curvatura fisiologica senza sbilanciarsi in avanti ed una risalita in cui sposta il bacino indietro muovendolo però alla stessa velocità della testa. In questo caso faccio riferimento al centro del bilanciere perché è ciò che si osserva meglio.
Discesa e risalita sono simili e possono parzialmente sovrapporsi. Molti studi mostrano comunque che il bilanciere in chiusura è più spostato in avanti rispetto alla posizione iniziale, proprio perché il carico tende comunque a far flettere la schiena in avanti.
A destra un atleta che schiena molto di più la discesa, la traiettoria flette più verso destra, e schiena molto anche la risalita: le due traiettorie divergono. Più questo comportamento viene esasperato e più c’è un forte coinvolgimento di schiena.
Empiricamente, più l’atleta è forte in termini di massimale rispetto al peso corporeo, più la traiettoria è come quella a sinistra e può essere considerata come “empiricamente corretta”. In altre parole, gli atleti “spezzano” sempre il movimento: prima estensione del ginocchio con l’uso del quadricipite, poi l’estensione della schiena con l’uso delle anche. Lo spartiacque fra fare “bene” e fare “male” è la flessione della schiena: se il bacino e il bilanciere o la testa si spostano inizialmente alla stessa velocità, allora la schiena non fletterà in avanti e non perderà la sua curvatura.
Così facendo l’atleta crea un movimento meno complicato dello squat perfetto ma più funzionale e allo stesso tempo “sicuro” perché i muscoli paravertebrali sono in grado di tenere la schiena in assetto.
Più il bacino si muove velocemente rispetto al bilanciere, più la schiena fletterà in avanti e sarà necessaria coppia all’anca per raddrizzarla, più le forze in gioco sulla schiena saranno in quel momento elevate.
“Visivamente” le migliori esecuzioni si osservano nell’intervallo fra lo squat perfetto e lo squat reale, poi la forma esecutiva è sempre più “brutta”. Se volessimo dare pertanto un riferimento, eccolo.
Notate come questa “regola” sia molto anglosassone: è una estrema semplificazione! E se uno esegue uno squat perfetto? Chiaramente va benissimo, ma senza comprendere tutto ciò che c’è dietro, sembra che uno debba eseguire solo così per “fare bene”
Ed ecco una di quelle cose che piace tantissimo agli anglosassoni: un flowchart con tutte le regolette. Potrei raccontare cose estremamente caustiche sui flowcharts, ma dato che questo l’ho fatto io, funziona se ne comprendete lo spirito.
Difficilmente i lettori che leggono questi pezzi sono persone da più di 100Kg. Nel caso lo fossero, o sono dei powerlifter di livello o sono semplicemente obese. Ora mi scriverà il tizio enorme pieno di muscoli, ma alla fine statisticamente è così: il lettore è uno di massimo 85Kg di tessuti che hanno una funzionalità.
Il 150% di 85Kg è circa 130Kg e un massimale di 130Kg deve essere eseguito in maniera perfetta. Punto. Possiamo discuterne una vita, ma questi pesi devono essere mossi perfettamente e non voglio sentire lagne della serie “il mio limite genetico”: “magna e spigni”, cioè lascia perdere programmi astrali e cose del genere, concentrati sulla tecnica, riprenditi e fai in modo che tu sia sempre perfetto con quel peso.
Se il massimale è compreso fra il 150% e il 200% del peso corporeo il carico è sicuramente più interessante, ma l’80% del proprio massimale deve essere praticamente perfetto. Questo perché è sicuramente possibile perché stiamo parlando di massimali dell’ordine di 150 Kg -165 Kg il cui 80% è 120 Kg-130 Kg, cioè pesi che devono essere eseguiti in maniera perfetta perché sono “bassi”.
Massimali di ordine superiore necessitano di una analisi specifica.
So che state stronfiando e che non vi piace questo approccio che elimina tutti i “dipende”, ma il concetto è che deve esistere un peso per cui voi siete in grado di sfoggiare uno squat perfetto: più il vostro massimale è basso rispetto al vostro peso corporeo, più questo peso deve esserci vicino. Più il massimale è alto e più entrano in gioco specificità e quello che volete, ma ciò non toglie che anche il più forte degli atleti deve avere un peso che muove “perfettamente” e un peso che muove “correttamente”.
Per semplificare ancora, l’esecuzione “perfetta” è quella che non ha alcun rallentamento mantenendo la schiena alla sua naturale curvatura in tutte le fasi del movimento, l’esecuzione “corretta” è quella che ha un rallentamento ma la schiena si muove senza flettersi in avanti.
L’allenamento ha lo scopo di farvi imparare a muovere “perfettamente” e “correttamente” pesi sempre più elevati in modo che la “correttezza” si trasferisca al massimale, ma più i massimali sono bassi e più dovete essere “perfetti” perché se non lo siete significa che state sbagliando qualcosa, altro che individualità!
Se entrate in questa ottica, l’allenamento è molto semplice: trovate il massimo carico che muovete “perfettamente” e quello che muovete “correttamente”, poi allenatevi con delle triple, doppie e singole usando carichi compresi fra questi due e cercate di far diventare più “perfetto” ciò che è “corretto”.
I migliori schemi d’allenamento fanno proprio questo, anche se non c’è scritto.
Adesso, rileggete il tutto per digerirlo meglio. Se pensate che siano pezzi complicati, non vi preoccupate: lo sono. Per voi che leggete e per me che scrivo!
Che differenza c’è fra queste due configurazioni meccaniche? Il pistone è vincolato in maniera tale che la traiettoria di qualsiasi elemento del sistema è completamente determinata: girate l’ingranaggio, il pistone si muove, muovete il pistone, l’ingranaggio si muove. Per quanto possa essere complicato matematicamente, alla fine possiamo fare una di quelle simulazioni che tanto fanno sbavare i nerd dei pesi.
Lo scheletro che fa squat non è vincolato allo stesso modo: ok, il femore non esce dall’anca, uno sbilanciamento in avanti provoca dentate colossali, i piedi non sprofondano nel pavimento. Ma se lo scheletro impazzisce e vuole spostare il peso orizzontalmente… può farlo.
La traiettoria del bilanciere è così influenzata dai vincoli meccanici dei “pezzi” che devono essere tenuti insieme, dalle forze che i muscoli possono produrre, dalle compressioni dentro le articolazioni che non possono eccedere dei limiti ma essenzialmente da ciò che è dentro la testaccia marcia di chi esegue lo squat.
Il problema degli studi su questi movimenti complessi è che, secondo me, cercano di rendere l’omino a sinistra come il pistone a destra. E si impantanano. Moltissimi aspetti di qualsiasi movimento umano sono ancora ignoti, lo squat non fa eccezione.
In questo pezzo vi proporrò un modello della risalita dello squat sulla base di ciò che ho studiato, sperimentato, simulato, osservato. Come sempre, è una possibilità di spiegazione. Io dico che non ho pisciato troppo fuori dal vaso, al limite sulla ciambella.
L’articolo è suddiviso in ben tre parti perché non avevo voglia di dividerlo: una è un richiamino di Fisica, lo so che preferireste essere frustati con il filo spinato, una per la comprensione di cosa accade, lunga e pallosa e non voglio che passiate da “questa è la spiegazione” a “dovete fare così per forza”, l’altra è corta e dovrebbe dare delle regole del pollice, le thumbs rules tanto care agli anglosassoni. Vedrete che le regole sono sempre le stesse, poche, banali o quasi stupide.
Potete saltare alle regolette finali, come quelli che si fidano solo del navigatore come se fosse la voce di Dio e non guardano nemmeno se sono sull’autostrada o in mezzo ad un campo.
Il gioco delle coppie
Una forza che fa ruotare un oggetto intorno ad un punto genera sull’oggetto quella che si chiama coppia o momento meccanico. Per essere meno precisi ma più chiari, una coppia è la capacità di una forza di far ruotare un corpo.
E’ chiaro che a noi le coppie rompono le tasche ma servono: i movimenti che compiamo sono dovuti alla rotazione delle ossa, pertanto i muscoli generano delle forze che a loro volta sulla base di come sono applicate, tramite i tendini, alle ossa, generano delle coppie. Per questo motivo è possibile sostituire il termine “forza” con il termine “coppia” e le frecce dritte con le frecce rotanti anche se, di fatto, stiamo parlando di pere invece che di mele.
Ok, il disegno sembra complicato, cerchiamo di spiegarlo piano piano, come Paolino ha fatto con me (ma… Paolino sono io… che sta succedendo?). Per semplicità, invece di usare le velocità angolari che sono poco intuitive, ho preferito considerare la velocità verticale della testa dello scheletro perché è qualcosa di “visivamente” percepibile.
In alto, da sinistra verso destra:
All’istante t0 (Dio come odio questa notazione con i pedici che ci vuole un casino di tempo a scriverla…) lo scheletro è al parallelo e sta fermo, ciò significa che la schiena non flette, l’angolo phi (anche questa mania di usare le lettere greche…) non perciò non varia, la velocità verticale della testa è nulla. Perché ciò accada è necessario che la coppia generata dal bilanciere e dal peso del tronco, che indurrebbe bacino e spina a ruotare in senso orario, sia perfettamente equiparata da quella applicata alle anche: i glutei e i femorali “tirano” indietro il bacino e tutto ciò che c’è sopra.
Adesso guardate i grafici sottostanti che indicano proprio ciò che ho scritto.
All’istante t1 per un qualsiasi motivo lo scheletro diminuisce la coppia al bacino, notate come la freccia rotante abbia spessore inferiore. Poiché la coppia del carico del bilanciere e del tronco non è più equilibrata, il bacino e tutto quello che c’è sopra ruoteranno verso il basso, l’angolo phi inizierà a diminuire e la velocità verticale della testa inizierà ad aumentare progressivamente. Poiché considero positive le velocità verso l’alto, in questo caso la velocità è negativa perché va verso il basso.
Nel grafico della coppia la diminuzione della coppia all’anca è indicata dal gradino verso il basso: nella realtà questi gradini non esistono e tutto è molto più smussato, ma per evidenziare i concetti è necessaro fare così. Notate come la coppia scenda ma si mantenga costante, la velocità e l’angolo diminuiscono continuamente.
La morale è che quando la schiena ruota in avanti la coppia all’anca è minore di quanto sia necessario per tenerla ferma.
All’istante t2 lo scheletro vuole frenare la schienata, applica perciò più coppia di quanto serva a tenere la schiena ferma, il gradino di coppia verso l’alto. Adesso attenti: lo scheletro dà coppia e il tronco inizia a frenare, cioè la velocità comincia a crescere, diventando sempre meno negativa. Il problema è che la schiena non è che smette di andare giù, cioè l’angolo dell’anca continua a diminuire perché se è vero che lo scheletro dà coppia all’anca, è anche vero che tutto il tronco si stava muovendo ed è necessario del tempo per fermarlo.
All’istante t3 la velocità verticale della testa è tornata a zero, cioè il tronco non ruota più verso il basso e l’angolo dell’anca è al suo minimo.
La morale stavolta è che se applico una coppia per far smettere di ruotare un corpo non è che quello si ferma immediatamente: è necessario un tempo che dipende da quanta coppia fornisco e quanto velocemente il corpo stava ruotando, più coppia fornisco e in meno tempo il corpo si ferma, ma un certo tempo è necessario.
Poiché lo scheletro non smette di fornire coppia all’anca tramite glutei e femorali (ma se è uno scheletro dove li avrà i glutei e i femorali…), il movimento si inverte: la coppia fornita è superiore a quella necessaria per tenere fermo il tronco, all’istante t4 la velocità verticale della testa è aumentata così come l’angolo dell’anca: il tronco sta ruotando in senso antiorario. Analogamente all’istante t5.
L’ultima morale è che affinchè la schiena ruoti indietro è necessario applicare all’anca più coppia di quanto sia necessario per tenerla ferma, più ne date e più velocemente il tronco ruoterà.
Ok, la caratteristica di tutti i disegnini in alto è che nella rotazione del tronco l’anca è ferma mentre è la testa che ruota, in una situazione un po’ ridicola perché nessuno sano di mente farebbe una cosa del genere (oppure no… che dite?).
Adesso guardate i disegnini in basso: anche in questo caso il tronco ruota, ma è l’anca che si sposta mentre la testa rimane ferma. Passatemi, senza farmelo dimostrare, che la testa è ferma orizzontalmente anche se verticalmente si muove.
In questo caso ciò che accade è che lo spostamento delle ginocchia indietro muove conseguentemente il bacino e se la testa non si sposta orizzontalmente per forza di cose la schiena deve flettersi: provate, a meno che non vogliate staccare il bacino dalla schiena questo è ciò che accade.
Nei disegni in basso la schiena in pratica ruota intorno alla testa invece che all’anca, ma la descrizione dei comportamenti è sempre la stessa!
Ma se la schiena flette in avanti ciò significa che la coppia all’anca è inferiore a quella necessaria per tenerla ferma a quell’inclinazione! In altre parole tutto il ragionamento fatto precedentemente si applica allo stesso modo: quando c’è una “scodata” nello squat e la schiena si inclina l’atleta sta dando meno coppia alle anche, pertanto sta “faticando” di meno!
Quando poi vorrà far ruotare la schiena indietro dovrà invece dare più coppia di quanto serva a tenerla ferma. Nella serie di disegni in basso l’effetto di questo è visibile all’istante t4 perché la schiena inizia a tirarsi su, ma l’atleta ha dovuto dare coppia alle anche all’istante t2 cioè prima.
Ciò che accade in una scodata in cui la schiena si inclina è questo:
- Le ginocchia sono sparate indietro, l’atleta genera meno coppia alle anche di quanto serva per tenere la schiena ad inclinazione costante. Meno coppia genera, più la schiena ruoterà in avanti.
- La schiena ruota in avanti perché il bacino si sposta indietro.
- L’atleta vuole adesso “tirare su” la schiena e genera coppia all’anca, più ne genera e più velocemente la schiena ruoterà indietro.
- Per quanto generi coppia, la schiena non smette di ruotare in avanti fin da subito proprio perché ha una sua velocità: prima si deve fermare, poi inizia a ruotare nel verso opposto.
Il bacino e la schiena
Quando si parla di squat e di stacco c’è sempre un po’ di confusione fra bacino e spina dorsale, i disegnini spesso confondono.
La spina non ha un ruolo attivo nello squat se non quello di mantenersi rigida, di non perdere la sua forma. I muscoli paravertebrali non hanno però una funzione motrice nel movimento, nel senso che non sono loro che determinano gli spostamenti: questi sono causati dalla rotazione del bacino a cui la spina dorsale è collegata.
A sinistra l’istante t3 dei disegni precedenti, il momento in cui c’è l’incremento di coppia all’anca. La spina è formata di vertebre e non è rigida, perché mantenga la sua forma è necessario che queste non ruotino in avanti: i muscoli paravertebrali si contraggono e impediscono che questo nefasto evento accada e all’istante t4 bacino e spina hanno ruotato entrambi indietro.
E’ così importante comprendere come ciò che accade all’anca si riflette su ciò che accade alla spina: più coppia i femorali e i glutei generano all’anca inducendo il bacino a ruotare indietro, più coppia i paravertebrali devono generare per impedire che la spina perda la sua forma.
A destra ciò che succede se i paravertebrali non generano sufficiente coppia: il bacino ruota indietro, le vertebre in avanti e la spina dell’atleta perde la sua curvatura. La spina non ruota indietro come dovrebbe ma più che altro l’intera struttura spinale è soggetta a forza asimmetriche estremamente dannose.
I carichi sulla spina non sono così dovuti solamente a cosa c’è “sopra”, ma essenzialmente da tutto il comportamento dinamico delle forze in gioco al bacino.
Questo è il motivo per cui dei banalissimi good morning con il bilanciere scarico ma eseguiti alla velocità della luce possono essere più dannosi di uno squat pesante: ruotare velocemente il tronco implica dare tantissima coppia alle anche e perciò i paravertebrali devono generare tantissima coppia per non far ruotare le vertebre in avanti. Se chi esegue “ci va rilassato” perché il carico è basso… è un attimo perdere la curvatura spinale e pinzarsi un disco intervertebrale.
The perfect squat®™©
Ecco a voi the perfect squat, lo squat perfetto™®©: per fare un po’ di scena ho dato dei nomiin matematichese agli angoli della caviglia, del ginocchio e dell’anca, indicandoli con la pomposissima fi o phi greca. In letteratura troverete angoli differenti ma alla fine sono equivalenti a questi.
In questa esecuzione l’atleta risale “aprendo” contemporaneamente tutti e tre gli angoli, in pratica la caviglia ruota indietro, il femore ruota verso l’alto, l’anca ruota facendo raddrizzare la schiena. Il bilanciere sale bello dritto, senza spostamenti orizzontali o quasi.
Il problema di questa esecuzione è che è dispendiosissima: perché i segmenti connessi alle tre articolazioni ruotino tutti insieme è necessario che le forze muscolari generino coppia contemporaneamente su tutte e tre le articolazioni stesse. Non solo, come indicato nel disegno centrale, i femorali si accorciano perché le tuberosità ischiatiche ruotano verso le tibie: muscoli che si contraggono mentre si accorciano sono meno forti di muscoli che tengono in contrazione isometrica. Ancora, i quadricipiti devono generare un sacco di forza perché una parte viene trasferita all’anca per farla ruotare.
Vi piace questo disegnino? Ha un che di tribale, di trofei e prede… comunque ho semplicemente sovrapposto gli scheletri precedenti considerando solo gli elementi di interesse. A destra le stesse traiettorie unendo i punti corrispondenti, la retta è l’inclinazione della schiena.
In questa esecuzione il tronco ruota indietro fin da subito e perché questo accada è necessario pertanto che ci sia fin da subito una coppia all’anca superiore a quella necessaria a tenere la schiena alla solita inclinazione: la schiena ruota indietro fin da subito.
in questo squat vi è un coinvolgimento dell’anca continuo, dall’inizio alla fine. Analizzando il comportamento al ginocchio scopriremmo la stessa cosa: il cervello deve far contrarre in maniera coordinata tutti i muscoli contemporaneamente per permettere questo tipo di movimento.
Come vedremo, questa è l’esecuzione che pone il minor stress sulla schiena perché la spina è flessa per il minor tempo possibile: in risalita il bacino e la testa tendono ad avvicinarsi mentre i segmenti si “allungano”. Le conseguenti coppie dei muscoli paravertebrali sulle vertebre spinali seguono così l’andamento di quella all’anca: molta coppia fin da subito ma poi la schiena si mette eretta e così lo stress sulla spina diminuisce.
Questo pertanto è lo squat perfetto: l’atleta risale come se non avesse niente sulle spalle.
The Real squat (freeware)
Questo invece è uno squat reale, ciò che potete osservare guardando un atleta “forte”:
- In partenza, vi è un forte coinvolgimento della caviglia e del ginocchio, il femore viene spostato indietro. I “prime movers” sono pertanto i quadricipiti.
- In B la chiave di lettura dell’intero movimento: il femore è spostato indietro, “premendo” indietro il bacino che a sua volta “trascina” tutto il tronco che rimane sempre alla stessa inclinazione. Ciò significa che la coppia all’anca è inferiore in questo caso rispetto al caso precedente.
- Spostando indietro il bacino le tuberosità ischiatiche si allontanano dalle tibie e così i femorali vengono allungati, contraendosi in eccentrica: questi generano così non solo più forza rispetto al caso precedente, ma anche l’allungamento crea uno stretch reflex che verrà utilizzato al momento in cui il tronco verrà fatto ruotare e i femorali si contrarranno concentricamente.
- Poiché lo spostamento indietro non può continuare a meno di non voler masochisticamente cadere indietro, in C viene applicata coppia all’anca per iniziare a ruotare indietro il tronco: parte di questa coppia è dovuta ai glutei e ai femorali, parte al ginocchio che può agire sull’anca tramite i femorali stessi. I femorali giocano così un doppio ruolo: quello di muscoli motori dell’anca ma anche quello di “tiranti” che trasferiscono coppia da una articolazione all’altra.
- E’ così fra B e C che si nota quel tipico rallentamento del movimento, il famoso sticking point: il bacino non può più spostarsi indietro e l’atleta deve andare verso l’alto, ruotando la schiena indietro, cioè passando da una esecuzione di quadricipiti per estendere il ginocchio ad una esecuzione di anca per estendere il tronco.
Il disegno è ricco di informazioni, specialmente se lo confrontate con il precedente. La traiettoria della testa è una retta inclinata, parallela a quella del bacino fino al momento in cui la schiena si sposta rigidamente in alto ed indietro. Ciò significa che bacino e testa si muovono alla stessa velocità o, in altri termini, che la schiena inizialmente non flette in avanti o si estende indietro, pertanto la coppia all’anca è praticamente quella necessaria a tenerla immobile.
Senza entrare nel merito del calcolo delle coppie, con il simulatore è possibile testare le due esecuzioni.
- In alto quella dello squat perfetto, la parte colorata è relativa alla discesa e non è oggetto dell’analisi: nella risalita le coppie all’anca e al ginocchio sono applicate contemporaneamente e decrescono mentre l’atleta raggiunge la posizione di chiusura.
- In basso lo squat reale dove si nota come vi sia un bell’impulso di coppia dovuto ai quadricipiti che sparano le ginocchia indietro, poi c’è l’impulso all’anca per far raddrizzare la schiena. Il movimento è pertanto “spezzato” e vi è una minor coordinazione fra ginocchio/caviglia e anca.
Il punto fondamentale è che il picco di coppia all’anca necessita di un picco di coppia sui muscoli paravertebrali, pertanto in quel momento la schiena è soggetta a forze molto intense.
Questa esecuzione probabilmente è il compromesso ottimale fra complessità del movimento, leve articolari, compressioni e forze di taglio:
La schiena si mantiene sempre parallela a se stessa, nel senso che non flette. Se non flette, non perde la curvatura spinale e ciò significa che l’atleta sta usando bene i suoi muscoli spinali: l’inclinazione viene persa se viene persa la curvatura.
Estendere fin da subito le ginocchia spostando il bacino indietro permette di uscire dalla buca velocemente: la buca è il punto in cui l’angolo delle ginocchia è il più svantaggioso perché i quadricipiti possano generare forza e meno l’atleta ci rimane, meglio è.
The dangerous squat
Trovate le 504 piccole differenze fra le due strisciate e mandate un SMS al numero in sovraimpressione.
Il disegno in alto è una amplificazione del precedente squat, con il bacino che non solo si sposta indietro ma anche con la schiena che flette in avanti. Il disegno in basso è una esasperazione ulteriore con la schiena che flette ancora di più.
Li riporto perché, come vedremo, il confine fra una esecuzione secondo me corretta e una sbagliata è molto sottile: già in questi disegni statici non si capisce quanto siano fra loro differenti!
Ecco il confronto tribale: notate come nell’esecuzione di sinistra la schiena non rimanga da A a B parallela a se stessa, dato che il bacino si sposta molto indietro e anche la testa si flette in avanti. Da B a C vi è una leggera flessione ma comunque la schiena praticamente non ha continuato a flettere.
Nell’esecuzione a destra la schiena continua a flettere anche nel passaggio da B a C. In entrambi i casi da C a D la schiena deve tornare ad estendersi indietro.
Notate anche come la traiettoria della testa passi da essere una I inclinata a sinistra come nel caso precedente ad una I verticale ed infine una specie di C.
Nel grafico le coppie al ginocchio e all’anca in alto per l’esecuzione a sinistra nel disegno precedente: La flessione in avanti della schiena fa si che vi sia un uso minore dell’anca all’inizio della risalita, per questo motivo la coppia all’anca decresce sempre di più quando invece il quadricipite estende il ginocchio.
Più la schiena è flessa in avanti e più vi è necessità di dare coppia all’anca per farla poi estendere, ed è per questo che il picco di coppia al punto B sia superiore a quello del caso precedente, dell’esecuzione “reale”: l’atleta deve dare più coppia per compensare il fatto che la schiena ruota in avanti, in modo che al punto C questa flessione si sia fermata. In C è necessario poi dare la coppia che serve per estendere indietro la schiena.
Questo è il grafico delle coppie per l’esecuzione ancora più schienata: il picco di coppia si ha in C perché fino a questa posizione la schiena si flette comunque in avanti e in C è così necessario dare coppia sia per farla smettere di flettere che per poi estenderla quando sarà al punto D. Ovviamente, se la schiena si flette ancora di più, ciò significa che in partenza l’anca è usata ancora di meno!
Più l’atleta schiena l’alzata, meno coppia deve dare all’inizio del movimento, nel punto più difficile, ma più dovrà darne dopo ed è per questo che il rallentamento, cioè lo sticking point, è ancora più evidente: la testa dell’atleta sta salendo, ma rispetto al bacino sta scendendo e per quanto l’atleta fornisca coppia all’anca per invertire questa situazione è necessario del tempo, pertanto ci sarà una fase in cui il bacino rallenta ma il bacino non sale.
Ciò significa che la schiena subirà ad un certo punto della risalita un bel picco di coppia dovuta ai paravertebrali: se i paravertebrali dell’atleta non sono in grado di generarla, la schiena perderà la curvatura, se le forze in gioco sono troppo elevate per le strutture osse e connettive, l’atleta si farà male.
Eseguire in questo modo ha il grosso vantaggio di spostare il bacino fuori dalla buca con il minor sforzo possibile per la schiena, praticamente l’esecuzione è tutta di quadricipiti ed il movimento è così semplice per il sistema nervoso. L’atleta affida poi a glutei, femorali e muscoli spinali l’estensione indietro della schiena: se ha la forza di farlo, può schienare e comunque chiudere l’alzata, altrimenti il bilanciere va a terra.
Si vedono in giro anche questo tipo di esecuzioni, come se ne vedono molte altre: c’è chi spara il bacino indietro per uscire dalla buca, schiena, tiene di femorali e glutei, muove nuovamente le ginocchia in avanti “entrando sotto” il bilanciere e chiude l’alzata. E lo fa con pesi considerevoli. C’è chi entra velocemente nella buca, “rimbalza” prendendo tutto lo stretch reflex, estende il bacino indietro e… oplà, estende al volo la schiena e chiude l’alzata.
Ciò che semini, raccogli
L’esecuzione di uno squat è così un compromesso fra rendere “semplice” il movimento sulla base della morfologia dell’atleta, di come interpreta lui lo squat esasperando i suoi punti di forza, della sicurezza per le strutture corporee in gioco.
Per questo motivo è ben difficile stabilire una esecuzione standardizzata, come non è possibile stabilire quale sia il modo migliore per tirare su dal suolo una cassa della frutta per 100 volte. Ovvio, è facile scartare le idiozie, le illogicità, i comportamenti insensati, ma già da questi disegni è difficile capire quale sia il modo migliore per eseguire lo squat, se accettate il fatto che lo squat perfetto sia qualcosa di estremamente difficile da realizzarsi se non per persone con particolari antropometrie.
Nel disegno a sinistra le traiettorie di un atleta che ha una discesa in cui cerca di tenere la spina alla curvatura fisiologica senza sbilanciarsi in avanti ed una risalita in cui sposta il bacino indietro muovendolo però alla stessa velocità della testa. In questo caso faccio riferimento al centro del bilanciere perché è ciò che si osserva meglio.
Discesa e risalita sono simili e possono parzialmente sovrapporsi. Molti studi mostrano comunque che il bilanciere in chiusura è più spostato in avanti rispetto alla posizione iniziale, proprio perché il carico tende comunque a far flettere la schiena in avanti.
A destra un atleta che schiena molto di più la discesa, la traiettoria flette più verso destra, e schiena molto anche la risalita: le due traiettorie divergono. Più questo comportamento viene esasperato e più c’è un forte coinvolgimento di schiena.
Empiricamente, più l’atleta è forte in termini di massimale rispetto al peso corporeo, più la traiettoria è come quella a sinistra e può essere considerata come “empiricamente corretta”. In altre parole, gli atleti “spezzano” sempre il movimento: prima estensione del ginocchio con l’uso del quadricipite, poi l’estensione della schiena con l’uso delle anche. Lo spartiacque fra fare “bene” e fare “male” è la flessione della schiena: se il bacino e il bilanciere o la testa si spostano inizialmente alla stessa velocità, allora la schiena non fletterà in avanti e non perderà la sua curvatura.
Così facendo l’atleta crea un movimento meno complicato dello squat perfetto ma più funzionale e allo stesso tempo “sicuro” perché i muscoli paravertebrali sono in grado di tenere la schiena in assetto.
Più il bacino si muove velocemente rispetto al bilanciere, più la schiena fletterà in avanti e sarà necessaria coppia all’anca per raddrizzarla, più le forze in gioco sulla schiena saranno in quel momento elevate.
“Visivamente” le migliori esecuzioni si osservano nell’intervallo fra lo squat perfetto e lo squat reale, poi la forma esecutiva è sempre più “brutta”. Se volessimo dare pertanto un riferimento, eccolo.
Notate come questa “regola” sia molto anglosassone: è una estrema semplificazione! E se uno esegue uno squat perfetto? Chiaramente va benissimo, ma senza comprendere tutto ciò che c’è dietro, sembra che uno debba eseguire solo così per “fare bene”
Ed ecco una di quelle cose che piace tantissimo agli anglosassoni: un flowchart con tutte le regolette. Potrei raccontare cose estremamente caustiche sui flowcharts, ma dato che questo l’ho fatto io, funziona se ne comprendete lo spirito.
Difficilmente i lettori che leggono questi pezzi sono persone da più di 100Kg. Nel caso lo fossero, o sono dei powerlifter di livello o sono semplicemente obese. Ora mi scriverà il tizio enorme pieno di muscoli, ma alla fine statisticamente è così: il lettore è uno di massimo 85Kg di tessuti che hanno una funzionalità.
Il 150% di 85Kg è circa 130Kg e un massimale di 130Kg deve essere eseguito in maniera perfetta. Punto. Possiamo discuterne una vita, ma questi pesi devono essere mossi perfettamente e non voglio sentire lagne della serie “il mio limite genetico”: “magna e spigni”, cioè lascia perdere programmi astrali e cose del genere, concentrati sulla tecnica, riprenditi e fai in modo che tu sia sempre perfetto con quel peso.
Se il massimale è compreso fra il 150% e il 200% del peso corporeo il carico è sicuramente più interessante, ma l’80% del proprio massimale deve essere praticamente perfetto. Questo perché è sicuramente possibile perché stiamo parlando di massimali dell’ordine di 150 Kg -165 Kg il cui 80% è 120 Kg-130 Kg, cioè pesi che devono essere eseguiti in maniera perfetta perché sono “bassi”.
Massimali di ordine superiore necessitano di una analisi specifica.
So che state stronfiando e che non vi piace questo approccio che elimina tutti i “dipende”, ma il concetto è che deve esistere un peso per cui voi siete in grado di sfoggiare uno squat perfetto: più il vostro massimale è basso rispetto al vostro peso corporeo, più questo peso deve esserci vicino. Più il massimale è alto e più entrano in gioco specificità e quello che volete, ma ciò non toglie che anche il più forte degli atleti deve avere un peso che muove “perfettamente” e un peso che muove “correttamente”.
Per semplificare ancora, l’esecuzione “perfetta” è quella che non ha alcun rallentamento mantenendo la schiena alla sua naturale curvatura in tutte le fasi del movimento, l’esecuzione “corretta” è quella che ha un rallentamento ma la schiena si muove senza flettersi in avanti.
L’allenamento ha lo scopo di farvi imparare a muovere “perfettamente” e “correttamente” pesi sempre più elevati in modo che la “correttezza” si trasferisca al massimale, ma più i massimali sono bassi e più dovete essere “perfetti” perché se non lo siete significa che state sbagliando qualcosa, altro che individualità!
Se entrate in questa ottica, l’allenamento è molto semplice: trovate il massimo carico che muovete “perfettamente” e quello che muovete “correttamente”, poi allenatevi con delle triple, doppie e singole usando carichi compresi fra questi due e cercate di far diventare più “perfetto” ciò che è “corretto”.
I migliori schemi d’allenamento fanno proprio questo, anche se non c’è scritto.
Adesso, rileggete il tutto per digerirlo meglio. Se pensate che siano pezzi complicati, non vi preoccupate: lo sono. Per voi che leggete e per me che scrivo!
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